GLOSSARIO [ 1 ]
ABBANDONO: stato degli uomini privi della grazia divina. Abbandonato per primo dall’umanità in Adamo, Dio ha abbandonato gli uomini decaduti alla loro corruzione: essi errano verso la perdizione.
AMOR PROPRIO: amore di sé fino al disprezzo di Dio, volontà di farsi centro di tutto (p. 359).
ATTACCAMENTO: relazione sregolata, sfrenata, con un essere del quale si dimentica il carattere perituro e la radicale insufficienza. Pascal impiega in questo senso anche «amare sommamente» (aimer souverainement), e addirittura «amare». Sua sorella Gilberte scrive che «la sua tenerezza [...] non giungeva fino all’attaccamento...».
CARITÀ: amore di Dio, e di ogni realtà per Dio, fino al disprezzo di sé.
CONCUPISCENZA:
manifestazione dell’amore febbrile di sé, considerato sia nella sua
generalità (la concupiscenza), sia nella diversità delle sue
modalità (le concupiscenze). Pascal organizza questo rigoglio di
sentimenti e comportamenti cattivi ora in due rami: l’orgoglio e
l’indolenza, gli stoici e gli epicurei, con Epitteto e Montaigne
come figure di prua (cf. p. 139); ora, più spesso, in tre rami,
seguendo san Giovanni e sant’Agostino (cf. p. 509):
i piaceri (le voluptés): ciò che lusinga i
nostri sensi e assicura la felicità del corpo. Talvolta Pascal li
designa al singolare, la
concupiscenza;
la curiosità: desiderio sfrenato, prurito di tutto vedere, tutto
spiegare, che aliena l’uomo in una ricerca agitata di problemi
estranei al suo destino;
l’orgoglio (la superbe), la più radicale di
queste perversioni.
Ognuna delle grandi scuole filosofiche ha esaltato una di queste
concupiscenze: gli epicurei (le voluttà), i presocratici e diversi
filosofi sapienti (la curiosità), gli stoici (l’orgoglio). Queste
concupiscenze corrispondono ai «tre ordini» del reale: la carne, la
mente, la volontà. Per rettificare il proprio cuore falsato dal
culto di sé, l’uomo deve odiare se stesso, cioè odiare l’amor
proprio che lo assedia e lo accieca.
CUORE: il cuore pascaliano è la sede delle conoscenze intime, immediate e non dimostrabili: queste conoscenze sono essenziali, sia perché costituiscono il punto di partenza di tutte le altre (i primi princìpi, come essere, tridimensionale, il tutto più grande della parte...), sia perché presiedono alla condotta della vita (fiuto, senso degli affari, senso estetico, intuizioni di ogni tipo), sia perché scoprono all’uomo ciò che più conta per lui, il suo destino. Oltre questa vasta attività di conoscenza, il cuore include l’insieme della «volontà», con le sue tendenze ignorate o i suoi desideri consapevoli, le sue decisioni, le gioie o i rimorsi. Ingloba la coscienza morale. Il dinamismo per il quale l’uomo agisce procede da lui. Il cuore rappresenta dunque la profondità e la spontaneità, il nostro vero essere. L’immaginazione e la ragione, che gli sono estranee, costituiscono solo la superficie dell’uomo. In particolare, in una prospettiva religiosa, il cuore è la verità dell’uomo: la facoltà dell’infinito, dell’assoluto.
CUPIDIGIA: amore di sé fino al disprezzo di Dio (sinonimo di amor proprio).
CURIOSITÀ: vedi concupiscenza.
FIGURE: le figure (prophetiae facti) sono uomini, avvenimenti, oggetti, istituzioni, che contengono in germe ciò che debbono prefigurare, la “realtà” più alta di cui sono solo il riflesso. Così Adamo, padre di tutti gli uomini, è la figura del Cristo, padre di tutti gli eletti. L’arca di Noè prefigura la Chiesa, che salva coloro che si rifugiano in essa. Mentre le profezie sono parole, le figure sono immagini. L’inferiorità del figurante (Adamo) rispetto al figurato è sottolineata in Pascal dall’uso della forma iperbolica ne... que e da un lessico che contrappone figura, ombra a realtà, verità: la manna dell’Esodo non era il «vero pane del cielo».
