VANITÀ
Due volti somiglianti, di cui nessuno preso in sé fa ridere, insieme fanno ridere per la loro somiglianza. [47]
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I veri cristiani obbediscono tuttavia alle follie; non che rispettino le follie, ma l’ordine di Dio che per la punizione degli uomini li ha asserviti a quelle follie. Omnis creatura subjecta est vanitati. Liberabitur [ 1 ]. Così san Tommaso spiega il passo di san Giacomo [ 2 ] riguardo alla preferenza verso i ricchi, nel senso che se non lo fanno nell’ottica di Dio escono dall’ordine della religione. [48]
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Perseo re di Macedonia, Paolo Emilio.
Si faceva rimprovero a Perseo di non uccidersi [ 3 ]. [49]
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Vanità
Che una cosa così evidente come la vanità del mondo sia così poco riconosciuta, che suoni strano e sorprendente dire che è una sciocchezza cercare le grandezze, questo è straordinario. [50]
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Incostanza e bizzarria
Vivere del proprio lavoro, e regnare sul più potente Stato del mondo, sono cose del tutto opposte. Esse sono riunite nella persona del Gran Signore dei Turchi [ 4 ]. [51]
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751. La punta di un cappuccio arma 25.000 monaci [ 5 ]. [52]
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Ha quattro lacchè [ 6 ]. [53]
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Abita di là dal fiume [ 7 ]. [54]
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Se si è troppo giovani non si giudica bene, e così se si è troppo vecchi.
Se non ci si pensa abbastanza, se ci si pensa troppo ci si impunta e ci si intestardisce.
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Se si considera la propria opera subito dopo averla fatta, si è ancora tutti prevenuti, se troppo tempo dopo, non vi si entra più.
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Così i quadri visti da troppo lontano e da troppo vicino. E c’è un solo, indivisibile punto che è il vero luogo. Gli altri sono troppo vicino, troppo lontano, troppo alto o troppo basso. La prospettiva lo assegna nell’arte della pittura. Ma nella verità e nella morale, chi lo assegnerà? [55]
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Potenza delle mosche: vincono battaglie [ 8 ], impediscono alla nostra anima di agire, mangiano il nostro corpo. [56]
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Vanità delle scienze
La scienza delle cose esterne non mi consolerà dell’ignoranza della morale nel tempo dell’afflizione, ma la scienza morale mi consolerà sempre dell’ignoranza delle scienze esterne. [57]
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Condizione dell’uomo
Incostanza, noia, inquietudine. [58]
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L’abitudine di vedere i re accompagnati da guardie, da tamburi, da ufficiali e da tutte le cose che inclinano la macchina al rispetto e al terrore fa sì che il loro viso, quando talvolta è solo e senza questi accompagnamenti, imprima nei sudditi il rispetto e il terrore, perché nel pensiero la loro persona non viene disgiunta dal seguito che di solito le si accompagna. E il mondo che non sa che un tale effetto viene dall’abitudine, crede che ciò venga da una forza naturale. Ne derivano quelle parole: Il carattere della divinità è impresso sul suo viso, ecc. [59]
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La potenza dei re è fondata sulla ragione e sulla follia del popolo, e ben più sulla follia. La cosa più grande e importante del mondo ha per fondamento la debolezza. E quel fondamento è mirabilmente sicuro, perché niente è più sicuro del fatto che il popolo sarà debole. Ciò che è fondato sulla sola ragione è mal fondato, come la stima della saggezza. [60]
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La natura dell’uomo non è di andare sempre avanti. Ha i suoi andirivieni.
La febbre ha i suoi brividi e i suoi bruciori. E il freddo, non meno del caldo, attesta la grandezza dell’ardore febbrile.
Le invenzioni degli uomini di secolo in secolo hanno lo stesso andamento. E così in generale la bontà e la malizia del mondo.
Plerumque gratae principibus vices [ 9 ]. [61]
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Debolezza
Tutte le occupazioni degli uomini sono volte a procurarsi ricchezze, eppure non hanno alcun titolo, al di là dell’umana fantasia, per dimostrare che le posseggono giustamente. Né forza per possederle in sicurezza.
