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Entro nel bar, mi pulisco i piedi sullo zerbino, mi scrollo la neve dal cappotto e resto lì per un istante a osservare i clienti. Sposto lo sguardo dall’uno all’altro, senza soffermarmi. Do solo una rapida occhiata per vedere se sia lui, poi passo al successivo. Mi ha dato una descrizione ma nessuno corrisponde, perché mi ha dato una descrizione falsa.

E mi ha dato una descrizione falsa perché ora è qui e mi sta osservando.

Do un’altra occhiata ai clienti. No, non funziona. È un luogo troppo affollato. Troppo rischioso. Il maniaco è attento. Vuole essere visto il meno possibile con la vittima, vuole ridurre l’esposizione. Aspettare lì non comporta nessun vantaggio.

Ordino da bere al banco. Una Coca-Cola o una limonata, forse una minerale gassata con uno spruzzo di lime. Pago e vengo a questo tavolo in disparte, il che significa che nessuno mi infastidirà o cercherà di attaccare bottone. Ho una buona visuale dell’ingresso, il che è importante perché non intendo lasciarmelo sfuggire quando arriverà.

Abbiamo concordato di vederci alle otto perché non ci si dà mai appuntamento cinque minuti prima o sette dopo l’ora esatta, ma io arrivo in anticipo perché per me è tutto nuovo e sono eccitata, decisamente su di giri. Ho camminato troppo in fretta dalla fermata del metrò. Faccio tutto troppo in fretta.

Mi dico di rilassarmi, ma non serve. Ogni volta che la porta si apre, giro di scatto la testa con il cuore che mi batte forte. In questa fase non mi passa per la testa che possa non venire. Sono da poco passate le otto, quindi non è tardi. Non ancora. Guardo il telefono per controllare messaggi o chiamate perse. So che non ci sono, ma guardo lo stesso. Ci deve essere una spiegazione logica se ancora non è qui. Forse è stato trattenuto in ufficio, forse è bloccato dalla neve. Poso il telefono sul tavolo e cerco di non fissarlo.

Il tempo passa. Bevo, guardo la porta, aspetto. Ogni volta che si apre per l’ennesimo falso allarme, mi sento più stupida e arrabbiata. Più tempo passa, più è probabile che mi dia buca. Vado al bar e ordino un bicchiere di vino.

Tornata al tavolo, bevo, controllo il telefono e aspetto ancora un po’. Quanto aspetto? Secondo Andy un’ora e mezzo. È plausibile. Se non arriva e non telefona in quell’arco di tempo significa che non verrà più. Finisco il vino, controllo il telefono per l’ultima volta, mi metto il cappotto e mi dirigo verso la porta.

Aprii gli occhi e finii di bere. L’alcol mi bruciò la gola e lo stomaco riscaldandomi a poco a poco. Templeton mi stava fissando dall’altra parte del tavolo.

«La fede» incalzò.

La ignorai. «Dai un’occhiata ai clienti e dimmi cosa vedi.»

«Vari uomini d’affari. E allora?»

«Adesso dai un’altra occhiata e dimmi cosa non vedi.»

«Alcolisti, senza tetto, squattrinati. Operai.»

«Secondo le statistiche nel locale c’è almeno un alcolista in questo momento, forse anche un cocainomane, ma sì, hai fatto centro.»

Ci alzammo e raggiungemmo la porta. Appena messo piede fuori, fummo investiti da una folata d’aria polare. Il vento gelido mi sferzò la faccia e mi strinsi nel giaccone, sollevando il più possibile il colletto. Una telecamera sopra la porta era posizionata in modo da riprendere le facce di chi entrava. Il proprietario del bar non era interessato a quanti uscivano, perché una volta fuori diventavano un problema altrui. Mi feci un appunto mentale: procurarmi i video di tutte le telecamere.

Mi fermai sul marciapiede, guardai a destra e a sinistra. Era tardo pomeriggio, stava scendendo il crepuscolo e i lampioni erano già accesi. Non era una strada principale ma neanche un vicolo buio. Era affollata di auto, taxi e persone che camminavano svelte per raggiungere un riparo dal freddo.

