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Stephens era un maschio bianco sopra la trentina, più alto di me, sul metro e novanta, e anche più grosso, con un fisico da palestrato. Aveva un taglio corto alla militare che mi ricordò quei fanatici texani che pattugliavano il confine con il Messico. Però non era uno stupido: dietro a quegli occhi nocciola c’era un cervello che pensava in fretta. Guardò me, poi Templeton, poi ancora me.

«Chi diavolo siete?»

«Un paio di potenziali clienti che potrebbero assoldarla» risposi.

«Oh, sì.»

«D’accordo, uno a zero per lei. Ho bisogno di vedere tutto quello che ha su Rachel Morris.»

«Chi?»

Mentì con disinvoltura. Io sostenni il suo sguardo, attendendo che parlasse per primo.

«Chiamo la polizia» disse.

«Probabilmente mi sono scordato di dirle che siamo noi la polizia.» Indicai Templeton, che estrasse il distintivo e lo tenne sollevato perché lo studiasse. «Ora, se ci darà quello che vogliamo, ci dimenticheremo della faccenda del ricatto.»

«Dov’è il mandato?»

Scrollai le spalle. «Devo averlo lasciato nell’altra giacca.»

Lui sorrise. «Voglio che si allontani dalla mia scrivania e che usciate dal mio ufficio.»

«E io che speravo di risolverla in modo civile.»

Il sorriso di Stephens si tramutò in una risata. «Era una minaccia? Lei è un agente. Che diavolo può fare? Torni con un mandato e allora parleremo.»

«Ho bisogno di vedere tutto quello che ha su Rachel Morris» insistetti. «È la seconda volta che glielo chiedo e l’ho fatto con le buone maniere. Non mi ripeterò più.»

«Si procuri un mandato.»

Stephens mi squadrò e sfoderò un ghigno. Capii perché: era più alto di quindici centimetri e pesava una quarantina di chili di più. Aveva passato mentalmente al vaglio i possibili scenari, concludendo che avrebbe avuto la meglio in qualsiasi caso. Era in posizione di vantaggio, sia fisicamente sia legalmente. Fece per parlare ma io alzai la mano per tacitarlo. Qualsiasi cosa volesse dire, non intendevo starlo a sentire.

«Bene, se preferisce la strada più dura, mi sta bene» feci. «Parliamo della faccenda del ricatto.»

«Quale ricatto?» chiese sospettoso. C’era una vaga incertezza nella sua voce.

«Ha nascosto i dossier su Rachel Morris per ricattare il marito.»

«Non sa di cosa parla.»

«Vede, è qui che si sbaglia» replicai. «So esattamente di cosa parlo. Jamie Morris le ha chiesto di tacere e lei ha sicuramente concordato un prezzo. Poi tuttavia ha saputo che Rachel Morris è stata rapita da un perfido criminale, che ha già sequestrato e lobotomizzato quattro donne. Ora, aggiungiamo il fatto che il padre di Rachel è Donald Cole, e Jamie diventa d’un tratto il suo bancomat personale.»

«Lo dimostri.»

«Non ce n’è bisogno e le dirò perché. Ho conosciuto le guardie del corpo di Cole. Una è più alta di lei di otto centimetri e pesa venticinque chili di più, potrebbe stenderla senza batter ciglio. L’altra ha l’aria di chi gode a strappare le unghie con le pinze. Come crede reagirà Donald Cole quando scoprirà che lei ha nascosto informazioni che potrebbero aiutare a ritrovare la figlia? Crede che chiederà delle prove?»

Stephens sbiancò in volto.

Scossi la testa facendo un verso di disapprovazione e un brusco respiro. «Non penserà davvero di cavarsela, no?» Mi girai verso Templeton. «Non ci aveva riflettuto.»

«No, per niente» convenne.

L’investigatore deglutì a fatica. Sembrava un serpente a sonagli intento a buttar giù un topo. «Se le do quello che vuole, non rivelerà niente a Cole?»

«Sarò muto come un pesce.»

«Come faccio a fidarmi?»

Scossi di nuovo la testa e feci un altro verso di disapprovazione, accompagnato da un brusco respiro. «Questo è il punto, non può. L’unica cosa di cui può star certo è che se non mi darà quello che voglio, andrò dritto da Cole.»

