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«Hatcher è fuori di sé» disse Templeton mentre scendevamo in ascensore ai piani sotterranei di Scotland Yard. Sta dando strigliate a tutti. Io sono scappata appena in tempo, prima che toccasse a me.»
«Dategli un po’ di tregua» risposi. «Hatcher ha troppe cose a cui pensare e adesso dovrà affrontare le ripercussioni del caso Trent, perché quell’uomo urlerà ai quattro venti d’essere stato arrestato ingiustamente. Ed è un mal di testa di cui avrebbe potuto fare a meno.»
«Credevo davvero che Trent fosse il nostro uomo.»
«Come molti altri.»
«Tu invece no.»
«Sulla carta pareva interessante.»
«Questo significa eludere, non rispondere alla domanda.»
«Quando ho a che fare con un sospettato, non mi entusiasmo mai molto. Sono rimasto troppo spesso deluso. Prima di prendere una decisione definitiva, preferisco sedermi e parlare con l’interessato.» Pensai al killer di bambini del Maine che si era ucciso piuttosto che farsi arrestare e aggiunsi:«Ammesso di riuscire a portarlo dentro».
«Mi stai dicendo che riesci a capire se qualcuno è colpevole o innocente semplicemente parlandogli?»
«Finora non mi sono mai sbagliato.»
Scoppiò a ridere. «Con un superpotere del genere, forse dovremmo lasciar perdere l’intero apparato della giustizia. Risparmieremmo una fortuna.»
«L’apparato della giustizia non ha niente a che fare con la colpevolezza o l’innocenza» osservai. «Lo sai bene quanto me. Tutto dipende da chi può permettersi l’avvocato migliore.»
L’ascensore si fermò, le porte si aprirono e ci incamminammo in corridoio fianco a fianco.
«Se Trent non è il nostro uomo, siamo al punto di partenza» commentò. «Dobbiamo fare un passo indietro e riesaminare tutto. Ci dev’essere sfuggito qualcosa.»
«Certo, ma dobbiamo anche stare attenti a guardare solo gli alberi e non vedere la foresta» affermai. «La cosa migliore che possa fare ora è lasciar perdere.»
«È più facile a dirsi che a farsi.»
Sfoderai un sorriso. «Non me lo dire.»
«Bene, perché non ci vediamo nel tuo albergo stasera e buttiamo giù qualche idea?»
«Mi pare un buon piano. Però sarebbe meglio vedersi in camera mia.»
Templeton mi lanciò un’occhiata. Aveva il sopracciglio sinistro inarcato e uno strano sorrisetto sul volto.
«Per avere spazio per tutto il materiale» mi affrettai ad aggiungere.
«Va bene, facciamo alle otto. Avrò il tempo di passare da casa per farmi una doccia, cambiarmi e dare da mangiare al gatto.»
«Hai un gatto?»
«Ti sorprende?»
Ci pensai e scossi la testa. «Mi pare logico. Non porti la fede, perciò è probabile che tu non sia sposata. Lavori fino a tardi e sei ambiziosa, il che non favorisce le relazioni a lungo termine. Suppongo che tu viva sola ma che ami la compagnia, quindi è logico avere un animale. I cani sono molto impegnativi, i pesci noiosi. Restano i gatti. Sono indipendenti e poco impegnativi. Sono animali pratici e mi sembri una persona pratica.»
Templeton scoppiò a ridere e scosse la testa. «Dicono che gli uomini vengano da Marte e le donne da Venere, ma da quale pianeta vieni tu, Winter?»
Arrivammo alla stanza dei computer e lei batté rapida tre volte sulla porta prima di aprirla. Sumati Chatterjee era circondata dai monitor in un angolo del minuscolo locale, Alex Irvine era alla sua postazione, di fronte. Alzarono contemporaneamente lo sguardo, ma stavolta Alex fu un po’ più veloce. Lanciai la chiavetta a Sumati, che l’afferrò con due mani. Aveva un’aria stupita e turbata, come se le avessi lanciato una bomba.
«Ho bisogno di vedere cosa c’è dentro» dissi. «Non credo sia predisposta per autocancellarsi, ma stia attenta.»
«Lo faccio sempre.»
Inserì la chiavetta in una porta USB e si mise al lavoro. Cliccò, puntò il mouse, digitò sulla tastiera con grazia e precisione. Alex si scostò dal tavolo e si avvicinò con la poltroncina.