«Guarda i negozi» dissi. «I ristoranti, le macchine, la gente. Cosa vedi?»

«Soldi.»

«Questo è il terreno di caccia del nostro uomo. Qui si sente a suo agio, a casa. Si confonde.»

«Il che sostiene la tua teoria sul fatto che sia ricco.»

«I predatori si appostano per cacciare la preda. Scelgono un punto nell’erba alta e aspettano. Dov’è l’erba alta qui?»

Mi guardai attorno e notai un caffè dall’altra parte della strada. Non era proprio di fronte, ma valeva la pena controllare. Attraversai schivando una Mercedes che sterzò per non investirmi. All’esterno c’erano due tavoli per fumatori. Sulla vetrina, dipinto in graziose lettere rosse, si leggeva «Mulberry’s». Entrando, passammo sotto un getto d’aria calda. Era un locale di medie dimensioni, abbastanza grande da garantire l’anonimato, elemento fondamentale per il nostro uomo.

Dai due tavoli accanto alla vetrina si godeva un’ottima vista di Springers; riuscivamo a vederne la sala al di là delle quattro finestre: era illuminata come una zucca di Halloween. Vedevo i singoli volti, i movimenti delle labbra di chi stava conversando, le decorazioni natalizie e le luci colorate. Vidi Andy, il barista, chiudersi la giacca e avviarsi verso la porta. Il divano su cui si era seduta Rachel Morris era nascosto nell’ombra, ma riuscii vagamente a distinguerlo.

«L’erba alta è qui. Ora, ci sono due possibilità. O qui c’è il nostro uomo, che guarda e aspetta l’arrivo di Rachel, oppure c’è la sua partner.» Riflettei per un attimo e scossi la testa. «No, non funziona. Deve essere per forza il partner dominante. Ricordi cos’ha detto Andy il barista? Una donna sola darebbe nell’occhio.»

«Allora che ruolo ha la partner in tutto questo?» chiese Templeton.

«Probabilmente guida l’auto quando fuggono.»

«Un’auto e non un furgone? Un furgone sarebbe più pratico per nascondere qualcuno.»

«Se i rapimenti avvenissero di giorno, sarei d’accordo. Non c’è niente di più anonimo di un furgone bianco per le consegne, giusto? Ma la sera, in una zona come questa, attirerebbe l’attenzione.»

«Ma non è rischioso?» osservò lei. «Restare qui in attesa che Rachel si stanchi ed esca dal bar.»

«Sempre meno che aggirarsi per strada. Se lo avesse fatto, qualcuno lo avrebbe sicuramente notato.»

«Ma perché prendersi la briga di aspettare? In questo modo aumenta il tempo di esposizione, e quindi il rischio d’essere visto e preso. Il Sezionatore sa che Rachel verrà, quindi perché non rapirla prima che raggiunga il bar?»

«Il Sezionatore! Gesù, gli ha dato un soprannome. Detesto i soprannomi. Legittimano i criminali, li trasformano da schifosi bastardi in miti.»

«Torna alla mia domanda, Winter. Perché aspettare?»

«Perché il sequestratore vuole catturare la preda cogliendola alla sprovvista, quando ha abbassato la guardia. Ho una domanda per te. Cosa fa la gente nei bar? Non ci pensare troppo. Di’ semplicemente la prima cosa che ti passa per la testa. Quella più ovvia.»

«Beve.»

Mi guardò come se fosse la domanda più stupida che si fosse sentita fare e la risposta più stupida che avesse mai dato.

«Esatto, beve. L’alcol è una delle droghe più efficaci per ridurre le inibizioni sociali. Se vuoi che qualcuno abbassi la guardia, gli offri un paio di drink. Inoltre l’alcol è legale e puoi procurartelo ovunque.» Annuii tra me mentre un sorriso mi compariva sulle labbra. «Quell’uomo è in gamba, molto in gamba. Vuoi sapere perché non l’avete ancora preso?»

«Illuminami.»

«Perché fa in modo che siano le vittime a sbrigare il lavoro duro.»