[PREFAZIONE DELLA SECONDA PARTE]
Antichità degli Ebrei [ 1 ]
C’è una bella differenza da un libro all’altro! Non mi sorprende che i Greci abbiano fatto l’Iliade, e gli Egiziani e i Cinesi le loro storie.
Basta vedere com’è nato tutto questo. Quegli storici favolosi non sono contemporanei delle cose di cui scrivono. Omero fa un romanzo, che presenta come tale e che è accolto come tale: perché nessuno aveva dubbi sul fatto che Troia e Agamennone non erano esistiti, come il pomo d’oro. Non pensava dunque a farne una storia, ma solo un trattenimento. È l’unico a scrivere nel suo tempo, la bellezza dell’opera fa durare la cosa, tutti la imparano e ne parlano: bisogna conoscerla, ognuno la conosce a memoria. Quattrocento anni dopo, i testimoni delle cose non vivono più; nessuno sa più per conoscenza diretta se è una favola o una storia: semplicemente la si è appresa dagli antenati, può passare per vera.
Ogni storia non contemporana è sospetta. Così i libri delle sibille [ 2 ] e di Trismegisto [ 3 ], e tanti altri che al mondo hanno avuto credito, sono falsi e si sono rivelati falsi nel prosieguo del tempo. Non è così per gli autori contemporanei.
C’è una bella differenza tra un libro fatto da un individuo, e gettato da lui in mezzo al popolo, e un libro fatto direttamente da un popolo. Non si può dubitare che il libro sia antico quanto il popolo. [688]
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Non si è miserabili se non lo si sente: una casa in rovina non è miserabile. Soltanto l’uomo è miserabile. Ego vir videns [ 4 ]. [689]
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Se la misericordia di Dio è così grande che ci istruisce in modo salutare, anche quando si nasconde, quale luce non dobbiamo aspettarcene quando si manifesta?
Riconoscete dunque la verità della religione persino nell’oscurità della religione, nella poca luce che ne abbiamo, nell’indifferenza in cui siamo di conoscerla.
L’Essere eterno è sempre, se è una sola volta.
Tutte le obiezioni degli uni e degli altri si ritorcono contro loro stessi, e non contro la religione. Tutto ciò che dicono gli empi.
Così l’intero universo fa conoscere all’uomo che è o corrotto, o redento. Tutto gli fa conoscere la sua grandezza o la sua miseria. L’abbandono di Dio si rivela nei pagani, la protezione di Dio si rivela negli Ebrei.
Tutti errano tanto più perigliosamente in quanto ciascuno segue una verità: la loro colpa non è nel seguire qualcosa di falso, ma nel non seguire un’altra verità.
È dunque vero che tutto istruisce l’uomo riguardo alla sua condizione, ma bisogna intendersi bene: giacché non è vero che tutto manifesta Dio, bensì è vero al tempo stesso che egli si nasconde a quanti lo tentano e si manifesta a quanti lo cercano, perché gli uomini sono al tempo stesso indegni di Dio e capaci di Dio, indegni a causa della loro corruzione, capaci a causa della loro primitiva natura.
Che conclusione trarremo dunque da tutte le nostre oscurità, se non che siamo indegni?
Se non ci fosse buio, l’uomo non sentirebbe la propria corruzione. Se non ci fosse luce, l’uomo non spererebbe in alcun rimedio. Così è non soltanto giusto, ma utile per noi, che Dio sia in parte nascosto, e in parte manifesto, poiché è ugualmente pericoloso per l’uomo conoscere Dio senza conoscere la propria miseria e conoscere la propria miseria senza conoscere Dio.
La conversione dei pagani era riservata solo alla grazia del Messia. Gli Ebrei li hanno combattuti per tanto tempo senza successo! Tutto quanto ne hanno detto Salomone e i profeti è stato inutile. I saggi, come Platone e Socrate, non sono riusciti a persuaderli.
Se di Dio non fosse apparso mai nulla, questa privazione eterna sarebbe equivoca, e potrebbe significare sia che non esiste alcun Dio, sia che gli uomini sono indegni di conoscerlo. Ma siccome appare qualche volta e non sempre, ecco tolto l’equivoco: se una volta appare, sempre egli è. E così l’unica conclusione è che esiste un Dio, e gli uomini sono indegni di lui.
Bestemmiano quello che ignorano. La religione cristiana consiste in due punti. È ugualmente importante per gli uomini conoscerli, e pericoloso ignorarli.
