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C’erano quattro cicatrici in totale. Una sul ventre, una su ciascun braccio e la quarta sulla coscia. Le bruciavano la carne. La più lunga e profonda misurava una decina di centimetri; era quella sul bicipite sinistro. Quando Adam aveva iniziato a inciderle la coscia era svenuta e quel taglio non se lo ricordava. L’ultima cicatrice era la più corta, poco più di due centimetri. Quando aveva smesso di gridare, lui aveva smesso di tagliare.

Mentre era priva di conoscenza, Adam le aveva ricucito le ferite e disinfettato con un antisettico. L’odore di quest’ultimo le era rimasto addosso. Rachel era seduta sulla poltrona ma non era legata. Era nuda, aveva freddo e sentiva i muscoli irrigiditi per essere rimasta tanto a lungo in una posizione scomoda.

Le luci si accesero e il cuore prese a batterle all’impazzata. Fissò lo sportello e attese che la voce di Adam risuonasse dagli altoparlanti, o che le passasse qualcosa dallo sportello, ma non successe niente. Si alzò troppo in fretta e per poco non cadde. Le girava la testa per la disidratazione e gli effetti della droga, ed era debole. Raggiunse traballante l’angolo più vicino e fissò l’occhio nero della telecamera.

«Cosa vuoi da me?» urlò.

Gli altoparlanti rimasero muti.

«Cosa vuoi?» mormorò.

Scivolò lungo il muro fino a mettersi in ginocchio raggomitolata. Lacrime calde le rigarono le guance, ma le asciugò subito con la mano. La realtà la investì all’improvviso, con violenza. Non avrebbe più rivisto il sole, non lo avrebbe più sentito sulla pelle nei giorni d’estate, non avrebbe più percepito la sabbia calda sotto i piedi, non avrebbe perso tempo a spettegolare con le amiche, riso davanti a una bottiglia di vino né mangiato nel suo ristorante preferito.

E poi il futuro che non avrebbe mai avuto. Per lei era scontato che un giorno avrebbe avuto dei figli, forse anche due o tre. Jamie le aveva fatto credere di desiderare la stessa cosa ma tutte le volte che sollevava l’argomento, lui aveva trovato qualche misera scusa sostenendo che non fosse ancora il momento.

Jamie non le sarebbe mancato, se ne rese conto d’un tratto, il che le scatenò un pianto ancora più intenso per tutti quegli anni sprecati. Suo padre aveva ragione. Avrebbe potuto avere molto di meglio. A quel tempo aveva creduto che fosse iperprotettivo, ma ora capiva che aveva visto giusto. Si asciugò le ultime lacrime e sollevò la testa. Ora il suo mondo era questo: una cella di venti metri per venti con un pavimento freddo di piastrelle, un materasso macchiato e una poltrona sporca di sangue. E il suo futuro era alla mercé di Adam.

«Smettila» si disse. «Smettila, smettila. Smettila!»

Si accorse che stava parlando ad alta voce e tacque all’istante. Era davvero preoccupante iniziare a parlare da soli. Solo i pazzi lo facevano. Questo significava forse che stava impazzendo? E in tal caso, sarebbe stato un male? Se la situazione era tanto tragica da farla uscire di senno, forse sarebbe stata la cosa migliore dopo quella di tentare la fuga. Rifletté per un istante, ma decise che non era vero: era solo la soluzione migliore dopo la rinuncia.

Lo sportello sbatté e Rachel vide comparire un secchio. Attese istruzioni, restò ferma per alcuni minuti ma gli altoparlanti rimasero muti. Aspettò ancora un po’ perché temeva fosse un giochetto di Adam.

Tuttavia gli altoparlanti restarono muti.

Si alzò e attraversò esitante la stanza. Girò ancor più al largo dalla poltrona, ma non poté fare a meno di guardarla, attratta ipnoticamente dai braccioli sporchi di sangue. C’erano più macchie di prima. Raggiunse la porta e guardò nel secchio. Era pieno di acqua saponata e nella schiuma galleggiava una spugna. Accanto al secchio c’era un asciugamano, abiti puliti e un tubetto di pomata antisettica.

«Ti sentirai meglio quando ti sarai lavata» sussurrò Eve. «C’è una pomata, eviterà che i tagli si infettino.»

«Grazie.»

«Mi dispiace che Adam ti abbia fatto del male. Gli ho chiesto di non farlo, ma lui mi ha riso in faccia. Dice che sono stupida.»

«Non sei stupida, Eve.»

«Sono stupida. Stupida, stupida, stupida.» Nella sua voce si percepiva la rabbia che provava per se stessa.

«Tuo fratello sa che sei qui, Eve?»

Il silenzio durò abbastanza da convincerla che non le avrebbe risposto.

«È uscito. Mi ha detto di controllare che ti lavi prima che torni. Devi lavarti, altrimenti passerò dei guai.»

Rachel avvertì la sua angoscia e immaginò quanto fosse spaventoso vivere con Adam. Lei era lì da un paio di giorni e aveva già iniziato a parlare da sola. Cosa doveva essere vivere con lui da anni?

«Sta’ tranquilla, Eve, mi laverò.»

Rachel si tolse la biancheria e iniziò a ripulirsi. L’acqua era calda e profumata di lavanda. Si lavò via tutto il sangue coagulato e la sporcizia, facendo attenzione attorno alle ferite per non strappare i punti. Si sciacquò il viso e dopo un po’ si passò la spugna sulla testa rasata. L’acqua calda divenne d’un tratto fredda. Ributtò la spugna nel secchio, si asciugò e si spalmò un po’ di antisettico sui tagli, sussultando quando sentiva bruciare. Indossò gli abiti puliti, identici agli altri: maglietta grigia, mutandine bianche, pantaloni da ginnastica grigi, niente calze, né scarpe, né pantofole. Si chiese fino a che punto spingersi e decise di tentare.

«Se ti avessi conosciuta in un posto diverso, penso che saremmo potute diventare amiche, Eve.»

«No, impossibile» rispose lei scandendo le parole. Sembrava arrabbiata, solo che stavolta la rabbia era rivolta verso di lei. «Non saremmo mai potute diventare amiche perché tu sei bella e io brutta.»

«Non sei brutta.»

«E come lo sai? Non mi hai mai vista.»

Prima che potesse rispondere, le luci dello scantinato si spensero e sentì Eve allontanarsi, inviperita, in corridoio. Udì i suoi passi sulle scale di legno e percepì una porta lontana aprirsi e chiudersi.

Bel colpo.

Rachel era furiosa con se stessa. Si era spinta troppo in là e troppo presto. Sarebbe sempre stata impaziente, sempre. Adesso poteva solo sperare di non aver rovinato il rapporto con Eve. Se non l’avesse avuta dalla sua parte, non vedeva proprio come sarebbe potuta uscire di lì. Stava per tornare al materasso quando si rese conto che nella serie di rumori che aveva sentito quando Eve si era allontanata ne mancava uno.

Non aveva udito scattare il fermo dello sportello.