«Bene, sono dentro» annunciò Sumati. «E sono contenta di dirvi che non ci sono virus, né altre brutte sorprese.»
«Cos’abbiamo?» chiese Templeton.
«Quattro fotografie e un po’ di file di testo» nient’altro. «Cosa volete prima?»
«Le foto» rispose.
«Mentre le guardiamo, può stamparci i file di testo?» chiesi ad Alex.
«Certo.»
Mi guardò come se non potesse credere che gli avessi chiesto di fare una cosa tanto umile, poi sospirò. Esortò Sumati a sbrigarsi: lei scaricò in fretta le foto e gli porse la chiavetta. Alex tornò al tavolo; dopo un po’ lo sentii pestare sulla tastiera e cliccare con forza il mouse, sospirando di tanto in tanto. La stampante laser nell’angolo cominciò a ronzare e a sputare un flusso costante di fogli.
«Bene, cos’abbiamo?» fece Templeton.
L’eccitazione nella sua voce fu contagiosa; si accalcarono tutti e tre davanti agli schermi. Sumati cliccò e la prima immagine apparve sul monitor di sinistra. Mostrava Rachel Morris che entrava da Springers. Era di profilo e quindi si vedeva solo metà volto, ma era sufficiente a identificarla. «Gesù» bofonchiò Templeton accanto alla mia spalla. Non disse altro ma fu molto eloquente. Ripensai alla via in cui si trovava Springers e considerai tutte le angolazioni.
«Non è stata scattata da Mulberry» affermò.
«No» convenni. «C’era un ristorante più in su, un piccolo locale thailandese chiamato, che strano…, Piccolo Locale Thailandese. Scommetto che l’investigatore era là perché, uno: il nostro uomo aveva già occupato il posto migliore da Mulberry. Però in quella fase Stephens non poteva sapere che era lui. Due: Stephens aveva deciso di prendere due piccioni con una fava e mangiare qualcosa mentre teneva d’occhio Rachel Morris.»
«E il terzo motivo?»
«Poteva addebitare il conto a Jamie Morris. Bene, che c’è di interessante in questa foto? E intendo di molto interessante.»
Templeton scrollò le spalle.
«Mettiamola in un altro modo. Come faceva Stephens a sapere che Rachel Morris sarebbe andata da Springers? Non la pedinava. Si è messo comodo nel Piccolo Locale Thailandese e ha aspettato che arrivasse.»
I suoi occhi azzurri divennero ancora più azzurri. «Perché ha installato uno spyware sul suo computer.»
«Alex» esclamai. «Mi servono al più presto quelle stampate.»
«Ci sto lavorando» rispose cupo e irritato.
La fotografia seguente mostrava Rachel Morris che usciva da Springers. Era in piedi all’ingresso e guardava a sinistra lungo la strada, in cerca nel suo uomo. Sperava ancora che non fosse venuto per un valido motivo: un problema sul lavoro, un ingorgo, un’amnesia per aver battuto la testa. Guardava in direzione del Piccolo Ristorante Thailandese e si vedeva bene il volto. La definizione dell’immagine non permetteva di coglierne lo stato d’animo, ma bastava a decifrarne il linguaggio corporeo. In quell’istante Rachel provava sentimenti conflittuali: tensione, irritazione, rabbia, per non parlare del fatto che si sentiva stupida.
La terza fotografia fu una delusione come le precedenti. La ritraeva con il criminale, ma si stavano allontanando dall’obiettivo e di entrambi si vedeva solo la schiena. Stephens aveva visto Rachel avviarsi da sola e pensato di aver finito per quella sera. Aveva pagato il conto, era uscito in strada e si era accorto invece che non era sola. Il guaio era che si trovava nel punto sbagliato per fotografarli di fronte.
«Tutto inutile» esclamò Templeton.
«Non del tutto» osservai. «Rachel è alta un metro e settanta, il criminale di più. Direi sotto il metro e ottanta. È di corporatura media, quindi adesso sappiamo due cose con certezza.»
«Un secondo e ve ne darò un’altra» intervenne Sumati. Cliccò, digitò e la foto a poco a poco cambiò. Tutto divenne più nitido e definito, i colori più marcati. Puntò un’ultima volta il mouse e cliccò. «Ecco. Ha i capelli castani.»
