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Rachel sentì lo sferragliare di un carrello alle sue spalle e cercò di girarsi. Le cinghie di cuoio le si conficcarono nelle braccia e nelle gambe, bloccandole la circolazione e facendole formicolare le dita. Vedeva le pareti di lato ma non quella con la porta.

«Numero Cinque, guarda davanti» ordinò Adam.

Voltò di scatto la testa e fissò il materasso. Si costrinse a respirare lentamente e si impose di rilassarsi, malgrado le fosse impossibile. I lividi che le si stavano formando sulla schiena, doloroso ricordo del pestaggio, le pulsavano in sincronia con il cuore. Il disinfettante, che aveva un nauseabondo aroma di pino, le fece girare la testa.

Adam entrò con grande calma nella stanza. Avanzò lentamente alle sue spalle, accompagnato dal cigolio delle ruote di gomma del carrello. Glielo dispose davanti perché lo vedesse bene. Era simile ai carrelli ospedalieri: l’acciaio inossidabile scintillava sotto le lampade alogene. Aveva tre ripiani e le ruote nere. Era pieno di attrezzi d’ogni sorta, la maggior parte noti, alcuni no. Un martello, una sega, un paio di bacinelle, occhiali di protezione, ferri da maglia con le estremità annerite su una fiamma. Abiti puliti e un asciugamano sul ripiano in basso. Rachel provò a deglutire ma aveva la bocca completamente secca. La schiena le faceva un male insopportabile ma guardando il carrello, capì che il peggio doveva ancora arrivare.

Fissò la serie di strumenti immaginando una scena da incubo dopo l’altra. Era troppo giovane per morire. Non era giusto. Quante cose voleva fare ancora: avere dei figli e vivere felice, andare in Messico, a New Orleans e a vedere le piramidi, arrivare alla fine della sua vita senza rimpianti. Ma quello che aveva ora erano solo rimpianti, una sfilza infinita di cose che avrebbe voluto fare in modo diverso.

«Numero Cinque, sta’ ferma.»

Adam prese un paio di forbici d’acciaio da parrucchiere e le afferrò una ciocca di capelli. Rachel tentò istintivamente di ritrarsi, ma lui le raddrizzò la testa con uno strattone tanto forte che per poco non le strappò i capelli.

«Numero Cinque, sta’ ferma o affronterai le conseguenze.»

La punta delle forbici, acuminata come un ago, era a pochi millimetri soltanto dal suo occhio sinistro. Era troppo vicina perché riuscisse a vederla; distinse solo una macchia grigia luccicante. Chiuse gli occhi e aspettò il colpo che l’avrebbe accecata. Passarono alcuni lunghi secondi. Udì il rumore di forbici che tagliavano; aprì gli occhi e vide una ciocca di capelli cadere per terra. Adam ne tagliò un’altra, ma Rachel stavolta non la vide cadere perché gli occhi le si riempirono di lacrime.

Fu rapata quasi a zero. Appena finito, gettò le forbici sul carrello e il rumore metallico ruppe quel silenzio teso. Prese quindi una bottiglia d’acqua e gliela versò in testa. Rachel cercò di scostarsi ma le cinghie la bloccavano. Tossì e sputò, convinta di stare annegando. Lui le versò addosso le ultime gocce e posò la bottiglia sul carrello. Rachel aveva la maglietta fradicia ed ebbe una sensazione di gelo che le scatenò i brividi. Adam prese infine una confezione di gel da barba, se ne mise un po’ sulla mano e glielo massaggiò sulla testa.

«Numero Cinque, stai molto ferma.»

Si mise all’opera con il rasoio e alla fine fece un passo indietro per ammirare il suo lavoro. Piegò la testa da una parte all’altra controllando da ogni angolazione. Rachel restò il più possibile immobile, paralizzata e stordita, senza quasi respirare. Adam la slegò e le disse di alzarsi e di spogliarsi. Lei eseguì e non tentò nemmeno di nascondere la sua nudità. Rimase in piedi, tremante, con le braccia lungo i fianchi a fissare un punto per terra per non dover guardare lui. Adam le porse un asciugamano e le disse di asciugarsi, poi le diede abiti asciutti e le ordinò di indossarli. Alla fine se ne andò con il carrello e la porta si richiuse con un colpo, poi le alogene si spensero.

Era di nuovo tutto buio.

Rachel tornò al materasso e vi si buttò sopra. Si raggomitolò stretta nell’angolo, si avvolse nelle coperte mentre le lacrime le rigavano le guance. La testa calva le sembrò fredda, stranamente priva di peso.

Perdere i capelli era stato terribile, ma in quel momento era l’ultima delle sue preoccupazioni. Sospettava che Adam glieli avrebbe tagliati, ma aveva sperato fino all’ultimo, perché la verità era troppo spaventosa da accettare. Ma negarlo non funzionava più. Ripensò ai discorsi del mattino precedente in ufficio e le lacrime le scesero più abbondanti. Aveva parlato con alcune colleghe della donna che avevano trovato in un parco a St Albans. Era stata rapita e tenuta prigioniera per quasi quattro mesi, un’atrocità. Ma quello che la terrorizzava ancora di più era il fatto che le avessero rasato i capelli e l’avessero lobotomizzata. Secondo la polizia si trattava della quarta vittima.

Numero Cinque.

Le risuonò in mente la voce profonda, raffinata di Adam e quelle due parole le evocarono scenari agghiaccianti.