Lo stesso è per quanto riguarda la scienza, perché la malattia la fa perdere.
Siamo incapaci sia di vero che di bene. [62]
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Ferox gens nullam esse vitam sine armis rati [ 10 ].
Preferiscono la morte alla pace; altri preferiscono la morte alla guerra.
Qualunque opinione può essere preferibile alla vita, il cui amore sembra così forte e così naturale. [63]
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Per governare una nave non si sceglie quello tra i viaggiatori che è di migliore casato. [64]
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Le città per cui si transita, non ci si preoccupa di esservi stimati. Ma quando ci si deve stare per un po’, allora ci si preoccupa. Quanto tempo occorre? Un tempo proporzionato alla nostra durata vana e fragile. [65]
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Vanità
Gli omaggi significano: Scomodatevi [ 11 ]. [66]
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Quello che mi sorprende di più è vedere che non tutti sono sorpresi della propria debolezza. Agiscono con serietà e ognuno segue la propria condizione, non perché effettivamente è bene seguirla in ossequio alla moda, ma come se ognuno sapesse con certezza dov’è la ragione e la giustizia. Sono delusi a ogni momento, e per una bizzarra umiltà credono che sia per colpa loro e non dell’arte che si vantano sempre di avere. Ma è bene che ci sia al mondo tanta gente così, che non è pirroniana, per la gloria del pirronismo, per mostrare che l’uomo è ben capace delle opinioni più stravaganti, dato che è capace di non credere alla propria debolezza naturale e inevitabile, e di credere invece a una saggezza naturale.
Niente rafforza il pirronismo più del fatto che ci sia chi non è pirroniano. Se tutti lo fossero, avrebbero torto. [67]
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Questa scuola si fortifica grazie ai suoi nemici più che grazie ai suoi amici, perché la debolezza dell’uomo si manifesta in chi non la conosce ben più che in chi la conosce. [68]
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Tacco di scarpa
Oh come è ben tornito! Che abile artigiano! Com’è coraggioso quel soldato! Ecco la fonte delle nostre inclinazioni e della scelta degli stati sociali. Quanto beve quello là! Come beve poco quell’altro! Ecco ciò che rende la gente sobria e ubriaca, soldati, poltroni, ecc. [69]
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Chi non vede la vanità del mondo è, a sua volta, ben vano.
E infatti chi non la vede, tranne certi giovani che sono tutti presi dal chiasso, dal divertimento e dal pensiero dell’avvenire?
Ma togliete loro il divertimento, li vedrete inaridire dalla noia.
Allora sentono il loro nulla senza riconoscerlo, perché è grande sventura ritrovarsi in una tristezza insopportabile non appena si è ridotti a considerare se stessi, e a non potersene distrarre. [70]
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Mestieri
La dolcezza della gloria è così grande che a qualunque realtà la si associ, perfino alla morte, l’amiamo. [71]
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Troppo e troppo poco vino. Non gliene date: non può trovare la verità. Dategliene troppo: lo stesso. [72]
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Gli uomini si impegnano a seguire una palla e una lepre. È il piacere perfino dei re. [73]
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Che vanità la pittura, che suscita l’ammirazione a causa della somiglianza con cose di cui non si ammirano gli originali [ 12 ]! [74]
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Quando si legge troppo rapidamente o troppo lentamente non si capisce nulla. [75]
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Quanti regni ci ignorano! [76]
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Poca cosa ci consola, poiché poca cosa ci affligge. [77]
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Immaginazione
È la parte dominante nell’uomo, maestra di errore e di falsità, tanto più ingannevole in quanto non lo è sempre: sarebbe infatti regola infallibile di verità se lo fosse infallibilmente di menzogna. Ma pur essendo falsa il più delle volte, non dà segni di questa sua qualità, dato che segna con la stessa impronta il vero e il falso. Non sto parlando dei folli, parlo dei più savi: è tra loro che l’immaginazione esercita in pieno il diritto di persuadere gli uomini. La ragione ha un bel gridare, non ce la fa a dare alle cose il loro valore.