Anche la quarta foto fu una delusione. Mostrava il retro di una Porsche che si allontanava dall’obiettivo, e il fatto che Stephens l’avesse allegata significava che apparteneva al sequestratore. Sembrava nera, ma avrebbe potuto essere bordeaux, verde bosco o di qualsiasi colore scuro. Però era sicuramente una Porsche. Le Porsche hanno il motore posteriore e di conseguenza una sagoma molto riconoscibile. Una buona notizia, dato che confermava la questione della multa.
«Posso zoomare sulla targa» disse Sumati.
«Non serve» rispose Templeton. «L’abbiamo già controllata ed è falsa. Puoi fare qualcosa per scoprire di che colore sia la macchina?»
«Certo.» Sumati la elaborò con un programma apposito. Puntò, cliccò, ingrandì ed ebbe la risposta in trenta secondi. «È nera» rispose.
Alex ci raggiunse e mi porse le stampate.
«Bella macchina» esclamò.
«Ho bisogno che risalga al modello e all’anno di costruzione con la massima precisione possibile» gli dissi. «Voglio un elenco di tutti i proprietari di Porsche che vivono a nord del Tamigi.» Tacqui e pensai alla puntina rossa su St Albans. All’anomalia. «Facciamo un passo più in là. Allarghiamo la ricerca a un raggio di quindici chilometri all’esterno della M25.»
«Non c’è problema.» Tornò alla sua postazione e si mise al lavoro.
La prima stampata era una trascrizione di una conversazione in chat che Rachel aveva avuto con il sequestratore. Risaliva a tre settimane prima ed era stata effettuata usando il computer dell’ufficio. Stephens aveva installato un programma che memorizzava i tasti battuti, perciò avevamo solo le frasi di Rachel. Ero in grado di colmare i vuoti ma con parole mie, che non mi avrebbero fornito una vera immagine del nostro uomo. Passai al foglio seguente e a quello seguente ancora. In meno di un minuto li avevo scorsi tutti.
«Allora, cosa abbiamo?» chiese Templeton.
«È abile» dissi. «Ha indotto Rachel a confidargli cose che probabilmente non avrebbe detto neanche alla sua migliore amica. Sapeva quali tasti premere, quando andare più a fondo e quando fermarsi. Ha agito con calma e con attenzione, e ha catturato la preda solo al momento giusto. È un esperto nell’arte dell’adescamento. Ha citato Springers per la prima volta due giorni prima di rapirla. Ha scelto lui il posto, il che non sorprende. Deve averlo controllato prima. Se avessimo una fotografia frontale, potremmo confrontarla con il filmato delle telecamere di sicurezza e scoprire quando. Lo avrà fatto di recente, quindi qualcuno del personale se lo ricorderebbe. Ovviamente il problema è che non abbiamo una fotografia frontale.»
«Ha avuto fortuna, Winter, devi ammetterlo.»
«La fortuna non c’entra. Il nostro uomo è attento, organizzato e meticoloso. Fa tutto con due obiettivi in mente: vuol continuare la sua attività e non vuol essere preso.»
«C’è altro?»
«Sì. È una cosa per Sumati.» La maga del computer drizzò le orecchie e si voltò a guardarmi. «Il sito che hanno utilizzato è cheatinghusband.com. Cheatinghusband, una parola sola. Molti di questi siti tengono copie delle conversazioni degli utenti. Controlli se è così e in tal caso si procuri le copie delle conversazioni tra Rachel Morris e il sequestratore. Vorrei proprio leggere quello che ha scritto lui.»
Templeton scosse la testa. «È maledettamente frustrante. Se Stephens avesse scattato una foto di fronte, domani mattina avremmo potuto sbattere dentro il Sezionatore e la sua amica.»
«Perché non contattare Stephens e chiedergli una descrizione?» propose Sumati.
«Vuoi farlo?» chiesi a Templeton.
«È probabile che non l’abbia mai visto in faccia per via dell’angolazione» rispose. «Ha seguito Rachel Morris dal bar. A un certo punto il Sezionatore le si è accodato, ma Stephens era alle sue spalle, quindi non può averlo visto in volto.»
