MISERIA [ 1 ]
Bassezza dell’uomo, fino a sottomettersi alle bestie, fino ad adorarle. [86]
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Incostanza
Le cose hanno diverse qualità e l’anima diverse inclinazioni, poiché niente è semplice di ciò che si offre all’anima, e l’anima non si offre mai semplice ad alcun soggetto. Per questo si piange e si ride di una stessa cosa. [87]
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Incostanza
Sembra di toccare dei comuni organi, toccando l’uomo. Sono organi, in verità, ma bizzarri, mutevoli, variabili (i cui tubi non si succedono per gradi congiunti. Chi sa suonare solo quelli ordinari) non riuscirebbe a fare accordi su questi. Bisogna sapere dove sono i [tasti]. [88]
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Siamo così disgraziati che non possiamo prendere piacere ad una cosa se non a condizione di essere contrariati se riesce male. Questo, mille cose possono farlo e lo fanno ogni momento. [Chi] avesse trovato il segreto di rallegrarsi del bene senza dispiacersi del male opposto avrebbe trovato il punto. È il moto perpetuo. [89]
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Non è bene essere troppo liberi.
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Non è bene patire tutte le necessità. [90]
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Tirannia
La tirannia è voler avere per una certa via ciò che si può avere solo per un’altra. Diversi doveri sono resi ai diversi meriti: dovere d’amore all’attrattiva, dovere di timore alla forza, dovere di credito alla scienza.
Bisogna rendere tali doveri, si è ingiusti nel rifiutarli, e ingiusti nel chiederne altri.
Così questi discorsi sono falsi e tirannici: «Sono bello, dunque mi si deve temere. Sono forte, dunque mi si deve amare. Sono...». Ed è ugualmente falso e tirannico dire: «Non è forte, dunque non lo stimerò. Non è capace, dunque non lo temerò». [91]
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La tirannia consiste
nel desiderio di dominazione
universale e fuori dal
proprio ordine.
Varie dimore, di spiriti forti, belli, buoni, pii, di cui ognuno regna in casa propria, non altrove, e talvolta si incontrano. E il forte e il bello si battono stupidamente a chi dominerà l’altro, perché il loro dominio è di genere diverso. Non si capiscono. E la loro colpa è di voler regnare ovunque. Niente lo può, nemmeno la forza. Essa non serve a nulla nel regno dei sapienti. Non è padrona se non delle azioni esterne. [92]
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Quando si tratta di giudicare se si deve fare la guerra e uccidere tanti uomini, condannare a morte tanti Spagnoli, un uomo solo ne è giudice, e per di più interessato. Dovrebbe essere un terzo indifferente. [93]
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Su che cosa fonderà l’economia del mondo che vuole governare? Sul capriccio di ogni individuo? che confusione! Sulla giustizia? la ignora. Certo, se la conoscesse, non avrebbe stabilito questa massima, la più generale fra tutte quelle diffuse tra gli uomini: ognuno segua i costumi del suo paese [ 2 ]. Lo splendore della vera equità avrebbe assoggettato tutti i popoli. E i legislatori non avrebbero preso a modello, invece di questa giustizia costante, le fantasie e i capricci dei persiani e dei tedeschi. La si vedrebbe impiantata in tutti gli Stati del mondo e in tutti i tempi, mentre non si vede niente di giusto o di ingiusto che non cambi qualità cambiando clima. Tre gradi di altezza del polo capovolgono tutta la giurisprudenza. Un meridiano decide la verità. In pochi anni di dominio le leggi fondamentali cambiano. Il diritto ha le sue epoche, l’entrata di Saturno nel Leone segna l’origine di un certo crimine. Curiosa giustizia, che ha un fiume per limite! Verità di qua dai Pirenei, errore al di là.
Riconoscono che la giustizia non consiste in quei costumi, ma risiede nelle leggi naturali comuni ad ogni paese. Certo si ostinerebbero a sostenerlo se la temerità del caso, che ha seminato le leggi umane, ne avesse trovata almeno una che fosse universale. Ma, a tal punto si spinge la bizzaria, il capriccio degli uomini si è così ben diversificato che non ne esiste alcuna (di generale).