GIUSTIZIA (di Dio): attributo complementare della misericordia. Poiché gli uomini lo hanno abbandonato, Dio li abbandona con giustizia. Ma, per una misericordia del tutto gratuita e inaccessibile all’uomo, egli discerne alcuni eletti che, in virtù di una grazia onnipotente, libera infallibilmente dalla corruzione (cf. p. 148).
GIUSTIZIA (dell’uomo):
il termine può designare:
le convenzioni giuridiche delle società (latino jus);
la giustizia eterna, non scritta (latino justitia);
la santità del cristiano, nel senso di san Paolo.
GODERE DI (godimento): l’opposizione godere di / usare di è di origine agostiniana. Il godimento designa l’ebbrezza con la quale una creatura si precipita su un’altra, o su beni di questo mondo (danaro, onori...). Il cristiano non può godere che di Dio e deve semplicemente «usare del mondo» (cf. p. 366). «La cupidigia usa di Dio e gode del mondo, la carità al contrario» (p. 235).
HONNÊTETÉ (honnête homme, honnêtes gens) [trad. con Onestà, Universalità, Ideale mondano, Saper vivere, Uomo dabbene, Uomo universale, a seconda dei contesti]: ideale di esistenza, arte di vivere, elaborato dalla cultura delle classi elevate, tra il modello del cavaliere [del “cortegiano”] e quello del “philosophe”. Questo ideale raggiunge il colmo della vitalità a metà Seicento. Le sue qualità sono quelle che piacciono al mondo: essere elegante, brillante, cortese, avere nozioni di tutto, senza portare alcuna insegna di specialista. Deve eccellere nella conversazione, giudicata molto superiore alla pratica dei libri per lo sviluppo di una personalità. Rappresenta l’agio, il tatto, la naturalezza, magari a prezzo di un lungo lavoro. La sua esperienza dell’amore lo ha predisposto a fare una corte discreta. La sua saggezza è nella misura, nel giusto mezzo. Certo un tale ideale è all’insegna della conservazione, politica, sociale, religiosa. Ma occorre talvolta un po’ di eroismo per costringersi così continuamente a piacere agli altri, per impedire all’“io” di divenire invadente: è ciò che colpisce maggiormente Pascal: l’honnêteté, senza estirpare la corruzione dal cuore dell’uomo, riesce a creare fra degli “io” totalitari una sorta d’ordine. Giunge, in seno a piccoli gruppi scelti, alla stessa riuscita precaria cui giunge l’arte politica dei machiavellici nell’insieme di uno Stato.
IO: termine di cui Pascal aveva l’abitudine di servirsi per designare l’amor proprio.
LASCIARE: vedi abbandono.
MALIZIA (malignità): cattiveria, «cattiva composizione» del cuore dell’uomo, fino dall’infanzia (cf. p. 239).
MISERICORDIA: vedi giustizia.
RIMEDIO: metafora che designa il carattere medicinale della grazia del Cristo. L’uomo decaduto è così debole che ha bisogno del Cristo medico (cf. pp. 144-146).
STATO [état, tradotto quando con stato, quando con condizione]: termine tecnico della teologia giansenista. Allo stato d’innocenza si contrappone lo stato della natura decaduta (cf. p. 145). È una delle caratteristiche della retorica pascaliana, colmare di senso teologico parole d’uso ordinario (distrazione, lasciare, rimedio...).
VOLONTÀ: la volontà ha per i pensatori del XVII secolo un campo infinitamente più vasto che non oggi: insieme dei desideri, consci o inconsci delle reazioni istintive. Soltanto al suo apice la volontà diviene l’equivalente del libero arbitrio e la sovrana di tutte le decisioni. Fatto capitale: la volontà governa le operazioni stesse della conoscenza: dirige l’intelletto verso ciò che essa vuole, lo distoglie immediatamente a ciò che le dispiace (cf. p. 341). Pascal è agli antipodi di Socrate: per lui, è per sua propria volontà (e non per ignoranza) che ciascun uomo è cattivo. Per ottenere la conversione dell’incredulo, è la sua volontà che bisogna purificare: a partire dal momento in cui si appassionerà per la verità, il cammino intellettuale sarà rapido.
[ 1 ] Questo breve glossario, a cura di Philippe Sellier (adattato all’edizione italiana da B. Papasogli), aiuta alla comprensione di termini familiari alla cultura morale e teologica dell’agostinismo secentesco, cui Pascal aggiunge in alcuni casi sue proprie inflessioni.