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La donna nel letto d’ospedale sembrava morta. Avrebbe dovuto esserlo, in effetti. Sapevo che era viva solo grazie al bip continuo del monitor cardiaco e al movimento impercettibile delle coperte. Aveva il volto flaccido, inespressivo. Non era il profondo rilassamento del sonno, ricordava piuttosto quello della morte, come se tutti i muscoli facciali si fossero irrigiditi per sempre. Avevo l’impressione di osservare un cadavere sul tavolo dell’obitorio o un corpo scaricato in un bosco sperduto, ma non era così. Tuttavia, una parte di me avrebbe voluto che lo fosse.

L’ispettore Mark Hatcher guardò la figura addormentata e mormorò un sincero «Gesù». La fissava come ipnotizzato, scuotendo ogni tanto la testa o emettendo un sospiro: piccoli gesti, ma eloquenti. Lo avevo conosciuto a un corso di profiling che avevo tenuto a Quantico per agenti di polizia stranieri. Si era fatto notare perché si sedeva in prima fila a ogni lezione e non smetteva mai di fare domande. Mi era piaciuto a quel tempo e mi piaceva ancora. Chiunque riesca a guardare per trent’anni nell’abisso – come diceva Nietzsche − e provare ancora qualcosa, per me è un tipo in gamba.

Quegli anni però non erano stati clementi: gli avevano tolto ogni colore dalle guance, ogni gioia. Capelli, pelle, visione della vita, tutto in lui era grigio. Possedeva quella particolare vena di cinismo che trovavi solo nei poliziotti in servizio da troppo tempo, e gli occhi tristi da segugio raccontavano la sua penosa storia. Aveva visto più di quanto un uomo dovrebbe mai vedere.

«Patricia Maynard è la quarta vittima, giusto?» Era una domanda retorica ma necessaria per riportarlo in quella stanza.

«Esatto.» Fece un sospiro lungo, stanco, e scrollò la testa, poi si girò a guardarmi negli occhi. «Inseguo questo bastardo da diciotto mesi e sai qual è la verità? Non so se adesso siamo più vicini a prenderlo di quanto non fossimo all’inizio. È come il gioco dell’oca, c’è sempre il rischio di tornare al via.» Un altro sospiro, un’altra scrollata di testa. «Credevo d’aver visto di tutto, Winter, ma questo supera ogni cosa.»

Era un eufemismo. Non c’è limite agli orrori partoriti dalle menti dei serial killer; eppure persino io dovevo ammettere che quel caso era diverso. E io avevo visto davvero di tutto. C’erano cose peggiori della morte e Patricia Maynard ne era la prova vivente.

La guardai distesa in quella stanza claustrofobica, collegata a una sfilza di macchine, una flebo nel dorso della mano, e pensai di nuovo che sarebbe stato meglio se fosse morta. Sapevo esattamente come fare. Bastava staccare la flebo e immettere aria nella cannula con una siringa.

L’embolo avrebbe colpito prima il lato destro del cuore e di lì sarebbe arrivato ai polmoni. I vasi sanguigni si sarebbero ristretti aumentando la pressione nella metà cardiaca destra fino al punto di spingere l’embolo in quella sinistra, da cui avrebbe avuto accesso al resto dell’organismo attraverso il sistema circolatorio. Se si fosse localizzato in una coronaria, avrebbe provocato un infarto. Se avesse raggiunto il cervello, un ictus.

Una soluzione semplice, pulita. A meno che qualcuno non indagasse con molto scrupolo, il rischio di finire in prigione era minimo. E nessuno lo avrebbe fatto. L’esperienza mi ha insegnato che la gente vede solo quello che vuol vedere. Negli ultimi tre mesi e mezzo, Patricia Maynard era stata tenuta prigioniera e aveva sofferto le pene dell’inferno. Se fosse morta ora? Be’, saremmo stati tutti indotti a credere che il suo corpo alla fine avesse ceduto. Punto. Caso chiuso.

«Le analisi del DNA?» chiesi.

«Bastano a collegare il suo caso alle altre tre donne, ma dal database non è emerso niente.» Hatcher sospirò. «Dobbiamo prenderlo prima che metta le mani su qualcun’altra.»

«Non succederà, Hatcher. Scaricata la vittima numero uno, ha aspettato due mesi prima di rapirne un’altra. Tra l’abbandono della terza e il sequestro di Patricia Maynard, invece, sono trascorse solo quarantott’ore. Di solito c’è un periodo di stasi in cui le fantasie del maniaco sono abbastanza vive da tenerlo a freno. Con questo tizio le fantasie non bastano più. Sono un misero surrogato della realtà a cui si è fin troppo abituato. Sta accelerando i tempi. Patricia Maynard è stata ritrovata ieri notte, quindi presumo rapirà la prossima stanotte.»

