25
Donald Cole era nato e cresciuto nell’East End ed era l’emblema dell’uomo che si era fatto da sé. Aveva lasciato la scuola a quattordici anni senza un centesimo né un diploma in tasca e messo in piedi una fiorente attività immobiliare, evitando in un modo o nell’altro di finire in carcere. Aveva avuto successo e voleva che si sapesse. Rachel Morris era la sua unica figlia femmina.
Il quartier generale della Cole Properties era a Stratford, una zona di Londra rifiorita grazie al gran circo delle Olimpiadi. Aveva sede in una vecchia fabbrica ristrutturata, un edificio di mattoni rossi a tre piani con le finestre oscurate sul lato sud. Il nome Cole spiccava a grandi lettere sull’insegna della facciata, mentre la parola «Properties» era scritta in minuscolo, più simile a una nota a piè di pagina che a un titolo. I furgoni delle TV erano parcheggiati davanti alla palazzina, con le parabole puntate verso il cielo. Sky, BBC, ITV. Cameramen, tecnici del suono e reporter si aggiravano in attesa che accadesse qualcosa.
Templeton parcheggiò la BMW il più possibile vicino all’ingresso, sulle righe gialle doppie. Scendemmo, chiudemmo le portiere e ci incamminammo svelti nella neve sciolta. Il cielo era di un azzurro intenso e la temperatura leggermente al di sotto dello zero. I cronisti ci bersagliarono di domande e i cameramen si affrettarono a puntare le telecamere nella nostra direzione. A testa bassa e a bocca chiusa entrammo nell’atrio, passando sotto un getto d’aria calda.
Mentre scrollavo la neve dalle scarpe e mi aprivo il giaccone, Templeton si avvicinò decisa alla receptionist e le disse che dovevamo vedere Cole. La donna balbettò che ci doveva essere stato un equivoco, perché il signor Cole aveva cancellato tutti gli appuntamenti della giornata, al che le mostrò il distintivo. Il tempo di una telefonata ed eravamo in ascensore, diretti al terzo piano. L’assistente personale di Cole ci venne incontro sulla porta. Attorno alla quarantina, bionda ed efficiente, da ragazza doveva essere stata uno schianto, perché ancora adesso era bella. Ci condusse in un corridoio bianco, decorato con fotografie insignificanti in bianco e nero che pretendevano d’essere artistiche, e si fermò davanti a una grande porta a due battenti. Bussò due volte, la aprì e si scostò per farci passare.
L’ufficio di Cole era grande quanto la sala operativa di Scotland Yard, ma pulito e ordinato. E anziché puzzare di detective, odorava di arance e di sigaro.
Due divani di pelle bianca disposti a L accanto a un tavolino di vetro servivano per gli incontri informali. La grande scrivania di quercia con la poltrona presidenziale di pelle era invece riservata agli affari. Costosi tappeti coprivano quasi tutto il pavimento di legno e le pareti erano decorate con altre fotografie insignificanti in bianco e nero.
Le foto di famiglia in cornici d’argento, collocate con gran cura sul tavolo, ritraevano tre generazioni dei Cole. Era strano che non ci fosse qualche familiare con lui. Date le circostanze, mi aspettavo di trovare almeno la moglie. Forse, visto che era assente, non riusciva a sopportare la situazione.
Donald Cole era davanti a una finestra con i vetri scuri che andava dal pavimento al soffitto, e fissava assente il paesaggio cittadino. Lì in piedi, intento a guardare senza vedere, mi ricordò Sarah Flight. Ci dava la schiena e aveva un sigaro acceso tra le dita. Era un uomo grosso, alto e largo. Aveva un volto severo, segnato sul naso e sulle guance dai capillari, come accadeva ai bevitori. Non aveva il naso rotto, il che significava che prima picchiava e poi faceva le domande oppure pagava qualcuno per i pestaggi. Probabilmente da giovane aveva un fisico poderoso, da vero duro, ma gli anni avevano trasformato i muscoli in grasso. Portava un pesante bracciale d’oro, un anello a sigillo e un grosso orologio costoso, un modo non troppo discreto per ricordare a tutti ricchezza e successo. Indossava un abito e un paio di scarpe di lusso fatti su misura.
«Avete trovato il bastardo che ha preso mia figlia?»
La sua voce assomigliava a un basso ringhio. Stava ancora guardando dalla finestra.
«I bastardi» lo corressi. «I rapitori sono due.»
Si girò e ci fissò. Era una mossa studiata ad arte per intimorire, che altre volte doveva essersi rivelata efficace. Aveva sia l’aspetto sia la presenza fisica per riuscire nel suo intento. Io tuttavia non mi scomposi. Ero stato squadrato da uomini ben più pericolosi di Cole, che non avrebbero esitato a farmi a pezzi divertendosi da matti.
