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Adam trascinò lentamente una sedia verso il letto, tenendo lo sguardo fisso su Rachel. Le gambe sfregavano sul pavimento di vinile con un forte stridio. Lei rabbrividì e cercò di nascondere la sua reazione. Guardò il muro al di là di un mazzo di fiori e si disse che sarebbe andato tutto bene. Sapeva che non era vero, ma continuava a ripeterselo. Sarebbe andato tutto bene. Sarebbe andato tutto bene. Sarebbe andato tutto bene. Adam voleva suscitare una reazione ma non l’avrebbe ottenuta. Girò la sedia in modo che fosse rivolta verso il televisore.
«Numero Cinque, siediti.»
Lei obbedì e lui l’afferrò per le braccia. Gliele mise dietro la schiena e le legò i polsi alla sedia con due fascette tanto strette che la plastica le si conficcò nella pelle, non tuttavia al punto da bloccare la circolazione. Le legò quindi le caviglie nello stesso modo. Rachel fissò il muro. Sarebbe voluta fuggire di nuovo sulla spiaggia ma non riuscì a evocare il ricordo.
Adam uscì. Sentì i passi echeggiare in corridoio e sulle scale. Quando svanirono, il silenzio fu rotto da altri rumori: il vento sulle gronde, la neve che ticchettava sulle finestre, gli scricchiolii e i gemiti della vecchia casa, la pulsazione ritmica del monitor cardiaco, il respiro lieve della madre di Adam. Gli schermi erano bui e lucidi, quattro specchi neri che riflettevano immagini distorte simili a statue di cera deformi.
Rachel lanciò un’occhiata al letto. L’anziana la sorprese a guardarla e le sorrise cordiale. Lei distolse subito lo sguardo e fissò i televisori. In circostanze diverse l’avrebbe ritenuta un’innocua vecchietta che trascorreva gli ultimi anni di vita godendosi il tè del pomeriggio con la cerchia sempre più esigua di amiche. Forse avrebbe addirittura provato pena per lei. Che idiota.
Come le diceva spesso suo padre, giudicavi una persona dalle azioni, non dalle parole. Quante volte aveva visto al telegiornale i vicini o gli amici di un pazzo criminale esprimere la propria incredulità? Era una persona assolutamente normale, ripetevano. Se ne stava per conto suo. Non può aver commesso quello che dice la polizia. In quelle occasioni Rachel si era chiesta come facessero a essere così ingenui. Com’era possibile che non sapessero? Adesso lo capiva.
«Telecamera quattro, zooma» affermò l’anziana. Si era espressa in modo perfetto, pronunciando ogni parola con attenzione.
L’inquadratura sullo schermo in basso a destra s’ingrandì. Il verde e il nero lasciarono il posto a un’immagine più definita. Rachel vide Sophie dimenarsi sul materasso nel tentativo di spezzare le fascette e di liberarsi.
«Telecamera tre, zooma.»
L’immagine sullo schermo in basso a sinistra s’ingrandì. Riprendeva Sophie sul materasso da un’altra angolazione, di piedi anziché di testa. Il bip del monitor cardiaco era sceso a settantotto. Rachel fissava lo schermo per non guardare la madre di Adam.
Ne osservò il riflesso deformato sul vetro. L’unica parte del corpo che sembrava in grado di muovere era la testa. Dal collo in giù era completamente paralizzata. Prese a battere rapidamente le palpebre e il bip del monitor accelerò. Rachel la guardò. La vecchia aveva gli occhi lucidi e cercava freneticamente di schiarirsi la vista. Una lacrima le scivolò sulla guancia truccata. Però non era una lacrima: la madre di Adam era incapace di piangere e di amare. Gli unici sentimenti che provava erano negativi: odio, rabbia, livore.
Rachel ne percepiva la frustrazione, la totale impotenza e colse, malgrado tutto, l’ironia della situazione. Per un istante provò una perfida soddisfazione. Se non fosse stata legata a quella sedia, avrebbe potuto aiutarla. D’altronde, se non lo fosse stata, la tentazione di soffocarla con un cuscino sarebbe stata troppo grande. Non capiva perché Adam non lo avesse fatto anni prima. Vivere con una madre del genere doveva essere un inferno. Se avesse voluto, avrebbe potuto ucciderla facilmente. Lei non avrebbe di certo opposto resistenza. E se non ne avesse avuto il fegato, se ne sarebbe potuto andare in qualsiasi momento: gli sarebbe bastato uscire dalla porta e non tornare mai più.