Il furto, l’incesto, l’uccisione dei figli e dei padri, tutto ha trovato posto fra le azioni virtuose. Può esserci niente di più bizzarro del fatto che un uomo abbia il diritto di uccidermi perché abita al di là del fiume e il suo principe litiga con il mio, per quanto io non litighi affatto con lui?
Vi sono senza dubbio leggi naturali, ma questa bella ragione corrotta ha corrotto tutto. Nihil amplius nostrum est, quod nostrum dicimus artis est [ 3 ]. Ex senatusconsultis et plebiscitis crimina exercentur [ 4 ]. Ut olim vitiis sic nunc legibus laboramus [ 5 ].
In questa confusione c’è chi dice che l’essenza della giustizia è l’autorità del legislatore, l’altro la comodità del sovrano, l’altro ancora l’usanza presente. Ed è il partito più sicuro. Se si segue la sola ragione, niente è giusto in sé, tutto diviene instabile col tempo. L’usanza fa tutta l’equità, per la sola ragione che è accettata. È questo il fondamento mistico della sua autorità. Chi vorrà ricondurla al suo principio, la annienta. Niente è così storto come quelle leggi che raddrizzano i torti. Chi le osserva perché sono giuste, obbedisce alla giustizia che immagina, ma non all’essenza della legge. Essa è tutta racchiusa in sé, è legge e niente più. Chi vorrà esaminarne il motivo lo troverà così fragile e leggero che se non è abituato a contemplare i prodigi dell’immaginazione umana, si meraviglierà che un secolo le abbia guadagnato tanta pompa e reverenza. L’arte di far la fronda, di sconvolgere gli Stati consiste nello scuotere le usanze stabilite, sondando fino alla loro scaturigine per sottolineare il loro difetto di autorità e di giustizia. Bisogna, dicono, ricorrere alle leggi fondamentali e primitive dello Stato, che un’usanza ingiusta ha abolito. È un gioco sicuro per perdere tutto, niente sarà giusto su una tale bilancia. Eppure il popolo presta facilmente l’orecchio a questi discorsi. Scuotono il giogo appena lo riconoscono, e i potenti ne approfittano per la sua rovina e per quella di quei curiosi indagatori delle usanze vigenti. Perciò il più saggio dei legislatori diceva che per il bene degli uomini bisogna spesso ingannarli [ 6 ]. E un altro buon politico: Cum veritatem qua liberetur ignoret, expedit quoad fallatur [ 7 ]. Bisogna che non senta la verità dell’usurpazione. È stata introdotta un tempo senza ragione, ora è divenuta ragionevole. Bisogna farla considerare autentica, eterna e nasconderne l’inizio se non si vuole che presto abbia fine. [94]
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Giustizia
Come la moda decide l’attrattiva, così essa decide la giustizia. [95]
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Uno che abbia goduto dell’amicizia del re d’Inghilterra, del re di Polonia e della regina di Svezia, avrebbe mai creduto di poter mancare di rifugio e di asilo al mondo [ 8 ]? [96]
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La gloria
L’ammirazione rovina tutto fin dall’infanzia. Com’è ben detto, come ha fatto bene, com’è bravo, ecc. I bambini di Port-Royal cui non viene dato questo stimolo di emulazione e di gloria cadono nell’indolenza. [97]
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Mio, tuo
«Questo cane è mio», dicevano quei poveri bambini. «Quello è il mio posto al sole». Ecco l’inizio e l’immagine dell’usurpazione di tutta la terra. [98]
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Diversità
La teologia è una scienza, ma al contempo quante scienze è? Un uomo è un supporto [ 9 ], ma se lo si anatomizza, sarà la testa, il cuore, lo stomaco, le vene, ogni vena, ogni porzione di vena, il sangue, ogni umore del sangue?