E parimenti, è misericordia di Dio aver dato segni di entrambi.
E tuttavia traggono pretesto per negare uno di questi punti, proprio da ciò che dovrebbe portarli ad arguire l’altro.
I saggi che hanno detto che c’è un solo Dio sono stati perseguitati, gli Ebrei odiati, i cristiani ancora di più.
Con semplici lumi naturali hanno visto che se c’è una vera religione sulla terra, l’ordinamento di tutte le cose deve tendere ad essa come al proprio centro [ 5 ].
(Tutto l’ordine delle cose deve avere per fine l’affermazione e la grandezza della religione. Gli uomini devono avere dentro di sé sentimenti conformi a ciò che essa ci insegna E infine deve essere a tal punto lo scopo e il centro cui tendono tutte le cose, che chi ne conoscerà i principi possa render ragione dell’intera natura dell’uomo, in particolare, e in generale di tutto l’ordinamento del mondo).
E su questo fondamento, prendono spunto per bestemmiare la religione cristiana, perché la conoscono male. Si immaginano che essa consista semplicemente nell’adorazione di un Dio considerato come grande, potente ed eterno: ciò che è propriamente il deismo, quasi altrettanto lontano dalla religione cristiana quanto l’ateismo, che è esattamente all’opposto. E ne concludono che tale religione non è vera, perché non vedono che ogni cosa concorre ad affermare questo punto: Dio non si manifesta agli uomini con tutta l’evidenza che gli sarebbe possibile.
Ma, concludano pure quello che vogliono contro il deismo: non ne trarranno alcuna conclusione contro la religione cristiana, che consiste propriamente nel mistero del Redentore, il quale unendo in sé le due nature, umana e divina, ha sottratto gli uomini alla corruzione e al peccato, per riconciliarli con Dio nella sua persona divina.
Essa insegna dunque contemporaneamente agli uomini queste due verità: c’è un Dio di cui gli uomini sono capaci, e c’è una corruzione nella natura [ 6 ], tale da renderli indegni di lui. È ugualmente importante per gli uomini conoscere entrambi questi punti, ed è ugualmente pericoloso per l’uomo conoscere Dio senza conoscere la propria miseria e conoscere la propria miseria senza conoscere il Redentore, che può guarirlo. Da sola, una di queste conoscenze crea o la superbia dei filosofi, che hanno conosciuto Dio e non la propria miseria, o la disperazione degli atei, che conoscono la propria miseria, senza Redentore.
E così, come per l’uomo è ugualmente necessario conoscere questi due punti, è pari misericordia di Dio averceli fatti conoscere. La religione cristiana lo fa: è in questo che essa consiste.
Esaminiamo in proposito l’ordine del mondo, e vediamo se non è vero che tutto tende all’affermazione dei due punti capitali della nostra religione [ 7 ]!
(Gesù Cristo è il fine di tutto e il centro cui tutto tende. Chi lo conosce, conosce la ragione di tutto [ 8 ]).
Chi si smarrisce, si smarrisce solo perché ha omesso di vedere una di queste due cose: è ben possibile conoscere Dio senza la propria miseria, e la propria miseria senza Dio. Ma non si può conoscere Gesù Cristo senza conoscere insieme Dio e la propria miseria.
Perciò non mi accingerò qui a provare con ragioni naturali l’esistenza di Dio, o la Trinità, o l’immortalità dell’anima, né alcuna altra cosa di questo genere; non solo perché non mi sentirei abbastanza forte da trovare nella natura di che convincere gli atei incalliti, ma anche perché senza Gesù Cristo è una conoscenza inutile e sterile. Quand’anche un uomo fosse persuaso che le proporzioni dei numeri sono verità immateriali, eterne e dipendenti da una prima verità in cui sussistono e che chiamiamo Dio, non mi pare che avrebbe fatto molti passi avanti per la sua salvezza [ 9 ].
Il Dio dei cristiani non consiste semplicemente in un Dio autore delle verità geometriche e dell’ordine degli elementi: è la quota dei pagani e degli epicurei. Non consiste solamente in un Dio che esercita la sua Provvidenza sulla vita e sui beni degli uomini per dare un felice seguito d’anni a quanti lo adorano: è la parte che spetta agli Ebrei. Ma il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe, il Dio dei cristiani è un Dio di amore e di consolazione; è un Dio che ricolma l’anima e il cuore di coloro che gli appartengono; è un Dio che dà loro il sentimento interiore della loro miseria e della sua misericordia infinita, che si unisce al fondo della loro anima, che la riempie di umiltà, di gioia, di fiducia, di amore; che li rende incapaci di altro fine se non lui stesso.
