LETTERA PER PORTARE A CERCARE DIO [ 1 ]

...Sappiano almeno quale religione combattono, prima di combatterla. Se questa religione si vantasse di avere una visione chiara di Dio, e di disporne scopertamente e senza velo, sarebbe combatterla, dire che nulla si vede nel mondo che la manifesti con tale evidenza. Ma poiché invece essa dice che gli uomini sono nelle tenebre, lontani da Dio, che egli si è nascosto alla loro conoscenza, e proprio questo è il nome che si dà nelle Scritture: Deus absconditus2 ]; e infine, se si adopera parimenti ad affermare queste due cose: Dio ha posto nella Chiesa segni sensibili per farsi riconoscere da quanti lo cercano sinceramente – e tuttavia li ha coperti, in modo che non sarà percepito se non da quanti lo cercano con tutto il cuore; quale vantaggio possono trarre, quando, nella negligenza in cui professano d’essere riguardo alla ricerca della verità, gridano che niente gliela manifesta? Giacché il buio in cui sono, e che rinfacciano alla Chiesa, semplicemente conferma una delle cose che essa sostiene, senza scalfire l’altra, e rafforza la sua dottrina, lungi dal demolirla.

Per combatterla, dovrebbero gridare che hanno fatto ogni sforzo per cercare ovunque, anche nelle istruzioni proposte dalla Chiesa, ma senza alcuna soddisfazione. Se parlassero così, combatterebbero veramente una delle sue pretese. Ma spero di dimostrare qui che nessuna persona ragionevole potrebbe parlare così, e oso dire addirittura che mai nessuno lo ha fatto. È abbastanza noto come agiscono coloro che hanno questa disposizione di spirito. Credono di aver fatto grandi sforzi per istruirsi, quando hanno passato qualche ora a leggere qualche libro della Scrittura, e hanno interrogato qualche ecclesiastico sulle verità della fede. Dopo di che, si vantano di aver cercato senza successo tra i libri e tra gli uomini. Ma in verità io direi loro, come spesso ho detto, che questa negligenza è intollerabile. Qui non si tratta del vago interesse di qualche estraneo, per comportarsi così. Ne va di noi stessi, e del nostro tutto.

L’immortalità dell’anima è una cosa che ci preme a tal punto, ci tocca così profondamente, che bisogna esser del tutto insensati per rimanere nell’indifferenza di sapere il vero al riguardo. Tutte le nostre azioni e i nostri pensieri devono prendere strade così diverse, a seconda se vi saranno, o no, beni eterni da sperare, che è impossibile fare un passo con senno e giudizio, se non regolandolo in vista di questo punto, che dev’essere il nostro obiettivo ultimo.

Così il nostro primo interesse e il nostro primo dovere è chiarirci su questo argomento, da cui dipende tutta la nostra condotta. Perciò, fra coloro che non ne sono convinti, pongo un’estrema differenza fra quanti si impegnano con tutte le loro forze a istruirsene, e quanti vivono senza darsene pena e senza pensarci.

Posso solo compatire quelli che gemono sinceramente nel dubbio, che lo considerano come la massima sventura, e, non risparmiando nulla per uscirne, fanno di questa ricerca la loro principale e più seria occupazione.

Ma coloro che passano la vita senza pensare al termine ultimo della vita e, per la semplice ragione che non trovano in se stessi la luce della convinzione, trascurano di cercarla altrove e di esaminare a fondo se si tratta di un’opinione di quelle che il popolo accoglie con semplicità credula, o di quelle che, oscure in se stesse, hanno tuttavia un fondamento solidissimo e inattaccabile, io li considero in maniera del tutto diversa.

Questa negligenza in una faccenda in cui si tratta di loro stessi, della loro eternità, del loro tutto, mi irrita più che impietosirmi. Mi lascia attonito e mi spaventa: è un mostro per me. Non dico questo per il pio zelo di una devozione spirituale. Intendo dire, al contrario, che bisogna sentire così per un principio di interesse umano, per un interesse di amor proprio. Ci si arriva anche vedendo quello che vedono le persone meno illuminate.