Una città, una campagna, da lontano è una città e una campagna, ma man mano che ci si avvicina, sono case, alberi, tegole, foglie, erbe, formiche, gambe di formiche, all’infinito. Tutto ciò è racchiuso nel nome di campagna. [99]
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Ingiustizia
È pericoloso dire al popolo che le leggi non sono giuste, perché non le osserva se non in quanto le crede giuste. Per questo gli va detto al tempo stesso che bisogna osservarle in quanto sono leggi, come bisogna obbedire ai superiori non perché sono giusti, ma perché sono superiori. In tal modo è prevenuta qualunque sedizione, se si arriva a far capire questo e che [tale è] propriamente la definizione della giustizia. [100]
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Ingiustizia
La giurisdizione non viene data per chi la esercita, ma per chi ne è oggetto. È pericoloso dirlo al popolo. Ma il popolo crede troppo in voi, questo non gli recherà pregiudizio e a voi può servire. Bisogna dunque renderlo pubblico. Pasce oves meas, non tuas [ 10 ]. Mi dovete pascolo. [101]
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Quando considero la breve durata della mia vita assorbita nell’eternità che la precede e la segue, memoria hospitis unius diei pretereuntis [ 11 ], il piccolo spazio che occupo e addirittura che vedo, inabissato nell’immensità infinita degli spazi che ignoro e che mi ignorano, mi spavento e rimango attonito nel vedermi qui piuttosto che là, perché non c’è ragione alcuna per cui io sia qui piuttosto che là, ora piuttosto che allora. Chi mi ci ha messo? Per ordine e disposizione di chi, questo luogo e questo tempo è stato destinato a me? [102]
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Miseria
Giobbe e Salomone [ 12 ]. [103]
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Se la nostra condizione fosse veramente felice, non occorrerebbe distrarci dal pensarvi. [104]
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Contraddizione
Orgoglio, contrappeso di tutte le miserie. O nasconde le sue miserie, o, se le scopre, si gloria di conoscerle. [105]
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Bisogna conoscere se stessi. Quand’anche ciò non servisse a trovare il vero, almeno serve a regolare la propria vita. E non c’è niente di più giusto. [106]
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Il senso della falsità dei piaceri presenti e l’ignoranza della vanità dei piaceri assenti provoca l’incostanza. [107]
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Ingiustizia
Non hanno trovato [ 13 ] altro mezzo di soddisfare la loro concupiscenza senza far torto agli altri. [108]
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Giobbe e Salomone. [109]
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L’Ecclesiaste mostra che l’uomo senza Dio è nell’ignoranza di tutto e in un’infelicità inevitabile. Perché è essere infelici, volere e non potere. Ora, egli vuol essere felice e sicuro di qualche verità, e tuttavia non può né sapere né non desiderare di sapere. Non può nemmeno dubitare. [110]
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13 – (Dunque l’anima sarebbe ancora un soggetto troppo nobile per i suoi deboli lumi? Abbassiamola dunque alla materia. Vediamo se sa di che cosa è fatto il corpo stesso che essa anima, e gli altri che contempla e smuove a suo piacimento.
Che cosa ne hanno saputo, questi grandi dogmatici che non ignorano nulla?
393
Harum sententiarum [ 14 ].
Indubbiamente ciò basterebbe se la ragione fosse ragionevole. Lo è quanto basta per confessare che non ha potuto trovare niente di solido, ma non dispera ancora di arrivarci. Al contrario, è più ardente che mai in questa ricerca, e sicura di avere in sé le forze necessarie per una tale conquista.
Bisogna dunque portarla a termine, e dopo aver esaminato le sue facoltà nei loro effetti, riconosciamole quali sono in loro stesse. Vediamo se essa ha delle forze e delle prese capaci di afferrare la verità.
13 – Ma forse questo soggetto supera la portata della ragione. Esaminiamo dunque le sue trovate sulle cose che corrispondono alla sua forza. Se c’è qualcosa a cui il suo stesso interesse avrebbe dovuto farla applicare con la massima serietà, è la ricerca del suo sommo bene. Vediamo dunque dove lo hanno riposto queste anime forti e chiaroveggenti, e se se ne trovano d’accordo.
Chi dice che il sommo bene è nella virtù, chi lo mette nel piacere, chi nel seguire la natura, chi nella verità, Felix qui potuit rerum cognoscere causas [ 15 ], chi nell’ignoranza tranquilla, chi nell’indolenza, chi nel resistere alle apparenze, chi nel non meravigliarsi di nulla. Nihil mirari propre res una quae possit facere et servare beatum [ 16 ], e i bravi pirroniani nella loro atarassia, nel dubbio e nella sospensione perpetua, e altri più saggi dicono che non lo si può trovare, nemmeno nel desiderio. Eccoci ben pagati!
