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Le luci si accesero, la porta si aprì e Rachel si rannicchiò nell’angolo. C’era una donna con Adam e all’inizio pensò che la mente le giocasse degli scherzi. Batté le palpebre, ma quando riaprì gli occhi la donna era ancora là. Non era un’allucinazione, era vera.
La donna barcollava e la testa le ciondolava di qua e di là, come se avesse difficoltà a reggersi. Adam la mise sulla poltrona e la legò. Era alta più o meno come lui. Gambe lunghe, capelli biondi lunghi. Era bella, per di più. Te ne accorgevi anche se era spettinata e drogata.
La mano le pulsava in sincronia con il cuore, e ogni battito scatenava una nuova ondata di dolore. L’ultima cosa che Adam le aveva detto durante la visita precedente era che la siringa conteneva una soluzione salina. Si era fatta un’iniezione per niente. Un altro giochetto, un altro modo per incasinarle la mente.
Guardò la porta aperta e ricostruì mentalmente la strada per arrivare all’ingresso. Il corridoio, le scale, il corridoio con il soffitto alto che conduceva all’atrio, al di là della scalinata, e poi fuori, verso la libertà. Guardò Adam e di nuovo la porta.
«Numero Cinque, fin dove credi di arrivare?»
Non si era neanche curato di guardarla né di avvicinarsi per chiudere la porta. Sapevano che non avrebbe tentato nulla, non dopo l’ultima volta. Rachel si accasciò contro il muro e si avvolse nella coperta per confortarsi.
«Numero Cinque, pensi di non poter sopportare altro, invece sei forte. Sei più forte delle altre. Molto di più.»
«Va’ all’inferno.»
Adam raggiunse il materasso con quattro lunghi passi. Fece per darle un calcio e Rachel si raggomitolò il più possibile nell’angolo. Chiuse gli occhi e si preparò, ma non successe nulla. Li riaprì e lo vide accucciato davanti a lei.
«È una brutta parola» disse con la voce di Eve, scoppiando a ridere.
Poi tornò alla bionda sulla poltrona e le diede un paio di schiaffi.
«Sveglia, sveglia.»
«Lasciami in pace» borbottò lei con voce confusa, impastata.
«Sveglia, sveglia!» Le gridò in faccia. Le afferrò la coda e la tirò con forza continuando finché lei aprì gli occhi e gli prestò attenzione.
«Sarah Flight non è morta, vero?» disse.
«Non so di che parli.»
Adam avvolse la coda attorno alla sua mano e tirò con più forza. «Riproviamo. Sarah Flight non è morta, vero?»
«È morta.» Le parole le uscirono a fatica.
«È quello che hanno detto al telegiornale delle cinque. Era la notizia principale. E poi dalle sei non ne hanno più parlato. Non ti sembra strano? A me sì. Perciò mi sono chiesto che cosa stesse accadendo e devo dire che la conclusione a cui sono giunto non mi piace molto. Per la terza e ultima volta: Sarah Flight non è morta, vero?»
La donna incrociò lo sguardo di Adam. «No.»
«Mi credi uno stupido?»
«No, non ti credo uno stupido.»
Si avvicinò un po’ di più. «Sono stato abbastanza abile da trovarti, giusto? Sapevo dove vivevi fin dall’inizio. So dove vivete tutti. Ti ho vista nel parco dove ho lasciato la Numero Uno, ti ho vista sul lavoro, ti ho seguita fino a quella patetica catapecchia che chiami casa e non hai mai sospettato niente.» Si raddrizzò di nuovo. «Comunque, stai sicuramente meglio mora.»
«Non sto mentendo.»
«Invece sì. E non sei nemmeno brava. In questo momento diresti qualsiasi cosa che secondo te vorrei sentirmi dire, perché sei convinta che così non ti farò del male.»
Fece un profondo respiro e sorrise. Rachel per poco non le urlò di stare attenta. Quando Adam sorrideva così era il momento in cui diventava più pericoloso. Guardò il punto in cui una volta si trovava il suo mignolo e rimase zitta. Se si fosse concentrato su quella donna, non avrebbe fatto del male a lei. Fissò ancora la mano, in preda al dubbio e al senso di colpa, e continuò a farlo per non dover guardare la bionda sulla poltrona.
«Purtroppo non funziona così» proseguì Adam. «Ora ti spiego. Ti farò del male e tu mi dirai quello che voglio sapere. Tutto. Poi te ne farò ancora, perché non amo i bugiardi. E ancora, perché posso farlo.»
Prese l’orbitoclasto dalla tasca e lo sollevò perché lei lo vedesse. «Sai a cosa serve?»
«Sì» rispose la donna.
«Quando avrò finito di farti del male lo userò su di te. E ti riporterò dai tuoi colleghi. Forse ci penseranno due volte prima di cercare di prendermi in giro di nuovo.»
«Se lo farai, saranno ancora più accaniti nel darti la caccia. Rapirmi è stato un errore.»
«Lo vedremo.»
Adam se ne andò e spense le luci.
«Stai bene, Rachel?»
Lei fece per dire di sì. Era una reazione automatica. Ma si bloccò pensando a quello che le aveva appena detto. «Come sai il mio nome? Chi sei?»
«Mi chiamo Sophie Templeton. Sono un’agente di polizia.»
Tutto ciò che Rachel udì fu «polizia». Guardò nel buio verso la telecamera più vicina e si avvicinò cauta alla poltrona.
«Devi parlare piano.» Aveva avvicinato le labbra all’orecchio di Sophie e la sua voce era un sussurro. «Penso ci siano microfoni nella stanza. Lavori sotto copertura? Fai un cenno se è così.»
Lei scosse la testa.
«Che vuol dire no? Qualcuno saprà che sei qui?»
La donna scosse di nuovo la testa.
«Ma la polizia verrà? Devono sapere che sei qui.»
«Ci troveranno, Rachel.»
Lei si avvolse di più nella coperta. «Non verranno, vero? Non verrà nessuno?»
«Ci troveranno. Devi credermi.»
«Adam ha ragione» mormorò Rachel. «Non sei brava a mentire.»