Non occorre avere l’anima molto elevata per capire che quaggiù non ci sono soddisfazioni vere e solide: che tutti i nostri piaceri sono solo vanità, i nostri mali sono infiniti, e alla fine la morte, che ci minaccia a ogni istante, immancabilmente deve metterci nell’orribile necessità di essere eternamente o annientati o infelici.

Niente è più reale di questo, né più terribile. Facciamo pure gli spavaldi quanto vogliamo: ecco la fine che attende la vita più bella del mondo. Riflettiamoci sopra, e diciamo poi se non è sicuro che in questa vita l’unico bene è nella speranza di un’altra vita, che non siamo felici se non in quanto ci avviciniamo ad essa, e, come non vi sarebbe più infelicità per chi avesse una totale certezza dell’eternità, così non c’è felicità per chi non ha alcuna luce al riguardo!

Dunque, è di sicuro un gran male essere nel dubbio. Ma almeno è un dovere indispensabile cercare, quando si è nel dubbio. E così chi dubita e non cerca è al tempo stesso ben sventurato e ben ingiusto. E se, con ciò, è tranquillo e soddisfatto, se lo professa e addirittura se ne vanta, e se proprio da questo stato trae la ragione della sua gioia e della sua vanità, io non ho parole per qualificare una persona così stravagante.

Dove si vanno a prendere questi modi di sentire? Che ragione di gioia si trova nell’aspettarsi solo miserie, senza rimedio? Quale ragione di vanto a vedersi nel fitto di oscurità impenetrabili, e come può accadere che questo ragionamento si formuli in un uomo ragionevole?

«Non so chi mi ha messo al mondo, né che cos’è il mondo, né chi sono io stesso. Sono in una terribile ignoranza di tutto. Non so che cos’è il mio corpo, che cosa sono i miei sensi, la mia anima e quella parte di me che pensa quello che dico, che riflette su tutto e su se stessa, e non conosce se stessa più del resto. Vedo gli spaventosi spazi dell’universo che mi rinchiudono, e mi trovo confinato in un canto di questa vasta distesa, senza sapere perché sono posto in questo luogo piuttosto che in un altro, né perché il poco tempo datomi da vivere mi è assegnato a questo punto piuttosto che a un altro di tutta l’eternità che mi ha preceduto e che mi seguirà.

Non vedo se non infiniti da tutte le parti, che mi racchiudono come un atomo e come un’ombra che dura solo un istante senza ritorno.

Conosco una cosa sola, che presto devo morire, ma ciò che ignoro di più è proprio questa morte che non posso evitare.

Come non so donde vengo, così non so dove vado, e so soltanto che uscendo da questo mondo cado per sempre o nel nulla, o nelle mani di un Dio irritato, senza sapere a quale di queste due condizioni dovrò appartenere eternamente. Ecco il mio stato, colmo di debolezza e d’incertezza. E da tutto ciò concludo che, dunque, devo passare tutti i giorni della mia vita senza pensare a quanto deve accadermi. Forse potrei trovare qualche chiarimento ai miei dubbi, ma non voglio darmene pena, né fare un passo per cercarlo. E poi, trattando con disprezzo chi si travaglierà in questo pensiero, voglio andare senza previdenza e senza timore a sperimentare un così grande evento, e lasciarmi mollemente condurre alla morte, nell’incertezza dell’eternità della mia condizione futura».

Chi si augurerebbe di avere per amico un uomo che ragiona in questa maniera? Chi lo sceglierebbe fra gli altri per confidargli i suoi affari? Chi ricorrerebbe a lui nelle proprie afflizioni?

E infine, a quale impiego di vita lo si potrebbe destinare?