Questa superba potenza nemica della ragione, che prende gusto a controllarla e a dominarla, per mostrare in ogni cosa l’estensione del suo potere, ha stabilito nell’uomo una seconda natura. Ha i suoi felici, i suoi infelici, i suoi sani, i suoi malati, i suoi ricchi, i suoi poveri. Fa credere, dubitare, negare la ragione. Sospende i sensi, e li risveglia. Ha i suoi pazzi e i suoi savi, e niente ci indispettisce quanto vedere che essa ricolma i suoi ospiti di una soddisfazione ben altrimenti piena e intera che la ragione. Chi si attribuisce capacità immaginarie si compiace di se stesso in modo ben diverso da quanto possano ragionevolmente piacersi le persone prudenti. Guarda la gente in modo altero, litiga arditamente e fiduciosamente, mentre gli altri lo fanno timorosi e insicuri. E questa allegrezza di volto spesso gli fa avere la meglio nell’opinione di chi ascolta, tanto i saggi immaginari trovano favore presso i loro giudici di pari natura.
Essa non può rendere saggi i folli, ma li rende felici, all’inverso della ragione, che può solo rendere miserabili i propri amici, giacché una li copre di gloria, l’altra di vergogna.
Chi dispensa la reputazione, chi conferisce il rispetto e la venerazione alle persone, alle opere, alle leggi, ai grandi, se non questa facoltà di immaginare? Come sono insufficienti tutte le ricchezze della terra senza il suo consenso.
Non direste che quel magistrato la cui vecchiaia venerabile impone rispetto a tutto il popolo si regola in base a una ragione pura e sublime e giudica le cose secondo la loro natura, senza fermarsi sulle circostanze vane che colpiscono solo l’immaginazione dei deboli? Eccolo entrare ad un sermone ove porta una devozione zelante, rafforzando la solidità della sua ragione con l’ardore della sua carità. Eccolo pronto ad ascoltarlo con un rispetto esemplare. Fate comparire il predicatore: se la natura gli ha dato una voce roca e lineamenti bizzarri, se il barbiere lo ha rasato male, se per di più il caso ha voluto che si inzaccherasse, per quanto annunci delle grandi verità, scommetto che il nostro senatore perderà la sua gravità.
Il più grande filosofo del mondo, su una tavola più larga del necessario, se sotto c’è un precipizio, per quanto la ragione lo convinca della sua sicurezza, l’immaginazione prevarrà. Molti non ne potrebbero sopportare nemmeno il pensiero senza impallidire e sudare.
Non voglio riportare tutti i suoi effetti. Chi non sa che la vista dei gatti, dei topi, un carbone schiacciato, ecc., mandano la ragione fuori dai gangheri. Il tono di voce suggestiona anche i più saggi e cambia la forza di un discorso o di una poesia. L’affetto o l’odio cambiano la faccia della giustizia. Un avvocato ben pagato in anticipo, come trova più giusta la causa che difende! Con la sua mimica ardita, come la fa apparire migliore ai giudici ingannati da quell’apparenza! Bizzarra ragione, maneggiata, in tutte le direzioni, da un colpo di vento! Dovrei raccontare quasi tutte le azioni degli uomini, che quasi non si muovono se non per i suoi impulsi. La ragione infatti è stata costretta a cedere, e la più saggia adotta come suoi i princìpi che l’immaginazione degli uomini ha temerariamente introdotti ovunque. (Bisogna, a suo piacimento lavorare tutto il giorno per dei beni riconosciuti come immaginari. E quando il sonno ci ha ristorati dalle fatiche della nostra ragione, bisogna subito levarsi di soprassalto per andare a correre dietro al fumo e subìre le impressioni di questa padrona del mondo).
