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«Numero Cinque, siediti sulla poltrona!»

La voce distorta di Adam rimbombò nel seminterrato. Era forte, spaventosa e le penetrò nel cervello al punto che non riuscì più a pensare con lucidità. Riecheggiò contro le piastrelle lisce della stanza creando echi inquietanti. Rachel si mise le mani sulle orecchie, si rifugiò nell’angolo e si raggomitolò in posizione fetale. Le luci erano di nuovo accese e dovette tenere gli occhi ben chiusi per proteggersi dal bagliore, per escludere la realtà. Non si sarebbe mai seduta su quella poltrona. Mai.

«Numero Cinque, siediti sulla poltrona o affronterai le conseguenze.»

Si rannicchiò ancora di più, tutta tremante, con gli occhi sempre chiusi, e sentì le lacrime calde, salate, sgorgarle sotto le palpebre.

«No» mormorò. «No, no, no, no, no.»

La porta si spalancò e lei sollevò di scatto la testa. Adam avanzò, avvolto dalla luce, e si avvicinò al materasso. Batteva una vecchia canna di bambù sul palmo della mano sinistra. Rachel cercò di farsi ancora più piccola. Senza preavviso lui la colpì violentemente sulla schiena. Il dolore fu improvviso e inaspettato. Rachel cacciò un grido più animalesco che umano e tentò di rifugiarsi nell’angolo.

«Numero Cinque, siediti sulla poltrona!»

Lei non si mosse.

La canna sibilò e la colpì di nuovo sulla schiena, facendola urlare.

«Numero Cinque, siediti sulla poltrona!»

Adam batté la canna per terra con ritmo monotono, esasperante. L’unico rumore che Rachel sentiva e che copriva tutti gli altri era quello del bastone sul pavimento. Adam si spostò di lato e la poltrona si stagliò nel centro della stanza, occupando tutto il suo campo visivo. Rachel guardò la canna, poi si alzò e s’incamminò. Adam la seguì, sempre battendo il bastone per terra. Dal modo in cui la osservava ebbe la sensazione d’essere un insetto in un contenitore di vetro. La poltrona era a cinque metri soltanto, ma a lei parvero cinque chilometri. Quando la raggiunse esitò, fissando le macchie scure sui braccioli color crema.

«Numero Cinque, siediti!»

Rachel guardò dietro di sé e vide la canna. Capì che Adam non avrebbe esitato a usarla ancora. La pelle della schiena le bruciava dove l’aveva colpita. Si sedette e al contatto con la finta pelle gelida ebbe un brivido. Quante altre donne erano state legate a quella poltrona? Che cosa avevano dovuto subire? Rachel si costrinse a restare seduta, ma non fu facile: tutto ciò che voleva era precipitarsi verso la sicurezza illusoria del materasso, ma l’idea di quello che Adam avrebbe potuto farle la bloccò.

Lui si chinò per legarle un braccio, lei si ritrasse il più possibile. Il dopobarba, che le era sembrato così buono quando si erano incontrati, adesso le rivoltava lo stomaco. Impiegò parecchio a legarla: allacciò e slacciò meticolosamente le cinghie finché fu soddisfatto. Quand’ebbe sistemato l’ultima, si raddrizzò e le rivolse quel suo sorriso affascinante che ormai detestava.

«Ecco» disse. «Non era poi tanto difficile, no?»