In verità, è una gloria per la religione avere come nemici uomini così irragionevoli (fosse pure una certezza, sarebbe motivo di disperazione più che di vanto). E la loro opposizione è così poco pericolosa per lei, che serve invece alla conferma delle sue verità. Poiché la fede cristiana tende ad affermare quasi solo due cose: la corruzione della natura, e la Redenzione di Gesù Cristo. Ora, io sostengo che se essi non servono a dimostrare la verità della Redenzione, almeno servono mirabilmente a dimostrare la corruzione della natura con sentimenti così snaturati.

Niente è importante per l’uomo come il suo stato. Niente è temibile per lui come l’eternità. Che si trovino, dunque, uomini indifferenti alla perdita del loro essere e al pericolo di un’eternità di miserie non è naturale. Hanno un atteggiamento ben diverso nei riguardi di tutte le altre cose: temono anche le più insignificanti, le prevedono, le sentono, e lo stesso uomo che passa tanti giorni e tante notti nella rabbia e nella disperazione per la perdita di una carica o per qualche immaginaria offesa al suo onore, proprio lui sa che alla morte perderà tutto, e non se ne preoccupa né prova emozione. È una cosa mostruosa vedere in uno stesso cuore e allo stesso tempo tanta sensibilità per le minime cose e tanta strana insensibilità per le più grandi.

È un sortilegio incomprensibile, e un torpore soprannaturale, indice di una forza onnipotente che lo provoca.

 

Ci dev’essere uno strano capovolgimento nella natura dell’uomo per gloriarsi d’essere in questo stato, in cui sembra incredibile che possa trovarsi una persona sola. Eppure l’esperienza me ne fa vedere così tante che sarebbe un fatto sorprendente, se non sapessimo che fra quanti ci si mettono, i più fingono, e non sono veramente tali. È gente che ha sentito dire che le belle maniere del mondo consistono nel fare così i fanatici. È quel che chiamano aver scosso il giogo, e che cercano di imitare. Ma non sarebbe difficile far loro capire come si sbagliano cercando stima per questa via. Non è così che la si ottiene, dico persino tra le persone di mondo che giudicano le cose in modo sano, e sanno che il solo modo per essere stimati è di apparire onesti, fedeli, giudiziosi e capaci di servire utilmente un amico, giacché gli uomini amano naturalmente solo ciò che può tornar loro utile. Ora, che ci guadagnamo, quando sentiamo dire a un uomo che ha scosso il giogo, che non crede a un Dio che vegli sulle sue azioni, che si considera il solo arbitro del suo comportamento e non pensa a renderne conto se non a se stesso? Pensa con questo di averci indotto ad avere ormai una gran fiducia in lui e ad aspettarci da lui consolazioni, consigli e soccorsi in tutti i bisogni della vita? Pretendono di averci rallegrati, dicendoci che secondo loro la nostra anima è solo un po’ di vento e fumo, e per di più dicendolo con un tono di voce fiero e contento? È forse una cosa da dire allegramente? Non è una cosa da dire, al contrario, con tristezza, come la cosa più triste del mondo?

Se ci pensassero seriamente, vedrebbero che l’hanno presa in modo così sbagliato, così contrario al buon senso, così opposto al saper vivere [ 3 ] e così lontano in tutti i sensi da quel buon tono che cercano, che riuscirebbero a correggere anziché corrompere chi avesse qualche propensione a seguirli. E infatti, chiedete loro di render conto dei loro sentimenti e delle ragioni che hanno per dubitare della religione: vi diranno cose così deboli e basse che vi persuaderanno del contrario. Come diceva loro un giorno, molto a proposito, una persona: «Se continuate a discorrere in questo modo, diceva loro, in verità, mi convertirete». E aveva ragione, perché chi non avrebbe orrore vedendosi su posizioni in cui si hanno per compagne persone così spregevoli!

