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«Dovete cercare una donna di età compresa tra i venticinque e i trentacinque anni.» Parlai lentamente affinché riuscisse a scrivere. «Sposata, ma con problemi matrimoniali. Il marito ha alle spalle una relazione, forse anche più d’una.»
«Non so se l’ipotesi regge, Winter. Il matrimonio dei Flight era solido. Riconosco che gli altri avevano problemi, ma loro due erano felici.»
«Davvero?»
«Abbiamo controllato. Felici come Romeo e Giulietta.»
«Non è un esempio molto fortunato» osservai.
«I miei uomini sono in gamba. Se ci fosse stato qualcosa, lo avrebbero scoperto.»
«E sei disposto a scommettere?»
«Parli sul serio?»
«Facciamo venti sterline. No, rendiamo la cosa più interessante. Che ne dici di cinquanta?»
«Non è propriamente etico» commentò.
«Primo, non hai detto di no. Secondo, parli da perdente.»
«D’accordo, mi fa piacere spillarti un po’ di soldi.»
«Bene» esclamai. «La vittima sarà una moretta dagli occhi castani e anche attraente. Tieni presente che potrebbe tingersi i capelli, perciò non escludere altri colori. Caroline Brant e Margaret Smith se li tingevano. Quella che dovete cercare è una mora naturale. Una donna in carriera, con una formazione universitaria alle spalle. Un bersaglio ad alto rischio per il nostro uomo.»
«Perché rischiare tanto?» domandò Hatcher. «Se il suo unico obiettivo è infliggere sofferenza, perché non rapire una prostituta o una tossica?»
«Perché non è il suo unico obiettivo. Quelle donne rappresentano per lui una persona importante, oserei dire l’ex moglie. Chiunque sia il bersaglio reale, è lei che in verità vuole far soffrire, ma non ha ancora il coraggio di agire. Ne ha paura. Ne è terrorizzato. E questo scatena quella rabbia che riversa poi sulle vittime.»
«Quindi con queste donne si sta solo esercitando, cercando di trovare il coraggio per colpire la sua ex.»
«In sostanza, sì» convenni. «Devi dire ai tuoi di controllare tutte le denunce di persone scomparse negli ultimi tre giorni. Tutte. Mi interessano soprattutto quelle scomparse nelle ultime ventiquattr’ore. Se ho ragione a proposito del fatto che sta accelerando i tempi, troveremo così la prossima vittima.»
«Allora pensi che l’abbia già rapita?»
«Senza dubbio.»
«In che zona?»
«In una qualsiasi a nord del Tamigi.»
Hatcher fece uno profondo respiro, reazione perfettamente comprensibile visto che avevo appena ristretto le ricerche a un’area di varie centinaia di chilometri quadrati e a una popolazione di milioni di persone.
«Peggio ancora» aggiunsi. «Non mi sorprenderebbe se iniziasse a prendere di mira vittime fuori Londra. Quella bravata con la telecamera nel parcheggio di St Albans indica che sta cercando di fuorviarci. D’ora in poi dobbiamo presumere che ci prenderà per il naso quando gli sarà possibile. Detto ciò, inizieremo dall’area all’interno della M25. Se non troveremo niente, allargheremo la ricerca alle contee circostanti.»
«Mi metto subito al lavoro» disse Hatcher.
«Devo vedere subito le fotografie. Mandamele sul cellulare.»
«Certo. Quando potrò avere il profilo completo?»
«Ti darò qualcosa a fine giornata.»
Chiusi la telefonata, m’infilai il giaccone, cacciai le sigarette e lo Zippo in tasca e scesi. Una BMW senza insegne mi stava aspettando in strada e quando vidi l’autista, non potei fare a meno di sorridere. Uscii dalla porta girevole e mi avvicinai alla macchina.
«’giorno, Templeton.»
«’giorno, Winter.»
Era appoggiata alla BMW con indosso un giaccone imbottito. Aveva un paio di jeans talmente aderenti da sembrare una seconda pelle e i capelli biondi raccolti in una coda. La luce del giorno rendeva ancora più incredibili i suoi occhi. Sembrava la modella della pubblicità di un’auto.
«Quindi avete di nuovo tirato a sorte e hai perso» osservai.
«Credici o no, mi sono offerta volontaria. Mi interessa vederti lavorare sul campo.»
«Sono lusingato.»
«Dovresti esserlo. Di solito preferisco farmi cavare un dente piuttosto che fare da baby-sitter.»
Salimmo in macchina e allacciammo le cinture. Quando mise in moto, la radio si accese su un canale rock e dagli altoparlanti provenne un noto pezzo degli Aerosmith. Templeton abbassò il volume. Il motore si era scaldato nel tragitto da New Scotland Yard all’albergo e il riscaldamento funzionava al massimo per contrastare il gelo.
«Hai detto baby-sitter, non autista» osservai. «Questo significa che hai parlato con Hatcher.»
Lei annuì. «Ha chiamato cinque minuti fa. Ha detto che non hai ancora preparato il profilo. Era parecchio incazzato.»
«Cos’altro ha detto?»
«Di tenerti d’occhio e riferire tutto quello che scoprirai.»
«Lo farai?»
«Dipende da quello che scoprirai. Allora dove vuoi andare?»
«A Enfield. Voglio far visita alla prima vittima, Sarah Flight.»