Questo segreto, i nostri magistrati lo hanno capito bene. Le loro toghe rosse, gli ermellini di cui si fasciano come gatti impellicciati, i palazzi in cui giudicano, i fiordalisi, tutto questo augusto apparato era ben necessario. E se i medici non avessero delle toghe e dei muli e i dottori non avessero berretti a quattro punte e abiti quattro volte troppo larghi, mai avrebbero ingannato il mondo, che non può resistere a questa vera e propria parata. Se avessero la vera giustizia, e se i medici avessero la vera arte di guarire, non saprebbero che farsene dei berretti a quattro punte. La maestà di tali scienze sarebbe abbastanza venerabile in sé. Ma siccome hanno solo scienze immaginarie, bisogna che si forniscano di tali vani strumenti, che colpiscono l’immaginazione con la quale hanno a che fare. E in questo modo, effettivamente, si attirano il rispetto.
Soltanto gli uomini di guerra non si sono mascherati così, perché effettivamente la loro parte è più sostanziale. Loro si impongono con la forza, gli altri con le smorfie.
È per questo che i nostri re non hanno cercato travestimenti. Non si sono mascherati in abiti straordinari per apparire tali, ma si fanno accompagnare da guardie, da alabarde. Le scorte armate che hanno mani e forza solo per loro, le trombe e i tamburi che li precedono e le legioni che li circondano fanno tremare i più saldi. Non hanno solo l’abito, hanno la forza. Bisognerebbe avere una ragione ben pura per guardare da uomo a uomo il Gran Signore circondato, nel suo superbo Serraglio, da quarantamila giannizzeri.
Non possiamo semplicemente vedere un avvocato in toga e col berretto in testa senza concepire un’opinione favorevole della sua sufficienza.
L’immaginazione dispone di tutto. Fa la bellezza, la giustizia e la felicità che è il tutto del mondo.
Volentieri vedrei il libro italiano di cui conosco solo il titolo, che da solo vale molti libri, Dell’opinione regina del mondo [ 13 ]. Sottoscrivo ad esso senza conoscerlo, salvo il male, se ce n’è.
Ecco, all’incirca, gli effetti di questa facoltà ingannevole, che sembra esserci data apposta per indurci inevitabilmente in errore. Abbiamo molte altre ragioni per crederlo.
Le impressioni antiche non sono le sole capaci di trarci in inganno, il fascino della novità ha lo stesso potere. Da ciò derivano tutte le dispute tra gli uomini, che si rimproverano o di seguire le false impressioni dell’infanzia o di inseguire temerariamente le nuove. Chi sta nel giusto mezzo? Si manifesti, e ne dia prova. Non c’è principio, per quanto naturale possa essere sin dall’infanzia, che non sia stato imputato a un’impressione falsa o dell’istruzione o dei sensi.
«Siccome – dicono – avete creduto sin dall’infanzia che un cofano fosse vuoto quando non vi vedevate nulla, avete creduto possibile il vuoto. È un’illusione dei vostri sensi, fortificata dall’abitudine, che la scienza deve correggere». E gli altri dicono: «Siccome nella Scuola vi è stato detto che il vuoto non c’è, è stato corrotto il vostro senso comune, che lo comprendeva così nitidamente prima di questa cattiva impressione, che bisogna correggere ricorrendo alla vostra prima natura». Chi dunque ha tratto in inganno: i sensi o l’istruzione?
Abbiamo un altro principio di errore: le malattie. Esse ci guastano il giudizio e i sensi. E se quelle gravi lo alterano sensibilmente, non ho dubbi che anche le piccole vi lascino la loro impressione, in proporzione.
Il nostro proprio interesse è un altro meraviglioso strumento per cavarci gli occhi piacevolmente. All’uomo più giusto del mondo non è consentito essere giudice nella propria causa. Ne conosco che, per non cadere in questo amor proprio, sono stati i più ingiusti del mondo, in senso inverso. Il mezzo sicuro di perdere una causa del tutto giusta era di farla raccomandare presso di loro dai loro parenti prossimi. La giustizia e la verità sono due punte così sottili che i nostri strumenti sono troppo smussati per raggiungerle esattamente. Se vi riescono, ne schiacciano la punta e poggiano tutt’intorno più sul falso che sul vero.
(L’uomo è dunque fabbricato così felicemente che non ha alcun principio giusto del vero, e molti eccellenti del falso. Vediamo ora quanto.