Così quelli che si limitano a ostentare questi sentimenti sarebbero ben disgraziati se forzassero il loro modo d’essere naturale per rendersi i più impertinenti fra gli uomini. Se sono dispiaciuti, nel fondo del cuore, di non avere maggior luce, non lo nascondano! Questa dichiarazione non farà loro vergogna. La vergogna è solo nel non averne. Niente accusa un’estrema debolezza di mente più che non riconoscere qual è l’infelicità di un uomo senza Dio. Niente indica una cattiva disposizione del cuore più che non desiderare la verità delle promesse eterne. Niente è più vile che fare i bravi contro Dio. Lascino dunque queste empietà a chi è abbastanza mal nato da esserne veramente capace: siano almeno persone dabbene [ 4 ], se non possono essere cristiani! E riconoscano infine che solo due categorie di persone possono esser considerate ragionevoli: o quelli che servono Dio con tutto il cuore perché lo conoscono, o quelli che lo cercano con tutto il cuore perché non lo conoscono.

Quanto a quelli che vivono senza conoscerlo e senza cercarlo, si giudicano da se stessi così poco degni della propria cura che non sono degni della cura degli altri, e ci vuole tutta la carità di quella religione che disprezzano, per non disprezzarli fino ad abbandonarli alla loro follia. Ma poiché questa religione ci obbliga a considerarli sempre, finché saranno in questa vita, come capaci della grazia che può illuminarli, e a credere che in breve tempo possono essere ricolmi di fede più di noi, mentre al contrario noi possiamo cadere nel loro accecamento, bisogna fare per loro quello che vorremmo fosse fatto a noi se fossimo al loro posto, e chiamarli ad avere pietà di se stessi e a fare almeno qualche passo per tentare di trovar luce. Dedichino a questa lettura alcune delle ore che impiegano così inutilmente altrove: per quanto vi giungano prevenuti, forse troveranno qualcosa, e almeno non vi perderanno molto. Ma chi vi porta una sincerità perfetta e un vero desiderio di incontrare la verità, spero trovi soddisfazione, e rimanga convinto dalle prove di una religione così divina, che ho qui raccolte, e in cui ho seguito più o meno quest’ordine... [681]

 

*

 

Prima di addentrarmi nelle prove della religione cristiana, trovo necessario prospettare l’ingiustizia degli uomini che vivono indifferenti a cercare la verità di una cosa tanto importante per loro e che li tocca così da vicino.

Di tutti i loro smarrimenti, è sicuramente quello che più li convince di follia e di accecamento, e in cui è più facile confonderli con le prospettive elementari del senso comune e con i sentimenti della natura. Poiché non c’è dubbio che il tempo di questa vita è solo un istante, che lo stato della morte è eterno, qualunque sia la sua natura, e dunque tutte le nostre azioni e i nostri pensieri devono prendere strade così diverse secondo lo stato di quella eternità, che è impossibile fare un passo con senno e giudizio se non mirando a quel punto che dev’essere il nostro obiettivo ultimo.

Non c’è niente di più evidente: perciò, secondo i princìpi della ragione, il comportamento degli uomini è assolutamente irragionevole se non prendono un’altra strada. Si giudichino di conseguenza quelli che vivono senza pensare al termine ultimo della vita, che, lasciandosi andare a inclinazioni e a piaceri senza riflessione e senza inquietudine, quasi potessero annullare l’eternità a forza di distoglierne il pensiero, pensano solo a rendersi felici in quest’unico istante.

Quell’eternità sussiste tuttavia, e la morte, che deve dischiuderla e che li minaccia a ogni momento, deve metterli inesorabilmente fra breve nell’orribile necessità di essere eternamente o annientati o infelici, senza che essi sappiano quale di queste eternità è preparata loro per sempre.

Ecco un dubbio dalle terribili conseguenze. Corrono il rischio di un’eternità di miserie: e intanto, come se la cosa non mettesse conto, trascurano di esaminare se è un’opinione di quelle che il popolo accoglie con una facilità troppo credula, o di quelle che, oscure in se stesse, hanno un fondamento solidissimo, per quanto nascosto. Così non sanno se c’è verità o falsità nella cosa, né se c’è forza o debolezza nelle prove. Le hanno davanti agli occhi: rifiutano di posarvi lo sguardo, e in questa ignoranza risolvono di fare tutto ciò che occorre per cadere in quella infelicità se esiste, di aspettare a verificarlo con la morte, di essere intanto soddisfattissimi in questo stato, di farne professione, e infine di trarne vanto. Si può pensare seriamente all’importanza di questa faccenda senza avere orrore di una condotta così stravagante?

