12
Rachel spalancò gli occhi ma vide solo un buio talmente fitto che le sembrò d’esserne inghiottita. Non c’era nemmeno un vago barlume né un raggio di luce che entrasse da una finestra o da una porta. Il cuore le batteva forte, quasi al punto di scoppiarle, e respirava in modo accelerato, affannoso, sempre più in preda al panico. Il rumore del suo respiro si propagava nell’oscurità e le tornava indietro amplificato.
Il materasso era così sottile che sentiva il pavimento sottostante, duro e freddo. Un odore di candeggina le irritò il naso e la gola. Poi d’un tratto ricordò tutto. Si vide seduta sul sedile anteriore della Porsche, felice come se avesse vinto alla lotteria, e vide il bagliore argenteo dell’ago.
Cercò di alzarsi e sentì un’ondata di nausea. Ebbe un conato, ma riuscì a chinarsi all’ultimo momento e a vomitare per terra anziché sul materasso o sui vestiti. L’odore del vino della sera prima e dei succhi gastrici la fece vomitare di nuovo. Continuò così finché non uscì altro che bile. Si pulì allora la bocca con la mano. Aveva mal di testa, le mani sudate e i brividi, come se avesse l’influenza.
Si ributtò sul materasso e cercò di controllare il respiro. Il panico ebbe quasi il sopravvento, tuttavia riuscì a poco a poco a dominarlo. Fece un paio di respiri profondi e l’odore acre del vomito la investì. Ebbe ancora un conato e avrebbe rimesso di nuovo, se non avesse avuto lo stomaco vuoto. Tossì un paio di volte, si pulì la bocca, fece un altro profondo respiro e riprese il controllo. Il respiro divenne più regolare.
Mosse la mano nel buio finché trovò un muro di piastrelle. Erano lisce e fredde al tatto, quadrate come quelle dei bagni, circa quindici per quindici. Si appoggiò alla parete per alzarsi lentamente. La testa le girava ma le gambe sembravano reggere.
Le piastrelle del pavimento erano più grandi di quelle del muro, all’incirca un metro per un metro, gelide e lisce sotto i suoi piedi nudi. Esplorò cauta il seminterrato cercando di studiarne la disposizione. Nel secondo muro che incontrò c’era una porta. Sembrava robusta. La tastò fino a trovare la maniglia e provò ad aprirla, ma era chiusa a chiave. Il cuore riprese a batterle all’impazzata e stavolta il panico la travolse. Sentì un ronzio alle orecchie ed ebbe la sensazione di cadere.
Poi più niente.
Quando riaprì gli occhi era ancora buio pesto. Il pavimento era freddo sotto la sua schiena, e si sentiva goffa, rigida. Sulla tempia le si stava formando un livido, là dove l’aveva battuta. Immaginò d’essere rimasta svenuta per un po’, ma non seppe dire quanto. Si rimise a fatica in piedi e tornò al materasso. Non c’erano altre porte.
Scivolò lungo il muro e si accucciò nell’angolo, si strinse forte le ginocchia e si raggomitolò. Non si accorse quasi delle lacrime che le rigavano le guance. Era la situazione peggiore possibile. Sarebbe morta, ne era certa, ma non era quello che la spaventava di più. Il suo più grande terrore era il fatto di essere ancora viva.
Aveva visto come si era trasformato il sorriso di Adam la sera precedente. Un attimo prima era cordiale e spiritoso: sarò il tuo migliore amico, le aveva promesso quel sorriso. Ti strapperò a quella triste parvenza di vita che hai e ti regalerò l’esistenza che hai sempre sognato, che hai sempre pensato di meritarti. Un attimo dopo era diventato crudele. Sentì una fitta allo stomaco e pensò che avrebbe vomitato di nuovo. Gambe e braccia divennero molli e le lacrime sgorgarono, incontrollate. Si chiese se Jamie avesse già chiamato la polizia e dopo quello un altro pensiero scatenò una nuova ondata di pianto.
Si era accorto che era scomparsa?
Qualcuno se n’era accorto?