Ma la più buffa causa dei suoi errori è la guerra che c’è tra i sensi e la ragione).
L’uomo è solo un soggetto pieno di errore naturale, incancellabile senza la grazia. [Niente] gli manifesta la verità. Tutto lo inganna. – Bisogna cominciare così il capitolo delle facoltà ingannevoli [ 14 ]. – Questi due princìpi di verità, la ragione e i sensi, oltre a mancare entrambi di sincerità, si ingannano reciprocamente. I sensi ingannano la ragione con false apparenze, e lo stesso travisamento che recano all’anima, lo ricevono a loro volta da lei. Essa prende la sua rivincita. Le passioni dell’anima turbano i sensi e provocano in essi false impressioni. Mentono e fanno a gara ad ingannarsi.
Ma oltre a questo errore che avviene incidentalmente e per mancanza di intesa fra queste facoltà eterogenee... [78]
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Vanità
La causa e gli effetti dell’amore.
Cleopatra [ 15 ]. [79]
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Non ci atteniamo mai al tempo presente. Anticipiamo l’avvenire come troppo lento a venire, quasi per affrettare il suo corso, o richiamiamo il passato per fermarlo come troppo spedito, imprudenti al punto da errare nei tempi che non sono affatto nostri e non pensare al solo che ci appartiene, vani al punto da essere intenti ai tempi che non sono nulla e sfuggire senza riflettervi il solo che sussiste. È che di solito il presente ci ferisce. Lo nascondiamo alla nostra vista perché ci affligge, e se lo troviamo piacevole, rimpiangiamo di vederlo sfuggire. Cerchiamo di sostenerlo con l’avvenire e pensiamo a disporre le cose che non sono in nostro potere per un tempo cui non abbiamo alcuna sicurezza di giungere.
Ognuno esamini i propri pensieri, li troverà tutti occupati dal passato o dall’avvenire. Noi non pensiamo quasi affatto al presente e, se ci pensiamo, è solo per averne luce circa le disposizioni per l’avvenire. Il presente non è mai il nostro fine. Il passato e il presente sono per noi dei mezzi, solo l’avvenire è nostro fine. Così non viviamo mai, ma speriamo di vivere, e mentre ci disponiamo sempre a essere felici, è inevitabile che non lo siamo mai. [80]
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La mente di questo supremo giudice del mondo non è così indipendente da non essere soggetta a turbamento per il primo baccano che gli si fa intorno. Non occorre il rimbombo di un cannone per impedire i suoi pensieri. Basta il suono di una girandola o di una carrucola. Non meravigliatevi se adesso non ragiona bene, una mosca gli ronza alle orecchie. È quanto basta per renderlo incapace di buon consiglio. Se volete che possa trovare la verità, scacciate quell’animale che tiene in scacco la sua ragione e turba questa possente intelligenza che governa città e regni.
Che buffo dio è mai questo! O ridicolosissimo heroe [ 16 ]! [81]
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Cesare era troppo vecchio, mi sembra, per andare a divertirsi nella conquista del mondo. Questo divertimento andava bene per Augusto o per Alessandro. Erano dei giovani, difficili da fermare. Ma Cesare doveva [ 17 ] essere più maturo. [82]
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Gli Svizzeri si offendono se li si chiama gentiluomini, e documentano la loro estrazione plebea per essere giudicati degni di grandi incarichi [ 18 ]. [83]
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«Perché mi uccidi?». «Come, non abiti dall’altra parte del fiume? Amico, se tu abitassi da questa parte, sarei un assassino e sarebbe ingiusto ucciderti così. Ma siccome abiti dall’altra parte, sono un valoroso, ed è giusto». [84]
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Il buon senso.
Sono costretti a dire: «Voi non agite in buona fede, noi non dormiamo, ecc.». Quanto mi piace vedere questa superba ragione umiliata e supplichevole! Perché questo non è il linguaggio di un uomo a cui si contesta il suo diritto e che lo difende con la forza e le armi in pugno. Costui non perde tempo a dire che non si agisce in buon fede, ma punisce quella malafede con la forza. [85]
[ 1 ] Lettera ai Romani 8, 20-21: «Le creature [...] sono sottomesse alla caducità [...] con la speranza di esserne liberate» (cf. Qoelet 3, 19).