Invece aveva deciso di restare. Quell’anziana era profondamente vulnerabile, eppure aveva un potere enorme. Rachel non capiva. Non avrebbe mai capito del tutto ciò che accadeva in quella casa, la dinamica del loro rapporto era troppo ingarbugliata.
All’improvviso tutti e quattro gli schermi divennero bianchi. Sembrava quasi che nel seminterrato fosse scoppiata una bomba. Poi comparvero delle immagini a colori e la definizione migliorò. Sophie smise di dimenarsi. Restò immobile sul materasso con le braccia dietro la schiena e fissò la porta. Aveva la maglietta grigia fradicia di sudore e il respiro affannoso. Rachel guardò lo schermo in alto a sinistra. La porta era chiusa e anche lo sportello. Guardò gli schermi in basso: Sophie stava ancora fissando la porta, tesa, in allerta, con gli occhi sgranati.
«Audio.»
Il rumore del suo respiro invase la stanza. Faceva respiri rapidi, superficiali, spaventati. Rachel guardò lo schermo in alto a sinistra e vide la porta aprirsi. Adam entrò con le cesoie nella mano destra e il pungolo nella sinistra.
Rachel le aveva detto che cosa le era successo, perciò sapeva quello che le sarebbe capitato.
In quell’istante nella sua mente turbinavano probabilmente pensieri di dolore, piani di fuga, desideri di vendetta, un guazzabuglio di idee e immagini inutili. Adam superò la poltrona e scomparve dallo schermo in alto per riapparire qualche secondo dopo su quelli in basso. Adesso c’erano due Adam: uno schermo ne mostrava il profilo sinistro, un altro il profilo destro.
Sollevò le cesoie e Sophie emise un lieve ansito che attraverso gli altoparlanti parve un urlo.
«Girati» ordinò.
«Va’ all’inferno.»
Adam sollevò il pungolo. «Girati o affronterai le conseguenze.»
Lei lo guardò truce e Adam balzò in avanti. Le conficcò il pungolo nel ventre e lo tenne fermo lì mentre lei urlava di dolore. Lo azionò più a lungo del necessario, e più lei urlava, più il suo sorriso si allargava. Posò quindi il pungolo e l’afferrò per la spalla, girandola bruscamente e cacciandole il ginocchio nel fondoschiena.
Prima tagliò la fascetta che le bloccava le caviglie, poi quella dei polsi. Balzò in piedi e indietreggiò con grazia, mantenendo le distanze nel caso la poliziotta avesse reagito. Sophie si sfregò polsi e caviglie e gli lanciò un’occhiata furiosa. Ebbe un sussulto quando si sfiorò il punto dolente sull’addome.
«Siediti sulla poltrona.»
Lei non si mosse. Adam le conficcò il pungolo nel ventre e ne seguì i movimenti mentre si dibatteva sul materasso. Lanciò un grido più straziante, più acuto e disperato di prima. Adam indietreggiò e il verso cessò. Sophie era stesa sul fianco, raggomitolata in posizione fetale. Stava cercando di trattenere i singhiozzi e aveva un respiro aspro, irregolare.
«Siediti sulla poltrona» ripeté Adam.
Sophie esitò e Rachel pensò che lo avrebbe sfidato di nuovo. Adam mosse il pungolo in avanti all’indietro, a mo’ di pendolo. Lei lo guardò, poi si avvicinò alla poltrona, si sedette e lui la legò stretta.
Lasciò lo scantinato e tornò con il carrello. Lo piazzò davanti alla poltrona, prese il cannello per chef e lo accese. Prese quindi il ferro da maglia e ne scaldò la punta con la fiamma finché divenne incandescente. Sophie si fece piccola sulla poltrona. Aveva l’aria terrorizzata e cercava frenetica con lo sguardo una via di fuga.
«Per favore, lo fermi» mormorò Rachel.
L’anziana sorrise con dolcezza. «Prima hai detto di credere nel giudizio, mia cara. Questo è il giudizio.»