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Noah, dopo
Noah si accorse con orrore
che le guardie lo stavano mettendo in cella insieme a Drover, come
per una lotta in gabbia. Sentì una scarica di adrenalina. Il cuore
cominciò a battergli forte.
Il respiro era diventato
corto e scostante. Non sentiva più il dolore. Sudava. Se si fosse
opposto avrebbe solo sprecato energie preziose.
«Toglietemi le manette» disse Noah, che voleva una possibilità di
battersi.
«Non penso proprio, dottore.» Evesham spinse Noah dentro la cella.
Noah inciampò entrando e
cadde, ammanettato. La porta venne chiusa a chiave alle sue spalle.
Cercò di rimettersi in piedi, arretrando. Era deciso a non farsi
prendere dal panico.
Drover avanzò lentamente,
brandendo l’arma, un pezzo di metallo appuntito con un manico
fissato con del nastro adesivo.
Noah si arretrava a poco a
poco, pensando velocemente. Se avesse fatto avvicinare Drover a una
distanza sufficiente, avrebbe potuto fargli cadere il coltello di
mano con un calcio oppure dargli un calcio all’inguine.
Drover avanzò, facendo
smorfie. Fendeva l’aria con il coltello, giocando con Noah. I suoi
occhi scuri scintillavano. «Hai
ucciso Jeremy.»
«Non è vero. Ho cercato di salvarlo» Noah indietreggiò ancora verso la porta. Il sangue
caldo gli scendeva in rivoli sulla faccia. Sbatté le palpebre per
toglierlo. Stava finendo lo spazio a disposizione. Doveva far
avvicinare Drover ancora un po’.
«Non hai voluto cucirlo.» Drover agitò il coltello in aria nella direzione
opposta.
«Non sarebbe servito a niente.» Noah sentì che aveva la schiena contro la
porta.
«Ho intenzione di scavarti come hanno scavato
lui.»
Noah sentì delle urla alle
sue spalle. Dei passi pesanti riempivano il corridoio fuori.
Sentiva qualcuno che abbaiava ordini. «Fatemi uscire di qui!» urlò, prendendo a calci la porta.
Drover fece la sua mossa,
avventandosi su Noah con il coltello.
Noah si spostò, schivando la
lama per un soffio.
All’improvviso, si spalancò
la porta della cella. La squadra di pronto intervento fece
irruzione. Caricarono Drover disposti a falange e con indosso
caschi antisommossa neri, occhiali protettivi e giubbotti
antiproiettile.
Noah balzò di lato. Il
caposquadra brandiva uno scudo di plastica a grandezza uomo che usò
per spingere Drover indietro e lo fece stendere a terra, mentre
Drover si opponeva, urlando oscenità. Gli altri membri della
squadra disarmarono e ammanettarono Drover, armati di pistole al
peperoncino.
Gli ci vollero solo pochi
minuti per immobilizzare Drover e portarlo fuori dalla cella che
ancora gridava.
Noah si asciugò il sangue
dalla fronte, scosso, e il vicedirettore McLaughlin entrò con
un’altra guardia carceraria, la sua espressione era cupa dietro gli
occhiali.
«Guardia Jimenez, tolga le manette al dottor
Alderman» ordinò, voltandosi verso
Noah. «Dottor Alderman, altre lesioni
oltre al taglio sulla fronte?»
«Forse una costola rotta, ma potevo finire
ammazzato.» Noah cercò di raccogliere
le idee. «Ha visto che cosa è
successo? Suppongo che lei abbia parlato con il mio avvocato. Sono
in pericolo a Graterford. Mi deve trasferire fuori di
qui.»
«Faremo molto di meglio.» Il vicedirettore McLaughlin sorrise.
«Lei sta per tornare a essere un uomo libero, dottor
Alderman.»
«Cosa?» chiese Noah,
sconcertato. «Come?»
«Il suo avvocato ha ricevuto una chiamata da sua
moglie. Si trova nel Maine con l’fbi.
Hanno in custodia un uomo di nome Konstantine Rogolyi, il quale ha
confessato l’omicidio di Patti Tenderly del 10 maggio. Ho appena
chiuso il telefono con il sostituto procuratore federale a
Philadelphia, che ha confermato le informazioni.»
«Veramente?» Noah era
attonito. Non aveva idea di che cosa stesse succedendo.
Il 10 maggio era la data
dell’omicidio di Anna, ma non aveva la più pallida idea di chi
fosse Patti Tenderly. Si asciugò di nuovo il sangue dal viso.
«Andiamo in infermeria, dottore.» Il vicedirettore McLaughlin mise la mano sulla
spalla di Noah.
«Ma chi è Patti Tenderly? E che ci fa mia moglie nel
Maine? Con l’fbi, poi?»
«Le spiegherò mentre andiamo.»