[ 2 ] La Lettera di Giacomo, al capitolo 2, mette in guardia i cristiani contro la tentazione di riservare i posti migliori ai ricchi nelle assemblee liturgiche.
[ 3 ] Montaigne, Essais, I, 20, p. 87: «Paolo Emilio rispose a colui che quel miserabile re di Macedonia, suo prigioniero, gli inviava per pregarlo di non portarlo nel suo trionfo: “Presenti questa istanza a se stesso!”».
[ 4 ] Si tratta di una delle mille favole che continuavano a correre sul Gran Turco, nonostante moniti già antichi: «E non è come alcuni dicono, che lavora...» (G. Postel, De la république des Turcs, 1560).
[ 5 ] Nel 1656-1662, Pascal studiava gli Essais nell’edizione del 1652: a pagina 751, Montaigne sviluppa delle considerazioni generali sulla vanità della maggior parte delle preoccupazioni umane. Pascal aggiunge a questo riferimento un’allusione ai lunghi dibattiti dei frati minori sulla forma del loro cappuccio (vedi la voce «Capuchon» dell’Encyclopédie). A Port-Royal si paragonava tale controversia a quella intorno alle cinque proposizioni.
[ 6 ] Questa annotazione ellittica è esplicitata nel dossier «Ragione degli effetti».
[ 7 ] La farsa delle guerre (qui contro gli Spagnoli, perché vivono sull’altra riva della Bidassoa) è ripresa in una luce tragica un po’ più avanti: «Miseria».
[ 8 ] Montaigne ne dà un esempio (II, 12, p. 476).
[ 9 ] Questo frammento è una nota di lettura degli Essais: II, 12, pp. 566 e 569; III, 6, p. 907. La citazione latina proviene da I, 42, p. 264: «Il più delle volte i cambiamenti piacciono ai principi...» (Orazio, Odi, III, 29, 13). A questo proposito Montaigne scrive: «È la delizia dei principi, è la loro festa, potersi qualche volta travestire e abbassare al modo di vivere basso e popolare».
[ 10 ] «Popolo feroce, che non credeva che vi fosse vita, al di fuori della guerra» (Tito Livio, I, 34: a proposito della Spagna). La citazione viene dagli Essais (I, 14, p. 61). Qualche pagina prima, Pascal aveva letto: «Qualunque opinione è abbastanza forte da farsi sposare a prezzo della vita».
[ 11 ] Questa annotazione è esplicitata, in un’altra prospettiva, dal dossier «Ragione degli effetti».
[ 12 ] Come sant’Agostino (La dottrina cristiana, II, 25, n. 39), Pascal non immagina altro dogma pittorico se non la somiglianza perfetta fra il modello e il quadro. Per conseguenza, l’ammirazione è diretta a una virtuosità abbastanza futile che «deve essere messa nel numero delle occupazioni inutili agli uomini». Solo «gli originali», cioè la Creazione divina (acque, fiori, cieli...), meritano la meraviglia.
[ 13 ] Opera altrimenti sconosciuta. Pascal amava meditare sui titoli.
[ 14 ] Aggiunta marginale, che indica un cambiamento di titolo o una dilatazione interna del dossier «Vanità».
[ 15 ] Annotazione esplicitata nella «liassa-quadro».
[ 16 ] Apostrofe tratta da un elogio eroicomico dell’attore farsesco italiano Scaramuccia (1657).
[ 17 ] Doveva: avrebbe dovuto (latinismo). Questa osservazione è una nota di lettura dell’essai su Cesare (II, 34), in cui Montaigne giudica Cesare più riflessivo di Alessandro, perché intraprese le sue conquiste «essendo già maturo e avanti negli anni». Il pensiero pascaliano è del tutto diverso.
[ 18 ] Nei Consigli di certi Cantoni (Basilea, Zurigo), la nobiltà era minoritaria e sospetta di collusione con gli Asburgo.