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Bisogna dunque vedere
se questa bella filosofia, con un lavoro così lungo e così intenso,
ha trovato niente di certo. Forse almeno l’anima conoscerà se
stessa. Ascoltiamo i precettori del mondo su questo argomento. Che
cosa hanno pensato della sua sostanza? 395 Hanno avuto maggior successo nel situarla? 395 Che cosa hanno trovato riguardo alla sua origine, alla sua durata e alla sua dipartita? 399). [111] |
[ 1 ] Il dossier «Vanità» aveva adottato la prospettiva della commedia: far ridere delle follie umane. Con «Miseria» il riso cede il posto alla gravità.
[ 2 ] Discepolo di sant’Agostino, teologo colpito dalla debolezza dell’uomo decaduto, l’apologista è incantato dagli attacchi degli Essais contro i partigiani di una ragione e di una giustizia universale. Nessun altro «Pensiero» è così vicino a Montaigne, di cui sono riprese, quasi tema per tema, seppure in una scrittura tutta diversa, tre pagine dell’essai II, 12 (pp. 578-580) e alcuni altri passi più brevi.
[ 3 ] Citazione di Cicerone: «Non rimane niente che sia veramente nostro: ciò che chiamo nostro è solo un prodotto artificiale» (De finibus, V, 21).
[ 4 ] «Vi sono crimini commessi con l’appoggio di [senatoconsulti] e di plebisciti» (Seneca, Lettera 95 a Lucilio).
[ 5 ] «Un tempo si soffriva a causa dei crimini, oggi a causa delle leggi» (Tacito, Annali, III, 25).
[ 6 ] Essais, II, 12, p. 512: «Platone [...] dice apertamente nella sua Repubblica che per il vantaggio degli uomini bisogna spesso ingannarli».
[ 7 ] Ibid., p. 535: Montaigne evoca Varrone e il sommo sacerdote romano Scevola, ammiratori delle belle imposture politico-religiose, stigmatizzati da sant’Agostino nella Città di Dio (IV, 31), donde proviene la citazione: «Cum veritatem qua liberetur inquirat, cedatur ei expedire quod fallitur», citata a memoria da Pascal. «[Bella religione quella in cui] quando l’uomo cerca la verità liberatrice, si crede che la menzogna gli sia utile!».
[ 8 ] Carlo I fu decapitato nel 1649; Giovanni Casimiro fu spodestato della sua sovranità sulla Polonia in alcuni mesi nel 1656; Cristina di Svezia aveva abdicato nel 1654. La Gazette del 2, 12 e 16 settembre 1656 raccontava la presa di Varsavia da parte degli Svedesi, la fuga di Giovanni Casimiro e l’arrivo di Cristina a Parigi. Pol Ernst, che ha scoperto questi testi, considera tuttavia la possibilità che il «re d’Inghilterra» sia Carlo II, allora in esilio: in questo caso il «Pensiero» sarebbe stato redatto nei primi mesi del 1658 (Gazette del 25 gennaio, ecc.). L’autografo porta in alto a sinistra un titolo cancellato da Pascal: «(Tre ospiti)».
[ 9 ] Supporto: termine aristotelico che oppone la sostanza, inafferrabile, agli accidenti (quantità, qualità, relazione, ecc.).
[ 10 ] Giovanni 21, 17: dopo aver domandato a Pietro: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami tu?», Gesù gli dice: «Pasci i miei agnelli». Pascal commenta: «no, i vostri».
[ 11 ] Sapienza 5, 15: «La speranza del malvagio è [...] come la memoria dell’ospite di un solo giorno, che passa oltre».
[ 12 ] Nota che indica la collocazione di un frammento esplicito, provvisoriamente situato nella «liassa-quadro».
[ 13 ] Il soggetto sono le honnêtes gens, gli adepti dell’ideale della honnêteté.
[ 14 ] «Quale di queste opinioni sia quella vera, solo un dio può vederlo» (Cicerone, Tuscolane, I, 11). I numeri 393, 395, 399 rinviano all’edizione degli Essais apparsa nel 1652.
[ 15 ] «Felice chi può penetrare le cause delle cose!» (Virgilio, Georgiche, II, 490).
[ 16 ] «Non stupirsi di niente, Numaco, è quasi il solo e unico mezzo che dia e conservi la felicità» (Orazio, Epistole, I, VI, 1-2).