[GEOMETRIA / FINEZZA 2]
Differenza tra lo spirito di geometria
e lo spirito di finezza
Nel primo i princìpi sono palpabili, ma lontani dall’uso comune, tanto che si fa fatica a volger la testa da quella parte, per mancanza di abitudine. Ma per poco che lo si faccia, si vedono pienamente i princìpi, e bisognerebbe avere la mente proprio falsata per ragionare male su dei princìpi così grossolani che è quasi impossibile che sfuggano.
Ma nello spirito di finezza i princìpi sono di uso comune e sotto gli occhi di tutti. Non occorre voltare la testa, né costringersi; basta aver buona vista. Però bisogna averla buona, perché i princìpi sono così sottili e così numerosi che quasi necessariamente ne sfuggono. Ora, l’omissione di un principio porta all’errore. Dunque bisogna aver la vista proprio nitida per vedere tutti i princìpi, e poi la mente giusta per non ragionare in modo falso su dei princìpi conosciuti.
Tutti i geometri sarebbero dunque fini, se avessero la vista buona, perché non ragionano in modo falso sui princìpi che conoscono. E gli spiriti fini sarebbero geometri, se potessero piegare la loro vista verso gli inabituali principi di geometria.
Se dunque certi spiriti non sono geometri, è perché non riescono a prestare alcuna attenzione ai princìpi di geometria. Ma se dei geometri non sono fini, è perché non vedono ciò che hanno davanti agli occhi e, abituati ai princìpi netti e grossolani della geometria, e a ragionare solo dopo aver ben veduto e maneggiato i loro princìpi, si perdono nelle cose fini, i cui princìpi non si lasciano mai maneggiare così. Li si vede appena; più che vederli si sentono; si fa una fatica infinita a farli sentire a chi non li sente da sé. Sono cose talmente delicate, e così numerose, che ci vuole un organo interno ben delicato e ben netto per sentirle, e per giudicare in modo retto e giusto secondo quel sentimento, le più volte senza poterlo dimostrare ordinatamente come in geometria, perché non se ne controllano i princìpi allo stesso modo e perché sarebbe intraprendere un’operazione infinita. Bisogna dunque tutto in una volta abbracciare la cosa con un solo sguardo, e non per progresso di ragionamento, almeno fino a un certo livello. E dunque è raro che i geometri siano fini, e che i fini siano geometri, perché i geometri intendono trattare geometricamente delle cose fini, e si rendono ridicoli, volendo cominciare dalle definizioni e poi dai princìpi: che non è il modo di procedere in questo tipo di ragionamento. Non che la mente non lo faccia, ma lo fa tacitamente, naturalmente e senz’arte, perché esprimere tali cose non è alla portata di tutti, e sentirle appartiene a pochi.
Gli spiriti fini invece, abituati a giudicare con una sola occhiata, quando si presentano loro delle proposizioni in cui non capiscono nulla, e in cui per entrare bisogna passare da definizioni e da princìpi tanto aridi, che loro non sono affatto abituati a vedere così in dettaglio, rimangono sbalorditi al punto da esserne respinti e disgustati.
Ma gli spiriti falsi non sono mai né fini né geometri.
I geometri solo geometri hanno dunque la mente retta, purché però si spieghi bene loro tutto con definizioni e princìpi; altrimenti sono falsi e insopportabili, perché sono retti solo sui princìpi messi bene in chiaro.
E i fini solo fini non possono avere la pazienza di scendere fino ai primi princìpi delle cose speculative e immaginarie che non hanno mai visto nel mondo, e che sono del tutto estranee all’uso comune. [670]
*
Geometria / finezza
La vera eloquenza si fa gioco dell’eloquenza. La vera morale si fa gioco della morale, cioè la morale del giudizio si fa gioco della morale dell’intelletto, che è senza regole.
È al giudizio che appartiene il sentimento, come le scienze appartengono all’intelletto. La finezza è retaggio del giudizio, la geometria è retaggio dell’intelletto.
Farsi gioco della filosofia, è vera filosofia [ 1 ].
_______
Il nutrimento del corpo è graduale.
Pienezza di nutrimento, e poca sostanza. [671]
[ 1 ] Dopo aver affermato che Epicuro, Platone e Pitagora non prendevano sul serio i loro stessi sistemi, si divertivano delle proprie elucubrazioni, Montaigne riferisce questa parola di un antico: «questo era fare veramente filosofia» (Essais, II, 12, p. 511).