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Il mio cellulare segnalò l’arrivo di un messaggio. Alex Irvine mi aveva appena mandato per mail l’elenco dei proprietari di Porsche. Controllai la posta elettronica, scaricai la lista e la stampai. C’erano più di trecento nomi e indirizzi. Hatcher lanciò un gemito quando li vide.

«La buona notizia è che una di queste persone è il nostro uomo» dissi.

«La cattiva è che, anche con la mia squadra, ci vorrebbero ore per verificarli tutti. Inoltre è notte, perciò nessuno risponderà al telefono.»

Mi versai un altro caffè, mi accesi una sigaretta e diedi un’occhiata all’elenco. Aveva iniziato a nevicare. Per ora la neve cadeva rada, ma si sarebbe infittita. I meteorologi parlavano di bufere e di accumuli, consigliavano agli automobilisti di restare a casa. La Scozia e alcune zone dell’Inghilterra settentrionale erano già imbiancate. I piccoli fiocchi scendevano e si appiccicavano alle finestre, vi restavano per qualche istante e si scioglievano gocciolando sui vetri.

«Dobbiamo rendere l’elenco più snello» osservai. «Innanzitutto, eliminare tutte le donne.»

Barrai tutti i nomi femminili con il pennarello nero.

«E possiamo anche scartare tutti i maschi sotto i trenta e sopra i quaranta.»

Barrai altri nomi.

«E tutti quelli i cui nomi non combaciano con il profilo di un maschio caucasico.»

Ne barrai un ulteriore gruppo e feci una rapida conta. Quarantacinque nomi e indirizzi. Non eccezionale, ma sempre meglio di prima.

«E adesso?» chiese Hatcher.

«Adesso ci mettiamo al computer e controlliamo le mappe satellitari. Cerchiamo una proprietà grande, isolata in cui i vicini non siano un problema.»

Guardai la lista, memorizzai i primi dieci nominativi, lanciai quindi elenco e pennarello a Hatcher e presi il laptop. Il primo indirizzo era una casa in una zona molto edificata di Barnet.

«Cancella James Macintosh» dissi. «Non è il nostro uomo. Troppi vicini.»

Venti minuti dopo avevamo ridotto l’elenco a otto nominativi. Li trasferii sulla mappa e li contrassegnai con cerchi blu, feci un passo indietro e studiai la carta. Guardai i segni verdi che indicavano l’ultimo avvistamento delle vittime e quelli rossi che indicavano i luoghi dei ritrovamenti, poi eliminai un cerchio blu perché si trovava nell’Essex, a chilometri dagli altri. Era decisamente fuori zona.

«Potremmo mandare delle squadre a tutti e sette gli indirizzi» suggerì Hatcher. «Radunare abbastanza uomini sarebbe una sfida, ma per Templeton potremmo farcela.»

Scossi la testa. «Troppo rischioso. Se il maniaco avesse anche solo un vago sentore che gli stiamo addosso, cadrà in preda al panico e non sarà bene né per Templeton né per Rachel Morris. Dobbiamo scoprire quale di questi sia l’indirizzo giusto, dopodiché intervenire decisi con un attacco di precisione. Quei due devono essere neutralizzati prima ancora che s’accorgano di quello che succede.»

«Allora dove sono?»

Guardai la carta e la lista scribacchiata sul muro, cancellando CUGINI. Riflettei ancora un po’ e cancellai FRATELLO/ SORELLA. Sottolineai DONNA – FANTASMA.

«Cosa stai pensando?» domandò Hatcher.

Ero di nuovo nel mio mondo e agivo in base al puro istinto. Barrai AMANTI, sottolineai MADRE/ FIGLIO e aggiunsi altre due righe sotto DONNA – FANTASMA.

«Cosa stai pensando?» ripeté Hatcher.

«Hai visto Psycho

«Pensi che il Sezionatore riceva istruzioni dalla madre morta?»

«Il rapporto madre/figlio mi pare che calzi. Più di quello marito/moglie o fratello/sorella.»

Presi il cellulare. Alex Irvine rispose al secondo squillo. Server e ventole di raffreddamento ronzavano in sottofondo, il che significava che era ancora al lavoro.

«Sumati è lì con lei?» chiesi.

«Se n’è andata dieci minuti fa.»

«La chiami e le dica di tornare. Vi mando un elenco di nomi e indirizzi: ho bisogno che lo verifichiate con attenzione. Mi interessa sapere soprattutto che cosa è successo alle madri di quei tizi. È bravo come hacker?»

Rispose con un verso di scherno.

«Bene» affermai. «Voglio che entri nei computer di tutti i fornitori di articoli sanitari del paese, piccoli e grandi. Veda se qualcuno ha spedito qualcosa a uno di quegli indirizzi. Qualsiasi cosa, non importa di che si tratta.»

«Quanto indietro vuole che andiamo?»

«Un paio d’anni. Se non trovate niente, risalite agli anni prima. Chiamatemi non appena avete qualcosa.»

Terminai la chiamata e gettai il telefono sul letto, poi guardai le fotografie delle vittime e pensai a Templeton. Ricordai quando ci eravamo incontrati la prima volta nel bar del Cosmopolitan: era sicura, spavalda, assolutamente padrona di sé. Ricordai anche che quando ci eravamo conosciuti un po’ di più, era dolce e vulnerabile, anche se lo nascondeva a Hatcher e al resto dei colleghi. Quell’immagine fu seguita da altre, da un’intera serie di istantanee mentali che avevo memorizzato. Non riuscivo a vederla come le altre vittime, il che era un bene. Qualsiasi cosa fosse successa, non sarebbe finita così. Avrei fatto di tutto per evitare che accadesse.

Di tutto.