«Proprio quello che mi serviva: un’altra brutta notizia.» Hatcher sospirò ancora e si massaggiò il volto tirato. «Allora qual è quella buona, Winter? Perché sarà meglio che tu ne abbia una. In fondo ti ho coinvolto per questo.»

«Quella buona è che più perde il controllo, più probabilità ci sono che commetta un errore. Più errori commette, più facile sarà prenderlo.»

«La teoria non fa una piega. Il problema è che là fuori c’è una donna che sta per vedere in faccia il suo peggiore incubo e non c’è assolutamente niente che io possa fare per impedirlo. Il mio compito è proteggere le persone come lei.»

A quell’obiezione non seppi che rispondere. Mi ero trovato tante volte nei suoi panni e sapevo esattamente che cosa provasse. Un senso d’impotenza, il bisogno di fare qualcosa senza sapere cosa. La rabbia era tuttavia il sentimento più difficile da gestire: rabbia nei confronti di te stesso perché non riesci a risolvere il rebus, rabbia nei confronti del mondo che te lo pone.

Per un po’ restammo rispettosamente in silenzio a guardare Patricia che dormiva. Le coperte si alzavano e si abbassavano al ritmo del monitor cardiaco, l’orologio a muro segnava lo scorrere dei secondi.

Patricia aveva ventotto anni, occhi castani e capelli scuri. Il colore degli occhi in realtà non era visibile perché erano gonfi e chiusi, e nemmeno quello dei capelli perché il rapitore glieli aveva rasati. La pelle attorno agli occhi era bluastra per i lividi e il cuoio capelluto brillava, roseo, sotto le luci intense dell’ospedale. Non c’era alcun segno di ricrescita, il che significava che glieli aveva tagliati di recente, forse poche ore prima di abbandonarla. Non era la prima volta che le faceva una cosa del genere. Quel tizio si eccitava umiliando, torturando e infliggendo dolore al prossimo.

Avevo interrogato numerosi assassini per cercare di scoprire che cosa li spingesse a uccidere. Capire perché un essere umano facesse del male a un altro per puro piacere era diventato in sostanza il mio lavoro. Però faticavo a comprendere perché Patricia Maynard fosse stata lobotomizzata.

Le funzioni cardiopolmonari sono controllate dal midollo allungato, una parte del cervello che non era stata lesa dalla lobotomia. Finché Patricia fosse vissuta, il midollo allungato avrebbe permesso ai suoi polmoni di respirare e al suo cuore di pompare. Non aveva neanche trent’anni e sarebbe potuta vivere tranquillamente per altri quaranta o cinquanta. Mezzo secolo da trascorrere imprigionata nel suo corpo, totalmente dipendente dagli altri, incapace di nutrirsi e di andare in bagno, di formulare un pensiero o una frase. Una prospettiva atroce.

«E non ci sono cicatrici sul cranio?» Un’altra domanda retorica, necessaria stavolta per riportare me in quella stanza.

«Questo perché l’accesso al cervello è avvenuto attraverso le orbite.» Hatcher stava ancora fissando Patricia. «Hai visto abbastanza, Winter?»

«Più che abbastanza.» Anch’io la stavo fissando, non potevo farne a meno. «Bene, la prossima tappa è St Albans. Devo parlare con Graham Johnson.»

«È necessario? I miei lo hanno già sentito.»

Staccai a fatica gli occhi da Patricia Maynard e lo guardai. «E sono sicuro che abbiano fatto un ottimo lavoro, ma è stato Johnson a trovarla, il che significa che lui e il colpevole sono molto vicini. E dato che le nostre vittime non parlano molto, in questo momento è l’unico modo che ho per avvicinarmi di più al sospettato. Perciò sì, voglio parlargli.»

«D’accordo. Faccio una telefonata. Troverò qualcuno che ti accompagni.»

«Così quanto tempo perdiamo? Sarebbe meglio che mi accompagnassi tu.»

«Impossibile. Mi aspettano in ufficio.»

«Sei tu il capo. Puoi fare quello che vuoi.» Sorrisi. «Dai, Hatcher, sarà uno spasso.»

«Uno spasso! Sai, Winter, hai un’idea piuttosto distorta del divertimento. Uno spasso è quando sei in compagnia di una bionda di vent’anni, o quando festeggi tutta la notte sullo yacht di un miliardario. Il nostro lavoro non è uno spasso.»

«Sai qual è il tuo problema, Hatcher? Hai passato troppo tempo a una scrivania. Quand’è stata l’ultima volta che hai svolto un vero lavoro di polizia?» Sorrisi di nuovo. «Pensaci, quand’è stata l’ultima volta che ti sei fatto una bionda di vent’anni?»

Hatcher fece un altro sospiro stanco. «Devo andare.»

«E io ho appena attraversato l’Atlantico per salvarti il culo. A proposito, sai che non vedo un letto da trentasei ore?»

«Questo è un ricatto psicologico.»

«E con ciò?»

Lui sospirò ancora. «D’accordo, ti accompagno io.»