Tale riposo in tale ignoranza è una cosa mostruosa, e di cui bisogna far sentire la stravaganza e la stupidità a chi vi passa la vita, mettendogliela davanti per confonderlo con la vista della propria follia. Giacché ecco come ragionano gli uomini, quando scelgono di vivere ignorando così ciò che sono, e senza cercarne chiarimenti: «Non so», dicono...

«Ecco che cosa vedo e che cosa mi turba. Guardo da tutte le parti, e dappertutto non vedo che buio. La natura non mi offre niente che non sia materia di dubbio e d’inquietudine. Se non vedessi nessun segno di una divinità, mi risolverei negativamente; se vedessi ovunque le tracce di un creatore, riposerei in pace nella fede. Ma, vedendo troppo per negare e troppo poco per avere certezze, sono in uno stato pietoso, e in cui cento volte ho desiderato che, se c’è un Dio che la regge, la natura lo indicasse senza equivoco; e, se i segni che ne dà sono ingannevoli, li sopprimesse del tutto; che dicesse tutto o niente, perché io veda quale partito devo seguire. Mentre nello stato in cui sono, ignorando quello che sono e quello che devo fare, non conosco né la mia condizione, né il mio dovere. Tutto il mio cuore tende a conoscere dov’è il vero bene, per seguirlo. Niente mi costerebbe troppo per l’eternità.

Invidio quelli che vedo vivere, nella fede, con tanta negligenza, e che usano così male un dono del quale mi sembra farei un uso tanto diverso». [682]

 

*

 

Nessun altro ha riconosciuto che l’uomo è la più eccellente delle creature. Gli uni, che hanno ben riconosciuto la realtà della sua eccellenza, hanno preso per vigliaccheria e ingratitudine il basso sentire che gli uomini hanno naturalmente di sé; e gli altri, che hanno ben conosciuto com’è reale quella bassezza, hanno trattato come superbia ridicola i sentimenti di grandezza, anch’essi naturali all’uomo.

«Levate gli occhi a Dio, dicono gli uni. Vedete colui al quale somigliate e che vi ha fatti per adorarlo. Potete rendervi simili a lui. La sapienza vi renderà suoi pari, se volete seguirla». «Levate il capo, uomini liberi», dice Epitteto. E gli altri dicono: «Abbassa gli occhi a terra, meschino verme che sei, e guarda le bestie di cui sei compagno». Che diverrà dunque l’uomo: sarà uguale a Dio o alle bestie? Quale spaventosa distanza! Che saremo dunque? Chi non vede, da tutto ciò, che l’uomo è smarrito, caduto dal suo posto, che lo cerca con inquietudine, che non può più ritrovarlo? E chi ve lo indirizzerà? I più grandi uomini non ne sono stati capaci.

Non concepiamo né lo stato glorioso di Adamo, né la natura del suo peccato, né la trasmissione che se ne è fatta in noi. Sono cose accadute nella condizione di una natura tutta diversa e che superano lo stato della nostra capacità presente.

Sapere tutto questo ci sarebbe inutile per uscirne. E tutto quanto ci importa di conoscere, è che siamo miserabili, corrotti, separati da Dio, ma riscattati da Gesù Cristo. E ne abbiamo prove meravigliose sulla terra.

Così le due prove della corruzione e della Redenzione sono derivate dagli empi, che vivono indifferenti alla religione, e dagli Ebrei, che sono suoi nemici irreconciliabili. [683]

 

*

 

(Amor proprio, e perché è una cosa che ci interessa abbastanza da esserne scossi, la sicurezza che dopo tutti i mali della vita una morte inevitabile, che ci minaccia a ogni momento, deve inesorabilmente entro pochi anni... nell’orribile necessità...)