Tutti quelli che cercano Dio fuori da Gesù Cristo e si fermano alla natura, o non trovano nessuna luce che li soddisfi, oppure riescono a formarsi un modo di conoscere Dio e di servirlo senza mediatore. E in questa maniera cadono nell’ateismo o nel deismo, due cose che la religione cristiana aborrisce quasi in pari misura.
Senza Gesù Cristo, il mondo non sussisterebbe, perché occorrerebbe che fosse distrutto o divenisse come un inferno.
Se il mondo sussistesse per dare all’uomo notizia di Dio, la sua divinità vi risplenderebbe ovunque in modo incontestabile. Ma siccome sussiste solo per mezzo di Gesù Cristo e in vista di Gesù Cristo, e per dare notizia agli uomini sia della loro corruzione sia della loro redenzione, in tutto risplende la prova di queste due verità.
Ciò che appare nel mondo non significa né un’esclusione totale, né una presenza manifesta della divinità, ma la presenza di un Dio che si nasconde. Tutto porta questa impronta.
L’unico che conosce la natura dovrebbe conoscerla solo per essere miserabile?
L’unico che la conosce sarà l’unico sventurato?
Non bisogna che non veda assolutamente nulla: e d’altra parte, non bisogna nemmeno che veda abbastanza da credere di possedere Dio, ma che veda abbastanza da rendersi conto che lo ha perduto. Perché per rendersi conto che si è perduto qualcosa, bisogna vedere e non vedere: e proprio questo è lo stato in cui è la natura.
Qualunque partito prenda, non lo lascerò in pace.
La vera religione dovrebbe insegnare la grandezza, la miseria, portare alla stima e al disprezzo di sé, all’amore e all’avversione. [690]
[ 1 ] Gli originali di questo dossier sono perduti. Le due Copie, abitualmente avare di tali indicazioni, hanno segnalato l’autonomia dei primi due frammenti. L’assenza di segno di separazione in tutto il seguito diviene dunque eloquente. Il lungo saggio di redazione che li segue – la conoscenza di Dio in un mondo corrotto – sviluppa il progetto di Prefazione abbozzato nei «Miscellanea 5», a sua volta prima elaborazione degli appunti del dossier «Eccellenza». Il primo frammento deve corrispondere a un foglietto destinato ai dossier sugli Ebrei e che l’apologista ha infilato qui per errore, sbagliandosi di un dossier. Il dossier seguente è, difatti, consacrato alle «Prerogative del popolo ebraico» (titolo).
[ 2 ] Raccolte di oracoli, attribuiti alle varie sibille: la più antica, quella di Eritrea, era collocata dai cristiani nel VII secolo a.C. Alla sibilla di Cuma erano attribuiti i Libri sibillini, in cui veniva annunciata la grandezza di Roma.
[ 3 ] Il dio Ermes Trismegisto («tre volte grande») passava per autore di quarantadue libri egiziani ove erano trattati tutti gli aspetti del mondo. Il medioevo se lo rappresentava come un profeta pagano contemporaneo di Mosè (così sul pavimento della cattedrale di Siena, 1488).
[ 4 ] «Sono un uomo che vede qual è la sua miseria» (Lamentazioni di Geremia 3, 1: testo liturgico dell’Ufficio delle Tenebre [venerdì santo]).
[ 5 ] La parentesi che segue è un’aggiunta marginale.
[ 6 ] Richiamo nettissimo delle due parti dell’apologia, prima dell’utilizzazione di uno degli appunti del dossier «Eccellenza».
[ 7 ] Questi due «punti capitali» sono: «C’è un Dio di cui gli uomini sono capaci / C’è una corruzione nella natura».
[ 8 ] Queste formule sono circondate da un riquadro, nelle Copie. Dovevano esserlo anche nell’originale. Si trovavano isolate rispetto al testo (al margine?), nel cui svolgimento non intervengono.
[ 9 ] Annunciando un tema centrale del dossier «Fondamenti della religione e risposta alle obiezioni» (Dio è nascosto), la corruzione della natura suscita qui uno sviluppo caratteristico del dossier «Eccellenza».