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Templeton si fermò davanti a una porta a metà di un corridoio sotterraneo, bussò energicamente un paio di volte e poi la spalancò. La stanza era piccola e stipata di attrezzature informatiche. I server ronzavano e cliccavano, le ventole di raffreddamento ruotavano. Un condizionatore manteneva la temperatura a livelli gradevoli: né troppo caldo né troppo freddo.

Due maghi del computer stavano lavorando ai terminali, un uomo e una donna. Si girarono simultaneamente, come se fossero azionati dallo stesso meccanismo, e ci squadrarono. Nessuno dei due ricordava lo stereotipo dell’esperto informatico. Non indossavano jeans strappati, magliette sporche di quattro giorni o occhiali spessi come fondi di bottiglia, né avevano un fisico da Jabba the Hutt. Erano snelli, sulla trentina, ben vestiti. Sembravano avvocati o commercialisti.

La ragazza era indiana, bella, con due grandi occhi a mandorla, e ti guardava come se sapesse qualcosa che a te sfuggiva. Portava un anello di fidanzamento, ma non la fede. Il ragazzo aveva i capelli fulvi e un colorito rosso. Non portava anelli, ma il Tag Heuer sembrava autentico.

«Ti presento Alex Irvine e Sumati Chatterjee» disse Templeton.

«Salve» esclamarono all’unisono.

Visti i nomi e l’aspetto, presumevo parlassero con qualche accento, invece no. Sembravano arrivare da Oxford o Cambridge o dal Massachusetts Institute of Technology.

«Allora chi di voi è il migliore?» chiesi.

«Io.» Stavolta non risposero all’unisono. Sumati batté il collega per un soffio. Si guardarono e attaccarono a discutere animatamente. Mi appoggiai alla porta a osservarli e Templeton mi affiancò. Era abbastanza vicina perché potessi cogliere il lieve effluvio del suo profumo.

«L’hai fatto apposta» bisbigliò.

«Certo. Possono non sembrare esperti informatici, ma l’aspetto talvolta inganna. Non è necessario togliere tanti strati per metterne in luce la vera natura. Allora, chi ha la collezione più vasta di cimeli di Star Wars

«Sumati. Però non di Star Wars, è una fan di Star Trek

«Parla klingoniano?»

Templeton alzò le spalle.« Come diavolo faccio a saperlo?»

«BIjatlh ’e’ ylmev!» esclamai.

Sumati si bloccò a metà di un’invettiva e mi fissò come se fossi un alieno. Anche Templeton mi fissò. «Ho un’ottima memoria» le sussurrai. «Ideale per quiz, esami e per stupire degli emeriti sconosciuti.»

«A dire il vero,» fece Sumati «“BIjatlh ’e’ ylmev” è giusto se vuol dire a una sola persona di tacere.»

«Ma se sta parlando a più persone, è più corretto “sujatlh ’e’ ylmev”. Sì, sì, lo so. Volevo solo attirare la sua attenzione.» Mi voltai verso Alex. «Mi dispiace, ma sembra che stavolta abbia perso. Mi rivolgerò a Sumati.»

«Perché parla klingoniano?»

«No, perché è una donna che sa farsi valere in un ambiente maschile, il che significa che deve essere almeno dieci volte più in gamba di lei.»

«Allora, che posso fare per lei, signor Winter?» chiese Sumati.

«Penso a questo punto di doverle chiederle come sa il mio nome, in modo che possa dimostrarmi quant’è in gamba.»

Lei sorrise. «Internet.»

«Logico. Sa a quale caso sto lavorando?»

«Certo. A quello del Sezionatore.»

«Il nostro criminale cerca le sue vittime in internet. Mi serve che dia un’occhiata ai loro computer, per vedere quello che può trovare.»

«L’ho già fatto. Non abbiamo trovato niente.»

«Questo perché non avete cercato abbastanza. Dia un’altra occhiata e stavolta parta dal presupposto che possa essere più in gamba di voi, non un’idiota qualsiasi capace a stento di usare Internet Explorer. Parta dai computer di Rachel Morris, perché è l’ultima vittima. Non credo abbia già avuto l’occasione di esaminarli, quindi può cominciare da zero. Cerchi in modo approfondito e troverà qualcosa, glielo garantisco.»

«Suppongo che tutto questo le serva per ieri.»

«Naturalmente.»

«Lasci fare a me.»

Templeton aprì la porta.

«Il suo klingoniano» affermò Sumati. «Sono rimasta colpita, ma deve migliorare la pronuncia.»

«Qapla.» Stavolta scandii bene le sillabe gutturali.

«Meglio» commentò lei.

Templeton chiuse la porta; ci incamminammo verso l’ascensore.

«Immagino significhi “fottiti”» osservò. «Ad ogni modo, così sembrava. Non mi è parso che le augurassi una vita lunga con tanta salute, soldi e felicità.»

«La traduzione letterale è “successo”, ma si usa come saluto. Non c’è una traduzione per “fottiti”. Se lo dicessi a un klingoniano, scatenerebbe un conflitto all’ultimo sangue.»

Templeton scoppiò a ridere. «I saccenti non piacciono a nessuno. Soprattutto quelli che ti sbattono spudoratamente in faccia il loro sapere.»

«Non faccio parte della categoria.»

«Sì, certo, lo dice uno che parla un klingoniano fluente e che probabilmente può sciorinarti tutti i titoli degli episodi di Star Trek

«Non sono in grado di farlo.»

Ci fermammo e lei mi fissò negli occhi.

«Okay» ammisi. «Sono in grado di farlo, ma solo per quanto riguarda la serie originale. E tanto per la cronaca, questo non mi rende un saccente, ma solo una persona che ama sapere le cose.»

Lei sfoderò un sorriso compiaciuto. «Ovviamente.»