«Non sto scherzando. Quei bastardi hanno preso mia figlia e quando gli metterò le mani addosso, gli staccherò la testa.»
«No, non lo farà» rispose Templeton. «Accadrà invece che li prenderemo noi e finiranno in tribunale, dove verranno processati e spediti in prigione per un bel po’.»
«E pensa che in prigione siano al sicuro?»
«È un buon momento per informarla che ho addosso un microfono?» chiesi.
Riprovò allora con l’aria da duro. Stavolta reagii con uno sbadiglio e lui divenne ancora più paonazzo.
«Chi è questo yankee? E che diavolo fa nel mio ufficio?»
«Signor Cole,» disse Templeton «deve ritirare l’offerta della ricompensa.»
«Mi dia una sola valida ragione per farlo.»
«Gliene darò quattro.» Mi avvicinai alla scrivania, presi dalla tasca le quattro foto postrapimento delle vittime che avevo sottratto dalla sala operativa e le sbattei sul ripiano come se fossero carte da gioco. La curiosità ebbe allora il sopravvento. Cole le guardò e poi mi fissò.
«Cos’è?»
«Dia un’occhiata» affermai. «È quello che accadrà a sua figlia se non ritirerà l’offerta.» Studiò le immagini mentre lo osservavo con attenzione. Dal suo volto non traspariva molto, ma notai che nella sua mente si stava insinuando il dubbio. «Tutte queste donne avevano genitori che le amavano, che come lei avrebbero fatto di tutto per riaverle sane e salve. Purtroppo a loro è andata male.»
«Io rivoglio solo mia figlia.»
«Lo so ma mi creda, offrire una ricompensa di un milione di sterline non è il modo per riaverla.» Tacqui e guardai le foto disposte sulla scrivania, aspettando che Cole facesse lo stesso. «In questo momento, grazie alla sua iniziativa, il centralino di Scotland Yard è intasato. Chiunque abbia visto una donna vagamente somigliante a sua figlia prova a telefonare perché vorrebbe vincere il lauto premio della nuova lotteria.»
Lui fissò le fotografie senza dire una parola. Stringeva il bordo del tavolo con le mani, aveva gli occhi socchiusi e le labbra tese. Ero sicuro che in tutte e quattro le immagini vedesse il volto di Rachel.
«Poi ci sono gli alieni» proseguii. «Quelli che indossano copricapo di stagnola, sono in contatto diretto con la nave madre e ritengono che la scomparsa di Rachel sia dovuta a un complotto governativo. E il problema è, signor Cole, che tutte queste telefonate vanno verificate. Ha idea di quanti uomini saranno sprecati per ore e ore? Ore che andrebbero impiegate per qualcosa di costruttivo come per esempio, non so, trovare sua figlia. L’ironia è che tra tutte quelle chiamate una è probabilmente quella da considerare, che sarebbe comunque arrivata anche se lei non avesse offerto una ricompensa. Nella peggiore delle ipotesi andrà perduta, nella migliore finirà sepolta da una tonnellata di stronzate inutili, e quando ne avremo colto l’importanza, sarà troppo tardi per aiutare Rachel.»
Scrollai le spalle. «Certo, potremmo essere fortunati e individuarla subito ma glielo dico fin d’ora, anche se amo le scommesse: le probabilità sono scarse.» Tamburellai il dito sul tavolo per essere certo che mantenesse l’attenzione sulle fotografie. «Se non farà quello che le chiediamo, dovrò aggiungere la foto di Rachel alla collezione.»
Lui le fissò ancora per un po’ e la maschera di durezza si allentò, lasciando trasparire qualche emozione. Prese la foto di Patricia Maynard e la esaminò con cura.
«D’accordo, ritiro l’offerta» disse lanciandomi un’occhiata che era una sfida e un monito. «Ma sarà meglio che troviate la mia bambina.»
L’assistente personale ci accompagnò all’ascensore e aspettò con noi che arrivasse. Entrammo, le porte si chiusero e Templeton premette il pulsante del pianterreno.
«Adori le competizioni tra maschi alfa, vero?» disse. «Perché non vi siete presi a cornate? E non avete ingaggiato una bella lotta?»
«Per la cronaca, non ci stavamo prendendo a cornate.»
«Provocare Cole in quel modo potrebbe non essere stata una mossa furba. Se non stai attento, ti sveglierai con una testa di cavallo nel letto.»
Prima che potessi rispondere, suonò il mio cellulare. Sul monitor comparve il nome di Hatcher. Risposi e lo salutai.
«Non ci crederai» disse. «Nonostante la trovata di Cole, forse abbiamo una mezza pista.»