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«Te la caverai bene» affermai.

Templeton si limitò a guardarmi in cagnesco. Se avesse potuto uccidermi con lo sguardo, mi sarei ritrovato steso su un tavolo d’obitorio. La parrucca mora e le lenti a contatto marroni la facevano sembrare un’altra persona, e l’uniforme le conferiva un’aria autorevole. Parrucca e lenti erano per la partner sottomessa: guardandola, avrebbe visto una delle sue bambole. Sapere che una era morta sarebbe stato un duro colpo; apprenderlo da una persona che a quelle bambole assomigliava, lo avrebbe reso ancor più difficile da accettare. E più duro era il colpo, più tesi sarebbero diventati i rapporti tra i due. E facendo pressione nel punto giusto, puoi rompere qualsiasi cosa, persino i diamanti.

«Andrà alla grande» aggiunsi.

«È facile per te dirlo. Non finirai in pasto ai leoni.» Templeton si tirò il colletto della giacca e si scrollò le maniche. «Mi sembra di indossare una dannata camicia di forza.»

Prima che potesse aggiungere altro, aprii la porta e la spinsi dentro. «In bocca al lupo» sussurrai.

Lei mi lanciò un’altra occhiata fulminante, poi entrò nella sala a grandi passi come una professionista, calma e sicura di sé, mascherando bene il nervosismo. Salì i gradini del podio e nella stanza calò il silenzio. Era gremita di giornalisti, non c’era un posto libero.

Chiusi la porta e mi sedetti davanti a un piccolo monitor. C’era solo una telecamera e le immagini sarebbero arrivate ai canali TV con una differita di venti secondi. Azionando il pulsante antipanico, le avrei bloccate di colpo se avessi visto o sentito qualcosa che non mi piaceva. Sarebbe bastata una differita di dieci, ma avevamo preferito andare sul sicuro perché non c’era spazio per gli errori. Potevamo compiere un tentativo soltanto e affinché funzionasse dovevamo avere il controllo totale delle informazioni divulgate, ossia delle informazioni trasmesse alle televisioni. Nessuno ascoltava i notiziari radiofonici e quando la notizia fosse apparsa sui quotidiani, il giorno dopo, chi ci avrebbe fatto più caso? Contava solo la TV. Se una fotografia valeva mille parole, un video ne valeva diecimila.

La conferenza stampa era stata programmata in modo che venisse trasmessa dai telegiornali all’ora di pranzo. Salvo gravi attentati terroristici o la morte di qualche celebrità, sarebbe stata la notizia principale di mezzogiorno e lo sarebbe rimasta fino al notiziario delle sei o anche oltre. Massimo impatto, massima esposizione.

«Fa la sua figura lassù» osservò Hatcher. Era seduto accanto a me e fissava attentamente lo schermo. «Dovrei farglielo fare più spesso, soprattutto quando dobbiamo dare qualche cattiva notizia. È sempre più facile sentire una brutta notizia quando a dartela è una bella donna.»

«Concordo» affermai.

Templeton guardò la telecamera e si presentò come ispettore Sophie Templeton.

«Immagino sia una tua idea» si lamentò Hatcher.

«La dichiarazione ha più peso se a rilasciarla è un ispettore» replicai, incollato allo schermo.

Templeton iniziò a leggere il testo che avevo preparato. Ignorò i giornalisti e parlò alla telecamera come se fosse l’unica presenza nella sala. Sembrava rilassata. Non aveva lo sguardo fisso, l’espressione era serena e il respiro tranquillo, proprio come avevamo stabilito.

La dichiarazione fu breve e puntuale. Sarah Flight era morta nella notte in seguito alle lesioni cerebrali subite durante la prigionia; per la polizia ora si trattava di un caso di omicidio.

Proseguì parlando di Rachel Morris. Fece una descrizione dettagliata dei suoi ultimi movimenti da quando aveva lasciato il lavoro fino al momento in cui era uscita da Springers e terminò con il consueto appello alla popolazione a riferire qualsiasi informazione.

A quel punto il folto gruppo di giornalisti cominciò a tempestarla di domande. Tutti sapevano che non erano previste, ma non poterono trattenersi. Templeton gestì la situazione con grande abilità. Non esitò né si dimostrò impaurita. Ignorò le domande, ringraziò sbrigativamente, scese dal podio e lasciò la stanza con la stessa sicurezza con cui era entrata.

Appena varcata la porta, si strappò la parrucca e la gettò per terra, si tolse la retina e scosse i capelli, legandoseli in una coda. Sbottonò la giacca, la sfilò e la buttò su una sedia.

«Datemi una sigaretta, subito!»

Afferrò il pacchetto dalle mie mani, ne accese una e fece un lungo tiro. Le tremava la mano. Una volta tanto Hatcher tenne la bocca chiusa.

«È andata bene» dissi. «Sul serio.»

«Zitto, Winter. Sono stata terribile, una vera incapace.»

«Winter ha ragione» aggiunse Hatcher. «Hai fatto un ottimo lavoro.»

Templeton stava per mandarlo al diavolo, ma prevalse il buon senso e si trattenne. Mandare al diavolo il capo non ti aiuta a far carriera, lo sapevo bene. Fece un altro tiro e quando espirò il fumo, si liberò di tutta la tensione accumulata.

Guardò truce Hatcher. «Non mi faccia più fare una cosa del genere.»

Si guardò attorno in cerca di un posto dove gettare la sigaretta ma non lo trovò. Mi lanciò un’occhiataccia e la buttò nel mio caffè. Il mozzicone si spense sfrigolando. Senza dire altro, si girò e uscì impettita dalla stanza.

«Si calmerà» disse Hatcher.

«Me lo auguro.» Osservai il mozzicone galleggiare nella tazza. Mi dispiacque che l’avesse fatto: il caffè era ottimo. Giusta quantità, giusta intensità e non era nemmeno rimasto troppo al caldo nella caffettiera.

«Ti rendi conto di quanto faccia acqua il tuo bluff, Winter? Se qualcuno va a parlare con Amanda Curtis, salta tutto.»

«Per questo Amanda Curtis si trova attualmente in una lussuosa spa sotto falso nome. Pagate voi, a proposito.»

«E il personale di Dunscombe House? Mandiamo anche loro in una lussuosa spa?»

«Non dobbiamo continuare a bluffare per sempre, ma solo quel tanto da indurre la partner sottomessa a credere che una delle sue bambole sia morta.»

«Quando i media scopriranno che li abbiamo usati, mi crocifiggeranno. Questo lo sai, vero?»

«Non se li prendiamo. Allora sarai un eroe» dissi sfoderando un bel sorriso. «Sai una cosa, Hatcher: ti preoccupi troppo.»

«E tu troppo poco. E adesso che facciamo?»

«Aspettiamo» risposi facendomi serio.