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Il cellulare suonò e lo afferrai all’istante. Sumati Chatterjee non perse tempo in convenevoli, disse solo un nome. Era il terzo della mia lista mentale di sette.

«È sicura?» dissi.

«Totalmente.»

Mi riferì le informazioni salienti, sintetica e veloce. Terminai la chiamata, presi l’elenco e feci un grosso cerchio attorno al nome di Darren Webster, poi lo sollevai perché Hatcher lo vedesse.

«Ecco il cattivo» annunciai.

Lui sfoderò un ampio sorriso.

«È la notizia più bella che abbia sentito da tanto tempo.»

Afferrai il giaccone e mi precipitai alla porta. Hatcher mi raggiunse all’ascensore. Era già al cellulare, occupato a organizzare e a pianificare, a radunare le truppe. Era ancora al telefono quando raggiungemmo il pianterreno. Feci una deviazione verso il banco della reception e chiesi al concierge se qualcuno avesse lasciato qualcosa per me. Lui mi disse di aspettare un istante e scomparve in un piccolo ufficio sul retro, per riemergere poco dopo con una valigetta Samsonite color argento e un mazzo di chiavi. Il portachiavi aveva il logo della Maserati e la valigetta era pesante come mi aspettavo.

«Prendiamo la mia auto» dissi a Hatcher.

Lui posò una mano sul microfono del cellulare. «Da quando hai un’auto?»

«Da trenta secondi. È una Maserati.»

Hatcher mi fissò e io ricambiai lo sguardo. Concluse la chiamata e ripose il telefono. «Cosa sta succedendo, Winter?»

«Ti spiegherò tutto in macchina.»

La Maserati di Donald Cole era parcheggiata vicino all’uscita del garage sotterraneo del Cosmopolitan con il muso rivolto all’esterno, pronta a partire. Avevo chiesto un’auto veloce e quella era un’auto molto veloce: motore otto cilindri a V da 4,2 litri, sei marce, raggiungeva la velocità massima di duecentoottanta chilometri all’ora. Passava da zero a cento in 5,2 secondi.

Salimmo e mollai la Samsonite a Hatcher. Il motore si accese con un rombo e partimmo sgommando. All’inizio guidare sulla sinistra mi disorientò, ma mi abituai in fretta. Il principio era lo stesso: il passeggero restava dal lato del marciapiede e il traffico in senso contrario dal lato del guidatore. Se lo seguivi, di solito andava tutto bene.

Guidavo veloce giocando con acceleratore e freno. I giri salivano e diminuivano, cambiavo marcia in continuazione. Gli altri suonavano e si fermavano maledicendomi ma io continuavo, destreggiandomi, schivando il traffico serale e facendomi strada, implacabile. Il tergicristalli andava alla massima velocità, spazzando via la neve. Nel retrovisore non c’erano segni delle guardie del corpo di Cole.

«Cosa sta succedendo, Winter?»

«Apri la valigetta.»

Le chiusure scattarono in successione con un rumore secco, simile a uno sparo. «Gesù» balbettò Hatcher quasi senza fiato.

«Che pistole sono?» chiesi.

«Colt calibro 45. Sono due. Presumo non siano registrate.»

«Non registrate, non rintracciabili e mai usate per uccidere.»

Donald Cole aveva fatto come indicato, per la seconda volta.

«L’auto, le pistole: immagino arrivino dalla fatina buona» commentò.

«A Donald Cole non piacerebbe sentirsi chiamare così.»

«Cavolo, Winter! Donald Cole! A che diavolo di gioco stai giocando?» Hatcher fece un profondo respiro e recuperò il controllo. «D’accordo, parla. Voglio sapere cosa sta succedendo. E voglio saperlo subito.»

«Darren Webster non è il nostro uomo.»

«Allora chi è?»

Non dissi nulla.

«Ti rendi conto che potrei scoprirlo piuttosto facilmente? Mi basterebbe fare una telefonata a Sumati o ad Alex.»

«Ma non lo farai. Altrimenti saresti già al telefono.»

Sterzai per superare un taxi, rientrai e accelerai. Il clacson del taxi svanì in lontananza.

«A volte è necessario giocare sporco» ammisi. «Ti ho detto chi è il nostro uomo, tu ti sei comportato da bravo ragazzo e hai doverosamente passato l’informazione a Fielding. Il punto è che sono un essere umano e commetto errori come tutti. Come quando in albergo ho confuso i nomi.»

Hatcher tacque.

«Se ti avessi detto il nome giusto, avresti dovuto riferirlo a Fielding e sarebbe stato un grosso sbaglio. Avrebbe fatto circondare l’abitazione del sequestratore e predisposto tutto prima di agire, per coprirsi bene il culo.»

Hatcher continuò a tacere.

«Pensi che non si accorgerebbe di un esercito di poliziotti che lo sta accerchiando?» chiesi. «E in men che non si dica vi ritrovereste ad assediarlo. È questo che vuoi? Poi c’è il fatto che Templeton è una di noi. Il coinvolgimento sarebbe forte, fin troppo. È una faccenda personale. Troppe cose potrebbero andare storte. Ne basterebbe una e Templeton finirebbe morta o peggio.»

«Per te non è personale?»

«Domanda sbagliata, Hatcher. La domanda che dovresti farmi è: nelle mani di chi metteresti la vita di Templeton? Nelle mie o in quelle di Fielding?»