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L’assistente personale di Greg Flight ci condusse nel grande ufficio d’angolo all’ultimo piano di un edificio di tre affittato dalla Fizz, l’agenzia pubblicitaria di Soho. Non era una delle più importanti, ma nemmeno una delle più scadenti: si collocava nel mezzo e viveva grazie alle briciole che le gettavano Saatchi & Saatchi e gli altri colossi.
L’ufficio di Flight era spazioso e ordinato, come del resto la scrivania. I mobili avevano spigoli arrotondati ed erano di legno scuro. Dalla parete piena di diplomi e fotografie si capiva che aveva una scarsa stima di sé e voleva a tutti i costi essere preso sul serio. Faceva del suo meglio per nascondere l’insicurezza e, vista la sua posizione di art director, ci riusciva abbastanza bene.
L’assistente ci accompagnò verso due poltrone accanto alla finestra. Erano di pelle morbida ed erano disposte in modo che, quando le tende erano sollevate, chi si sedeva avesse il sole in faccia. Quella di Flight era grande, simile a un trono, sistemata di fronte alla finestra in modo che chiunque gli rivolgesse la parola fosse costretto a guardare in quella direzione. Ed era più alta di quasi dieci centimetri. Il gioco di potere era evidente e patetico, indicativo di una profonda disperazione.
Templeton rimase in piedi al mio fianco, slanciata e imponente, e squadrò Flight con il tipico atteggiamento da poliziotta. Lui apparve teso, disorientato nella sua gigantesca poltrona, il che fu un bel colpo per noi. Una vittoria immediata. Flight aveva giocato le sue carte ma non avrebbe potuto commettere un errore peggiore. Aveva creduto di dominare la situazione sbagliando di grosso. Se in quel momento si fosse alzato, avrebbe potuto tranquillamente sventolare bandiera bianca. Non devi mai fare una mossa finché non sei assolutamente certo di quella dell’avversario: questo sosteneva la regola aurea dei giochi di potere. Sun Tzu aveva visto giusto duemilacinquecento anni fa, quando aveva affermato che bisognava conoscere il proprio nemico.
L’assistente gli lanciò un’occhiata e chiuse piano la porta alle sue spalle. Era una brunetta vivace di poco più di vent’anni, sicuramente incapace. L’aspetto atletico compensava tuttavia l’incompetenza: era l’unica ragione per cui Flight poteva averla assunta.
Gli sorrisi sovrastandolo e lui ricambiò. Faceva il possibile per salvare la faccia, ma aveva già perso e non lo sapeva nemmeno. Anche lui non portava la fede. Il suo modo di affrontare la realtà era la negazione, e aveva fatto un ottimo lavoro nel cancellare Sarah dalla sua vita. Se l’incontro si fosse svolto a casa sua anziché in ufficio, non avremmo notato nessuna testimonianza della loro vita insieme. Niente fotografie, niente ricordi, niente souvenir. Anzi, era molto probabile che avesse venduto la casa in cui abitavano. Templeton aveva dovuto fare una grande opera di convincimento affinché ci concedesse cinque minuti del suo tempo, non perché fosse impegnato, ma perché rappresentavamo il passato da cui rifuggiva in ogni modo.
«Da quanto se la scopa?» chiesi.
Flight sembrò confuso, preso in contropiede, proprio come desideravo. Aveva sentito la domanda, ma non sapeva se avesse capito bene. «Prego?» disse.
Scrollai le spalle. «Mi stavo chiedendo da quanto facesse sesso con la sua assistente personale. La ragazza sa di avere i giorni contati?» Annuii tra me. «Ovviamente sì. Essere incompetenti non significa essere stupidi. Allora, se la scopava da prima che Sarah venisse rapita? Assomiglia molto a Sarah, sa?»
Lui si limitò a fissarmi a bocca aperta, esterrefatto.
Scossi la testa. «No. Sarah è stata rapita l’anno scorso e immagino che da allora ci siano state sei o sette donne. Una ogni due mesi, direi. Le assomigliavano tutte?»
Flight continuò a fissarmi.
«Scopava in giro quando sua moglie era in mano al rapitore.» Annuii di nuovo tra me. «Sì, certo. E prima ancora aveva già avuto qualche storia. È fatto così: vede una donna che le piace e deve averla, al di là di chi ferisce.»