«E anche se lo avesse visto,» aggiunsi «probabilmente non servirebbe a niente. I testimoni oculari sono del tutto inaffidabili. Chiedi a dieci testimoni di descrivere una persona e ti diranno che è alta e bassa, bianca e nera, magra e grassa, bionda ma forse anche mora, castana o grigia. Accidenti, metà di loro ti direbbe addirittura che è una donna anziché un uomo.»
«Ho fatto una domanda stupida» affermò Sumati.
«Non era una domanda stupida. In questa fase della partita non ci sono domande stupide.»
«Guardando il lato positivo,» affermò Templeton «direi che siamo più avanti di prima.»
«Non abbastanza per i miei gusti.» Mi rivolsi di nuovo a Sumati e Alex. «Non appena trovate qualcosa, qualsiasi cosa, chiamatemi. A qualsiasi ora del giorno e della notte.»
«Sicuro» risposero quasi all’unisono. Nessuno dei due tuttavia alzò lo sguardo: erano incollati agli schermi, persi nel cybermondo.
Lasciammo la stanza dei computer e prendemmo l’ascensore fino al quarto piano. Il mio cellulare vibrò e sullo schermo apparve il nome di Hatcher.
«Cos’hai per me, Hatcher?»
«Avevi ragione a proposito della prima vittima. Dai coroner non è emerso niente, perciò ho detto a uno dei miei di recuperare tutti i casi irrisolti di omicidio degli ultimi due anni. Ce n’è uno degno di nota. Charles Brenner era un diciassettenne che si prostituiva nella zona di King’s Cross. È stato rapito diciotto mesi fa e ucciso con un martello. Chiunque sia stato, ha fatto un lavoro accurato. Gli ha ridotto la testa e la faccia in poltiglia.»
«E la ragione per cui è degno di nota è che non c’erano lesioni palesi in altre parti del corpo, almeno non riconducibili all’assassinio.»
«Come lo sai?»
«Per questo mi pagate così tanto» risposi. «Lasciami indovinare. A causa del mestiere che faceva è stata ritenuta un’aggressione sessuale. In fondo, c’erano abbastanza prove a sostegno. La polizia ha fatto il suo dovere ma senza sprecarsi. Avevano un corpo e una storia plausibile. Nessuno ha pianto la scomparsa di Brennen o insistito perché trovassero l’assassino. In effetti, se avesse avuto qualcuno, non avrebbe fatto marchette a King’s Cross. Dove hanno gettato il corpo?»
«A Barking.»
«È a nord del fiume? »
«È a nord del fiume» confermò Hatcher. «Non so dirti con certezza se sia il nostro uomo, ma il mio fiuto mi dice che potrebbe esserlo.»
«È il nostro uomo, Hatcher. L’epoca corrisponde e la geografia anche. Che altro c’è?»
«Chi dice che c’è altro?»
«Hai un tono allegro.»
«Fottiti, Winter.»
«Stai ancora ridendo.»
Hatcher scoppiò a ridere. «Hanno rubato un orbitoclasto dal Glenside Museum di Bristol. È successo poco prima che Sarah Flight venisse rapita. La cattiva notizia è che la polizia non ha preso sul serio il furto. Non hanno sottratto altro. Hanno pensato allo scherzo di uno studente.»
«Quanto tempo ci vuole per andare a Bristol?»
«A quest’ora direi un paio d’ore, un’ora e mezzo se usi i lampeggianti e schiacci l’acceleratore.»
Significava perdere in tutto cinque ore, quattro delle quali passate in macchina. Saremmo stati fortunati a rientrare per mezzanotte. Potevamo impiegare meglio il nostro tempo. «Mi servirà un elicottero» dissi.
«E a me una McLaren formula uno.»
«Parlo sul serio, Hatcher.»
«Non posso procurarti un elicottero, Winter.»
«Mi serve solo per un paio d’ore. Prometto di restituirlo. Te lo giuro.»
«Non posso procurarti un elicottero.»
«Certo che puoi. Sei il capo. Sei il più alto in carica dopo Dio, ricordatelo. Puoi fare tutto ciò che vuoi.»
«Per la terza e ultima volta, Winter, non posso procurarti un elicottero.»
«Scusa, il segnale fa scherzi, non ti sento.» Terminai la chiamata e rimisi il cellulare in tasca. «Andiamo a Bristol» dissi a Templeton. «In elicottero.»
«Fantastico» esclamò.