Svoltammo a destra uscendo dal vialetto d’accesso del Cosmopolitan e ci immettemmo nel traffico. Estrassi il pacchetto di sigarette e glielo mostrai.
«Non c’è problema, purché si possa condividere» esclamò.
Ne accesi due e gliene porsi una. Il traffico scorreva lento, a fatica, quasi come a New York, ma non era neanche lontanamente paragonabile a quello di Los Angeles. Viaggiammo in silenzio, lei concentrata sulla guida, io sul caso. Era un silenzio gradevole, cordiale, non c’era nulla di forzato.
Finii la sigaretta e gettai il mozzicone dal finestrino. Trenta secondi dopo Templeton fece lo stesso. Via via che ci addentravamo nella periferia, gli edifici si fecero più piccoli, grigi e squallidi. Il sole invernale li rendeva meno cupi, ma non più di tanto. La radio trasmetteva dei classici: Hendrix, gli Eagles, i Led Zeppelin. Le grandi canzoni del passato.
«Lui com’era?»
Mi avevano fatto quella domanda un’infinità di volte, perciò non ebbi bisogno di chiederle a chi si riferisse. Di solito aspettavano di conoscermi meglio, ma non mi stupii che me lo avesse chiesto allora. Non era tipo da girare attorno alle questioni.
«Perfettamente credibile» risposi. «Un pilastro della comunità. Insegnava matematica al college e a detta di tutti era benvoluto dai colleghi. Anche i ragazzi lo adoravano. Era estroverso e interessante, il tipico docente un po’ eccentrico. La sua mente non si fermava mai. A San Quintino hanno tentato più volte di misurargli il QI, ma lui sfruttava puntualmente l’occasione per disorientare gli strizzacervelli. Tutto ciò che hanno potuto dire è che sarebbe entrato senza problemi nell’associazione Mensa.»
«Tu non sospettavi niente?»
«Se vuoi sapere se sospettassi che mio padre era un serial killer, la risposta è no.»
«Però in lui c’era qualcosa che non andava, vero?»
Ripensai a una grigliata, quando avevo otto o nove anni, un paio d’anni prima che l’FBI lo arrestasse e mi crollasse il mondo addosso. Gli uomini erano radunati attorno al barbecue, con mio padre al centro. Indossava un grembiule, teneva una birra in una mano e una pinza per grill nell’altra. Quel pomeriggio la birra scorreva a fiumi, tutti ridevano e scherzavano divertendosi come matti, compreso mio padre. Però c’era qualcosa di forzato nella sua risata. Non riusciva mai a illuminargli lo sguardo.
«Col senno di poi, devo ammettere che i segni c’erano» affermai. «Mi piace pensare che, se lo incontrassi ora, lo inquadrerei subito. Ma ero solo un ragazzino. Avevo undici anni quando l’FBI lo ha arrestato. Ha ucciso la sua prima vittima quando non esistevo ancora. A casa era a momenti assente, a momenti autoritario, ma non peggiore dei padri dei miei amici anzi, direi migliore. Tutti i miei compagni, ovviamente, ne erano entusiasti, perché era sempre brillante.»
«Perché ho la sensazione che tu mi stia raccontando solo la versione di comodo?»
«Perché è così.»
«Senti,» affermò «se non vuoi parlarne, mi sta bene. Capisco.»
«Non è che non voglio parlarne, è che non so davvero cosa dire. Se fosse un ricercato, ti fornirei un profilo completo, preciso nei minimi dettagli, ma era mio padre. Sono troppo coinvolto per poterne parlare con obiettività.»
«Te ne fai una colpa, vero? Pensi che avresti dovuto fare qualcosa per salvare quelle donne.»
«E tu mi sembri una strizzacervelli di Quantico.»
«Stai eludendo la domanda.»
«Naturalmente. Ci siamo appena conosciuti. Lasciamo gli argomenti più seri per quando ci saremo conosciuti meglio.»
Estrassi un’altra sigaretta e ne offrii una a Templeton, che rifiutò con un cenno del capo. Un raggio di sole entrò dal parabrezza e la colpì. Ebbi così l’occasione di studiarne attentamente il profilo. Anche da quell’angolazione il suo viso era sorprendente: ossatura proporzionata, naso elegante, zigomi alti da scandinava.
Doveva essersi accorta che la fissavo perché mi lanciò un’occhiata. Vista dal davanti, la sua faccia era perfettamente simmetrica, ideale per gli obiettivi delle telecamere. In termini numerici era la raffigurazione del famoso rapporto aureo, 1:1,618, che da duemilacinquecento anni affascinava artisti e matematici. In natura se ne trovavano molti esempi, uno dei quali era proprio lì, seduto dentro una BMW.
Mi chiesi perché avesse scelto lo stipendio da fame di un poliziotto quando avrebbe potuto guadagnare una fortuna grazie al suo aspetto. Seguire le orme di papà era una spiegazione plausibile, ma anch’io avevo la sensazione che mi avesse raccontato solo la versione di comodo. Socchiusi il finestrino e mi accesi la sigaretta. La radio trasmise una canzone dei Rolling Stones e Templeton alzò il volume. Si perse nella musica, seguendone il ritmo con la testa e le parole con le labbra. Feci un altro tiro e tornai a riflettere sul caso.