Tacqui per qualche istante. «Ha mai amato veramente Sarah? Sto parlando di amore vero, di quel sentimento che ti induce a sacrificare la tua vita per l’altro.» Scossi ancora la testa. «No, ovviamente. Non avrebbe mai potuto, e questo perché è un coglione egocentrico con la fobia dei legami seri.»
Flight divenne paonazzo e si scagliò contro di me. Si mosse veloce per essere un uomo che passava gran parte della vita a una scrivania e coprì la distanza che ci separava in pochi secondi. Mi colpì con forza al petto e io barcollai all’indietro. Un attimo prima ero in piedi, un attimo dopo steso a terra con Flight addosso. Cercai di liberarmi ma era troppo grosso. Chiuse la mano a pugno. Aveva il volto contorto dalla rabbia, le labbra tese e gli occhi fuori dalle orbite. Lottai ancora e mi immaginai diversi scenari, ma al di là di come avessi affrontato la situazione, sarei finito male. Il dubbio in quel momento era: quanto male?
Ma il pugno non arrivò mai.
Il peso sul petto sparì e quando aprii gli occhi, Greg Flight mi stava guardando in cagnesco di lato, a breve distanza. Era tanto vicino che sentivo l’odore di caffè vecchio del suo alito. Aveva la guancia destra premuta contro la moquette e Templeton gli stava sopra, tenendogli il braccio dietro la schiena.
«Questo è un abuso da parte della polizia» esclamò, la voce attutita dalla moquette.
Mi misi a sedere, incrociai le gambe e lo guardai. Quanto ai giochi di potere, quello era piuttosto efficace. Adesso mi trovavo quasi un metro più in alto e lui era bloccato a terra da una donna, il che lo infastidiva ancor di più. Nel suo mondo le donne erano persone di second’ordine.
«Tecnicamente, non è un abuso da parte della polizia perché non sono un poliziotto» replicai.
Templeton gli torse di più il braccio e lui fece una smorfia. «Mi lasci andare.»
Piegai la testa di lato perché potessimo guardarci negli occhi. «Senta, Greg, qui nessuno la giudica. A essere onesti, non mi interessa sapere chi si scopa. Cerco solo di farmi un’idea di come fosse il vostro rapporto quando Sarah è stata rapita.»
«Mi lasci andare» ripeté.
«La lasceremo andare quando inizierà a collaborare. E io rifletterei attentamente prima di rispondere alla prossima domanda. Con una leggera pressione in più, quella spalla si lusserà. Rimetterla a posto fa un male cane, come se le frantumassero un vetro nell’articolazione.»
Tacqui e gli lasciai un istante per digerire il concetto. Mi guardò furioso, come se volesse escogitare modi ben più crudeli per nuocermi.
«Bene, ecco la domanda da un milione di dollari, Greg: il suo matrimonio era a pezzi, vero?»
«Lei non sa di che parla.»
«Risposta sbagliata. Mi dispiace, niente premio.»
«Il mio matrimonio non aveva niente che non andasse.»
«Sì, è quello che ha detto alla polizia. E dato che erano concentrati a cercare di ritrovare sua moglie, non hanno scavato più di tanto, giusto?» Tacqui e poco dopo assunsi un tono più dolce, più calmo, più confidenziale. «Ogni volta che fa sesso con la sua assistente personale, pensa a Sarah. Al fatto che si consuma in quell’ospedale, e il senso di colpa la divora.»
Il suo sguardo guizzò in basso, in cerca dell’anulare senza l’anello. Templeton gli strattonò di nuovo il braccio e lui cacciò un urlo.
«Direi un altro strattone e la spalla si lussa, Greg. Forse è bene che ci rifletta.» Tacqui di nuovo. «Siamo appena andati a trovare Sarah. Quell’ospedale privato non costa poco, però gli affari le vanno bene e penso che se lo possa permettere. Il senso di colpa si attenua un po’ quando vede gli addebiti mensili della retta?»
Lui distolse lo sguardo e girò la testa verso la moquette. Quando tornò a guardarmi, capii che era giunto a una decisione e che era quella giusta.
«Le cose tra noi non andavano bene da un po’» mormorò.