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«Puoi slacciare queste cinghie, Rachel?»

«No. Altrimenti Adam mi farà di nuovo del male.» Rachel fissò il buio in direzione della poltrona. «Mi dispiace.»

«Non preoccuparti. Non avrei dovuto chiedertelo. Non è giusto.»

«Sta’ tranquilla.»

«Come te la stai cavando?»

«Tu cosa pensi? Sono stata rapita e torturata, mi hanno tagliato un dito e rasato i capelli.»

«Sei molto coraggiosa.»

«Tu mi credi coraggiosa, invece sono una stupida.» Rachel sbuffò e scoppiò in una mezza risata scuotendo la testa. «Ho voluto incontrare uno sconosciuto con cui chattavo e non ho detto a nessuno dove andavo. È una cosa assolutamente stupida.»

«Non è vero, Rachel. Hai fatto uno sbaglio. Niente di tutto questo è colpa tua.»

«Belle parole, ma non cambiano la situazione. Adam continuerà a torturarmi e alla fine mi lobotomizzerà come ha fatto con le altre.»

«Usciremo di qui.»

«Smetti di ripeterlo. Non succederà.»

«Usciremo di qui, Rachel. Devi credermi.»

«No. Non sai com’è.»

Poi le venne in mente un’idea che le gelò il sangue nelle vene. E se quella donna era un’altra Eve? Se era un trucco come il telefono nell’atrio? Un altro giochetto di Adam? Ripensò a quanto le aveva detto, si ripeté ogni parola per capire se avesse parlato troppo. Sophie sosteneva che sarebbero uscite di lì. Faceva parte del gioco? Adam stava ascoltando, in attesa che lei concordasse per avere un altro pretesto per torturarla?

«Tu lavori con lui, vero?» chiese. «Non sei una poliziotta.»

«Sono un detective della polizia, Rachel. Devi credermi.»

«Dimostralo.»

Silenzio e poi un sospiro. «Non posso.»

«Vedi, lavori con lui.»

«È proprio quello che intendevo. Qualsiasi cosa io dica, tu la deformi per provare quello che vuoi.»

«Ed è proprio quello che io mi aspettavo tu dicessi.»

«So che hai paura, ma devi fidarti di me. Sono dalla tua parte.»

Scoppiò in un’altra mezza risata e avvicinò di più le ginocchia al petto abbracciandole con forza. «Tu non hai idea» sussurrò. «Ma se dici di essere quella che sei, ben presto la avrai.»

«Spero usciremo di qui prima di scoprirlo.»

«Ecco, altre bugie. Adam non ti farà del male.»

«Mi chiamo Sophie Templeton. Sono un sergente della Metropolitan Police. In questo momento c’è un esercito di poliziotti che ci sta cercando.»

«Altre bugie. Se davvero ci fosse un esercito di poliziotti che mi sta cercando, perché non mi hanno ancora trovato? Perché non hanno trovato le altre?»

«Perché io sono un’agente di polizia e questo cambia tutto. Quando accade un fatto del genere a uno dei nostri, siamo implacabili.»

«Fantastico» esclamò Rachel. «Quindi c’è una legge per la polizia e una per tutti gli altri. Forse se avessero preso il mio rapimento più seriamente, adesso sarei libera. Forse avrei tutte le dita.»

«Non dico che sia giusto, Rachel, ti sto solo spiegando come stanno le cose.»

«Non fai altro che mentire. Non sei un detective, non hai mai lavorato per la polizia e non c’è un esercito di poliziotti che ci sta cercando.» Rachel si scrollò le coperte di dosso, si alzò e fissò il buio verso la telecamera più vicina. «Non sto più ai tuoi giochi!» Gridò. «Mi senti? Smetti di incasinarmi la testa.»

Le luci si accesero, la porta si aprì e Adam entrò nella stanza. Rachel si accasciò contro il muro e cercò la coperta per conforto. Lui si avvicinò al materasso e sfoderò un ghigno. Poi prese a battere la canna sul palmo della mano con un movimento lento e ritmico. Tap, tap, tap.

«Numero Cinque, devi imparare a controllare la rabbia.»

Sollevò la canna e Rachel si ritirò ancor di più nell’angolo. Lui scoppiò a ridere e le sfiorò il corpo con la punta del bastone. Il bambù le grattò la pelle nuda, impigliandosi nella maglietta e nei pantaloni. Si fermò quando arrivò ai piedi. Adam scosse la testa, sfoderò un altro ghigno e un secondo dopo la canna sibilò nell’aria e la colpì. Rachel urlò e si rannicchiò, infilando il piedi sotto le coperte. Le sembrava fossero in fiamme.

«Smettila» gridò Sophie.

Adam allora si avvicinò alla poltrona. Studiò Sophie per un istante con la testa piegata di lato, poi si mise al lavoro con il bastone. Fu una manifestazione brutale di violenza. La canna la colpì sulle gambe, sulle braccia, sul corpo. Fischiava e sibilava nell’aria e a ogni colpo scatenava altre grida, che si fecero tuttavia sempre più sommesse fino a cessare del tutto. Rachel avrebbe voluto urlargli di fermarsi ma la sua voce non obbediva. Avrebbe voluto soccorrere quella donna ma era paralizzata dalla paura. Avrebbe voluto chiudere gli occhi ma non riuscì a fare neanche quello. L’unica cosa che poté fare fu stare a guardare, impotente.

Adam si bloccò con la stessa rapidità con cui si era scatenato. Calò il silenzio. Uno tubo lontano vibrò è un’asse del pavimento cigolò. Rachel aveva ancora le orecchie che le ronzavano per i sibili della canna e sentiva ancora le urla di Sophie. Guardò nella sua direzione, convinta che l’avesse uccisa. Sophie non si muoveva e aveva gli occhi chiusi. Doveva essere morta. Adam appoggiò il bastone alla poltrona e prese una siringa dalla tasca. Gliela conficcò nella gamba e lei rinvenne con un gemito.

«Dimmi tutto quello che la polizia sa» disse. «Se menti, me ne accorgerò e ci saranno conseguenze.»

Sophie gli disse tutto e quand’ebbe finito, lui se ne andò spegnendo le luci.

«Adesso mi credi?» fece.

«Scusami.»

«Usciremo di qui.»

Rachel non disse nulla perché non c’era nulla da dire. In quel momento Sophie aveva bisogno di sperare, di poter negare. Rachel lo capiva perché ci era passata. Era passata anche attraverso le fasi di rabbia, di patteggiamento e di depressione. Quello a cui aveva appena assistito l’aveva condotta all’accettazione.

Non avrebbe più rivisto la luce del sole né camminato a piedi nudi sulla sabbia calda. Le avrebbero portato via tutti i ricordi, come se non fosse mai esistita. Era peggio della morte, molto peggio. Si avvicinò alla poltrona nel buio e posò delicatamente una mano sulla spalla di Sophie, che trasalì. Lei tuttavia rimase lì finché la sentì rilassarsi.

«Usciremo di qui» mormorò ancora Sophie con voce rotta.

«Certo.»