 

Le tre condizioni.

Non si deve dire che questo è un segno di ragionevolezza.

 

È tutto quanto potrebbe fare un uomo che fosse sicuro della falsità di questa notizia. E comunque non dovrebbe essere nella gioia, ma nell’abbattimento.

 

È la sola cosa che conta, ed è la sola che viene trascurata!

 

La nostra immaginazione ci ingigantisce a tal punto il tempo presente, a forza di riflettervi continuamente, e assottiglia a tal punto l’eternità, per mancanza di riflessione, che facciamo dell’eternità un niente e del niente un’eternità. E tutto ciò ha radici così vive in noi, che tutta la nostra ragione non può preservarcene e...

Vorrei chiedere loro se non è vero che sono, proprio loro, la verifica di quel fondamento della fede che combattono, secondo cui la natura degli uomini è corrotta. [684]

 

*

 

Allora Gesù Cristo viene a dire agli uomini che non hanno altri nemici se non se stessi, che sono le loro passioni a separarli da Dio, che egli viene per distruggerle e per dare loro la sua grazia, onde fare di tutti loro una Chiesa santa.

Viene a ricondurre in questa Chiesa pagani ed Ebrei, viene a distruggere gli idoli degli uni e la superstizione degli altri. A questo tutti gli uomini sono contrari, non solo per l’opposizione naturale della concupiscenza, ma sopra a tutto i re della terra si uniscono per abolire quella religione nascente, com’era stato predetto (profezia: Quare fremerunt gentes... reges terrae... adversus Christum5 ]).

Tutti i grandi della terra si uniscono: i dotti, i saggi, i re. Gli uni scrivono, gli altri condannano, gli altri ancora uccidono. E nonostante tutte queste opposizioni, quei semplici, quegli inermi, resistono a tutte quelle potenze e addirittura sottomettono quei re, quei dotti, quei saggi, e spazzano via l’idolatria da tutta la terra. E tutto ciò avviene grazie alla forza che lo aveva predetto. [685]

 

*

 

Immaginiamoci una quantità di uomini incatenati, e tutti condannati a morte, sgozzati ogni giorno gli uni sotto gli occhi degli altri, così che quelli che restano vedono la propria condizione in quella dei loro simili, e, guardandosi a vicenda con dolore e senza speranza, a loro volta stanno in attesa! [686]

 

*

 

Passati la Creazione e il Diluvio, poiché Dio non doveva più distruggere il mondo, né ricrearlo, né dare quei grandi segni di sé, cominciò a costituire un popolo sulla terra, formato appositamente, che durasse fino al popolo che il Messia avrebbe formato con il suo spirito. [687]

 


 

1 ] Nel dossier «Ordine», Pascal prevede che la «Lettera per portare a cercare Dio» precederà l’inchiesta filosofica. Possediamo vari saggi di redazione di questa lettera, oltre che diverse note preparatorie nei dossier «Inizio» e «Miscellanea 8».

2 ] «Dio nascosto» (Isaia 45, 15).

3 ] Compare qui per la prima volta nel nostro testo il termine honnêteté, difficilmente traducibile per la ricchezza di connotazioni che assume nella cultura del Seicento. L’honnête homme è galantuomo e gentiluomo, uomo di mondo e uomo universale. È l’espressione di un ideale mondano ed estetico più che etico. Abbiamo tradotto il sostantivo e l’aggettivo in modo diverso a seconda delle sfumature suggerite dai contesti [N.d.T.] .

4 ] Honnêtes gens [N.d.T.] .

5 ] Salmo 2, 1-2: «Perché fremettero le nazioni? [...] I re della terra si sono sollevati, e i principi hanno cospirato insieme contro il Signore e contro il suo Cristo».

Pensieri [Nuova edizione a cura di Philippe Sellier secondo l’“ordine” pascaliano]
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