Stephens si avvicinò alla stampa di Picasso e la tolse dal muro. Dietro c’era una piccola cassaforte a livello con la parete. Aveva una porta d’acciaio e un disco combinatore. A prova di fuoco, ma non di bomba. Stephens girò il disco a sinistra e poi a destra, due volte, rallentando quando si avvicinava ai numeri giusti. La aprì, prese una cartellina verde insieme a una chiavetta USB nera e me le porse con riluttanza.

Sulla cartellina, scritto nello spazio apposito con la sua grafia ordinata, si leggeva il nome Rachel Morris. L’unica vera differenza rispetto alle altre due che avevo visto era la sottigliezza, probabilmente perché si trattava di un caso più recente e quindi ancora da sviluppare. All’interno c’erano alcune fotografie di Rachel e un paio di fogli di informazioni sul suo conto. Nel complesso, nulla di entusiasmante.

«La roba forte è nella chiavetta» affermò quasi mi avesse letto nella mente. «Foto, trascrizioni, tutto quanto.»

«E non c’è altro?» chiese Templeton.

Lui scosse la testa. «È tutto.»

Ci avviamo verso la porta.

«Si ricordi che abbiamo fatto un patto» ci gridò dietro.

«Se fossi in lei, lascerei il paese» risposi. «Potrebbe essere una buona idea cambiare nome. Magari farsi anche una plastica.»

Uscimmo e il freddo mi penetrò subito nelle ossa. La luce dei lampioni mi conferiva un colorito arancione malsano. Mi strinsi il più possibile nella giacca di montone e sollevai il cappuccio, ma non servì. Se avessi accettato altri casi in Inghilterra, lo avrei fatto d’estate. Londra in giugno era sopportabile, in dicembre micidiale.

«Per questo ti hanno cacciato dall’FBI, vero?» fece Templeton. «Per numeri del genere. Sai, ho perso il conto di quanti reati abbiamo commesso oggi pomeriggio.»

«Tu ne hai commessi due» risposi. «Se però consideri il parcheggio in divieto a Camden, ne hai uno in più e in tal caso siamo pari. E per la cronaca, ho lasciato io l’FBI, non mi hanno licenziato.»

Templeton scosse la testa ma stava sorridendo. «Sei impossibile, Winter.»

«Ed è un fatto positivo, no?»

«Ancora non lo so. Jamie Morris è in grossi guai» aggiunse. «Non posso credere che abbia nascosto informazioni del genere. Che diavolo gli è saltato in testa?»

«Visto che la moglie lo tradiva, era giusto che avesse quello che si meritava: questo gli è saltato in testa.»

«Ma sarà torturata e, se non arriviamo in tempo, lobotomizzata. Gesù, Winter, che casino» esclamò prendendo il cellulare. «Lo faccio prelevare.»

Pensai a Sarah Flight che si consumava in quel centro per malati di mente. Al fatto che avrebbe guardato dalla stessa finestra ogni giorno per i prossimi cinquant’anni. Pensai a Rachel Morris, seviziata per puro piacere. E al biglietto da visita di Donald Cole nel mio portafoglio.

«Aspetta a fare quella telefonata» dissi.

«Morris deve rispondere di quello che ha fatto.»

«Certo. Ma rifletti: se lo porti dentro adesso, verrà accusato solamente di aver intralciato il corso della giustizia. Se si trova un avvocato decente, cosa che accadrà, se la caverà con una pacca sulla testa. Non finirà mai dietro le sbarre e questo non è giusto.»

Lei mi studiò con sospetto. «Parlavi sul serio quando dicevi che saresti andato da Cole, vero? Non bluffavi.»

«A volte la giustizia non funziona. Prendiamo i cattivi, ma loro riescono a farla franca grazie a qualche scappatoia legale, qui come negli Stati Uniti.»

«Non hai risposto alla domanda.»

«Faccio quello che ritengo necessario.» Indicai con un cenno il cellulare. «Proprio come te.»

Templeton guardò il telefono e lo rimise in tasca. «Questo non significa che concordi con quello che hai in mente. Devo solo riflettere sul da farsi.»

«Va bene.»

In quell’istante il mio cellulare ronzò nella tasca. Sullo schermo era comparso il nome di Hatcher.

«Dove diavolo sei, Winter?»

«Probabilmente è meglio che tu non lo sappia.»

«Be’, ovunque tu sia, va’ di corsa a Maidenhead. Abbiamo trovato uno studente di medicina caduto in disgrazia che corrisponde al tuo profilo.»