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«Dove diavolo sei stato?»

«Anche a me fa piacere vederti, Hatcher.»

«Sul serio, Winter, dove sei stato?»

Eravamo nel suo ufficio, un piccolo box al quarto piano da cui riusciva a comunicare a voce con la sala operativa. Era ingombro di carte come quello del professor Blake, ma senza l’aura del sapere. La scrivania era sommersa di dossier e di scartoffie, tanto che il ripiano di legno laminato non si vedeva nemmeno. I mobili erano economici, più funzionali che esteticamente gradevoli, e quanto allo stile, abbracciavano un periodo che va dagli anni Ottanta a quello attuale.

Templeton indugiò vicino all’ingresso, pronta a dileguarsi. Dal linguaggio corporeo si capiva che non aveva voglia d’essere lì e dall’espressione perplessa si intuiva che non avesse idea del motivo per cui l’avessi portata con me.

«Voglio che organizzi una conferenza stampa» dissi.

«Stai scherzando, vero? Hai visto i giornali di oggi? Una conferenza stampa è l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno.»

«Sarah Flight è morta. Adesso è un’indagine su un caso di omicidio.»

«Di che stai parlando? Se Sarah Flight fosse morta, lo saprei.»

Presi un foglio dalla tasca e glielo porsi. Lui lo lesse e si accigliò.

«È uno scherzo?» chiese.

Scossi la testa. «Nient’affatto. Quel foglio è l’autorizzazione scritta di Angela Curtis a dichiarare alla stampa che sua figlia è morta.»

«E perché diamine dovremmo farlo?»

«Per minare il rapporto tra i due criminali. Stanno già accelerando i tempi. È ora di aumentare la pressione.»

«Non possiamo dichiarare morto qualcuno che non lo è.»

Scrollai le spalle.

«Non è etico.»

Le scrollai di nuovo.

«Mentiremmo alla stampa.»

«Il che sarebbe davvero un male perché la stampa non mente mai» replicai.

Templeton ridacchiò. Cercò di trattenersi ma fu più forte di lei.

Hatcher la guardò come se l’avesse notata per la prima volta. «Che ci fai tu qui?»

«Terrà la conferenza stampa» risposi.

«No» esclamò Templeton. «Assolutamente no.» Nel pronunciare quelle tre parole aveva alzato leggermente la voce.

«Te la caverai benissimo.»

«Leggimi bene le labbra, Winter. Assolutamente no. Non lo farò.»

«Templeton!» La richiamò brusco Hatcher.

Lei gli lanciò un’occhiataccia.

«Ora vai. Devo parlare con Winter in privato.»

Lei guardò prima lui, poi me e poi di nuovo lui. Aveva il volto teso e le labbra increspate. Nei suoi occhi c’era rabbia, forse anche odio o paura. Difficile dirlo. Sospirò e scuotendo la testa uscì dalla stanza. Hatcher osservò la porta chiudersi e rivolse quindi l’attenzione a me.

«Ti ricordi quello che ci siamo detti stamattina? A proposito delle voci secondo cui vorrebbero togliermi il caso? Se faccio un numero del genere, non solo mi tolgono il caso, mi licenziano addirittura.»

Presi le sigarette e Hatcher mi ammonì all’istante.

«Non provarci nemmeno.»

Sembrava assolutamente serio, perciò rimisi il pacchetto in tasca, spostai una pila di dossier dall’unica sedia disponibile e mi sedetti.

«Non ti licenzieranno, Hatcher. Nel peggiore dei casi sarai sottoposto a procedimento disciplinare e retrocesso a detective, dando addio alla possibilità di diventare commissario.»

«Niente conferenza stampa.»

«Sei stato tu a chiedermi di fare da consulente in questo caso. Bene, in questa veste ti suggerisco di organizzare una conferenza stampa per informare i media che Sarah Flight è morta e che ora l’indagine è su un caso di omicidio.»

Lui sospirò. «Hai già sperimentato questa tattica?»

«Funzionerà» lo rassicurai.

«Non è quello che ti ho chiesto.»

«Quei due stanno degenerando. In questo momento sono vulnerabili. Con la giusta pressione possiamo destabilizzare il loro rapporto. Per la partner sottomessa è importante tenere in vita le vittime. Se crederà che una delle sue bambole sia morta, ne sarà devastata e il senso di colpa la spingerà oltre il limite.»

«E i rischi per Rachel?»

«Trascurabili.»

«Definisci che significa “trascurabili”.»

Alzai le spalle.

«Quindi esiste il rischio di peggiorare la sua situazione?»

«Ovviamente sì. Qualsiasi mossa comporta un margine di rischio, persino il non fare niente. Può funzionare, Hatcher. Fidati.»

«D’accordo» rispose. «Facciamolo. Forse tornare a essere un semplice detective non sarà così brutto.»

«Le responsabilità sono minori» osservai. «Allora chi dà la bella notizia a Templeton?»

«Ci pensi tu.»

«A proposito, quell’agente anziano che ha piantato grane al briefing: devi trasferirlo il più lontano possibile.»

«Perché? Ha forse piantato grane a te?»

«No. Perché passa informazioni alla stampa.»

«E questo come lo sai?»

«Perché c’è qualcuno che passa informazioni e quel qualcuno è lui.»

«Mi servono prove.»

«No, non ti servono. Nella tua squadra tu sei Dio, il che ti autorizza a colpire impunemente.»

Hatcher scoppiò a ridere.

«Conosci la tua squadra» dissi. «Se c’è una fuga di notizie, chi è il responsabile? La giovane detective con una carriera davanti? O qualcuno rimasto fermo al grado di sergente che farebbe di tutto per rivalersi nei confronti dell’organizzazione che lo ha fottuto, soprattutto se ci guadagna qualche soldo?»

Hatcher sospirò cupo e il suo volto stanco parve accartocciarsi completamente. «Faccio preparare le carte» rispose.