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Restai con Hatcher al lago e guardai Barnaby trascinare Graham Johnson verso casa. Aveva cominciato a nevicare. I grossi fiocchi sembravano sospesi nella luce dei lampioni, intrappolati nell’alone. Erano solo il preludio di quanto stava per accadere. I meteorologi avevano preannunciato una bufera e i mezzibusti erano sicuri che si sarebbe scatenato il caos, e io non avevo motivo di dissentire. Johnson era già a metà lago. Voleva chiaramente arrivare a casa prima che cominciasse a nevicare di brutto.
Restare bloccati lì sotto una bufera non sarebbe stato divertente per nessuno. Presi una sigaretta e l’accesi con lo Zippo d’ottone tutto ammaccato, ignorando l’aria di disapprovazione di Hatcher.
«Il colpevole era qui» dissi.
«È quello che ha detto Johnson?» chiese.
«Non a parole.»
«Allora che ha detto?»
«Non è importante quello che ha detto, ma quello che ha sentito. E ha sentito che qualcuno li stava osservando.» Indicai con un cenno il gruppetto d’alberi. «Esattamente da lì.»
«Quello che ha sentito» mi fece eco Hatcher «non so se reggerà in tribunale, Winter.»
«Questo è il problema di fare il poliziotto oggi. Passi troppo tempo a pensare come un avvocato e troppo poco a pensare come un detective.»
Mi avvicinai agli alberi e scrutai nel buio. Le ombre scure si muovevano insieme ai rami e nell’aria si udiva il sibilo sinistro del vento. Prima che Hatcher mi facesse la predica sul pericolo che contaminassi la scena del crimine, mi addentrai nel sottobosco e fui inghiottito dagli alberi. I rami mi sferzarono la faccia e il corpo, e ben presto mi ritrovai scarpe e jeans sporchi di fango. Hatcher era pochi passi più indietro, imprecava e protestava cercando di capire che diavolo stessi combinando.
Smisi di ascoltarlo e rimasi per un po’ in mezzo al boschetto, incurante dei fiocchi gelidi che mi pungevano il viso. Ebbi l’assoluta certezza che due sere prima il sequestratore fosse stato lì e percepii l’eccitazione della caccia.
Quand’ero piccolo, mio padre mi portava a campeggiare nelle foreste dell’Oregon, le stesse in cui conduceva le sue vittime. Mi aveva insegnato a sparare, a seguire le tracce e a maneggiare gli animali uccisi. Mi aveva spiegato che i forti sopravvivono e i deboli soccombono, così andava il mondo. Non so quante volte glielo abbia sentito ripetere. È una filosofia cinica, che ha acquisito un significato molto più pregnante dopo il suo arresto.
Mi accovacciai e mi spostai in cerca del punto d’osservazione migliore. Da quel luogo il criminale aveva avuto una visuale perfetta del lago e del sentiero che conduceva al Fighting Cocks. La cattedrale si stagliava imponente alla mia destra e distinguevo ancora Johnson e Barnaby, due sagome scure in lontananza. Le domande che mi urlava dietro Hatcher si confusero sempre più con il rumore di sottofondo mentre mi inoltravo nella vegetazione e venivo trasportato indietro nel tempo, a quella sera. Vedevo chiaramente la scena, come se fossi stato lì.
Ecco Graham Johnson, trascinato da Barnaby lungo la riva del lago. Cammina sotto la pioggia con la testa china e alza di tanto in tanto lo sguardo per vedere dove va. Nota un movimento sul sentiero alla sua sinistra e si ferma di colpo. Si tranquillizza un po’ quando vede che si tratta di Patricia Maynard e che è sola. Che pericolo può mai rappresentare una donna sola?
Però non si rasserena del tutto. Quella parte del cervello che ha permesso ai nostri avi di sopravvivere gli invia segnali d’allarme, e anche se abbiamo smesso di ascoltarla tanto tempo fa, riesce ancora a metterci in guardia, seppur a livello inconscio. Graham guarda prima Patricia, poi il punto in cui sono nascosto. Non mi vede, ma avverte la mia presenza. Sono solo una delle tante ombre. Patricia avanza incespicando come un’ubriaca verso il lago e lui l’afferra prima che cada nell’acqua gelida e scura, compiendo un gesto che lo trasforma nell’eroe del momento.
Uscii a fatica dalla boscaglia, mi scrollai i jeans e mi accesi una sigaretta. Nevicava più intensamente, i fiocchi erano grossi e fitti. Il vento gelido che arrivava dall’Artico mi penetrò nelle ossa. Mi misi il cappuccio e mi strinsi di più nel giaccone, ma servì a poco. Hatcher aveva smesso di assillarmi e stava parlando al cellulare con qualcuno della Scientifica.
«Bene, ecco la domanda» feci. «Tu sei il maniaco. Perché rischiare di venire qui? Perché non scaricare semplicemente la vittima e tagliare la corda?»
Lui chiuse la telefonata e mise via il cellulare. «Non è per questo che ti paghiamo lautamente? Perché tu risponda a domande del genere?»
«E perché scaricarla in un luogo pubblico?» proseguii, ignorandolo. «Ha fatto lo stesso con le altre. Tutte e tre sono state lasciate in un parco pubblico. Perché correre il rischio? Perché non mollarle in un luogo sperduto?»
Feci un altro tiro e pensai al criminale nascosto tra quei cespugli in una serata piovosa, a osservare e attendere. Ma cosa? Un istante dopo capii. «Vuole che vengano trovate» affermai sorridendo.
«Presumendo che tu abbia ragione, questo risponde alla seconda domanda» commentò Hatcher. «Ma che mi dici della prima? Perché si ferma?»
«Perché vuole essere certo che le trovino.»
«D’accordo, mi sta bene. Immagino che la prossima domanda sia: perché per lui è tanto importante?»
Mi guardava come se attendesse una risposta, un’intuizione cruciale in grado di far piena luce sul caso. Purtroppo, non avevo la risposta che cercava, non ancora.
Erano quasi le quattro. Quarantotto ore prima ero nel Maine con un giubbotto di kevlar addosso, a osservare una squadra SWAT assaltare un fienile coperto di neve in cui si era rifugiato un assassino di bambini. Il killer era stato ucciso da un cecchino, il che era stato un bene. Era sempre un assassino di bambini in meno al mondo.
Avevo già archiviato il caso. Il cattivo era morto e bisognava andare avanti. Per me conta solo il caso a cui lavoro, tutto il resto è storia, e per la storia non ho tempo. Rivivere i successi passati non ha mai salvato la vita a nessuno e rivangare gli insuccessi è raramente costruttivo. Avevo lasciato il Maine prima che avessero il tempo di complimentarsi e preso il primo volo dal Logan International a Heathrow senza alcun ripensamento. Cinquemila chilometri e cinque fusi orari più in là non era cambiato molto: nevicava sempre e avevo un altro mostro a cui dare la caccia.
«Che ne dici di andare al Fighting Cocks a berci qualcosa?» proposi.