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Noah, dopo
Processo, quinto giorno
Noah sedeva al banco dei
testimoni durante un’altra conferenza con il giudice al banco.
Stavolta il cancelliere aveva sbagliato a numerare alcuni reperti,
e Thomas, Linda e il giudice Gardner li stavano sistemando,
lasciando Noah in un’attesa imbarazzante, con le mani incrociate in
grembo. Non sapeva che cosa fare, come qualcuno che si ritrovi a
mangiare da solo al ristorante, solo che alla fine del pasto
sarebbe potuto andare in prigione per il resto della sua
vita.
Noah non riusciva a smettere
di pensare al litigio per la Range Rover, che ora l’aveva marchiato
come dottor Jekyll e Mr Hyde. Dopo che Maggie era andata di sopra,
aveva tolto i vetri rotti, aveva aperto una birra e si è messo a
guardare fuori dalla finestra della cucina. Caleb stava giocando
con Ralph in giardino e Noah l’aveva sentito parlare con il gatto.
Quando era più piccolo, Caleb si esercitava a contare davanti a
Ralph, al quale non sembrava importare della disprassia di Caleb e
dei suoi uno, due, tre, quattro, cinque che suonavano come dei uo,
ue, ree, uato, icue.
Noah aveva pensato a quanto
amava suo figlio e a come avrebbe reagito se avesse perso Caleb
nello stesso modo in cui Dina e Steve avevano perso Mike. O persino
nel modo in cui Maggie aveva perso Anna, scomparsa dalla sua vita
quando era appena nata. Si sentì sopraffatto dal senso di colpa per
averli trattati tutti così male.
Era uscito dalla porta sul
retro e attraversato il giardino per raggiungere Caleb, con la sua
birra in mano. «Ciao,
ragazzo.»
«Ciao, papà» aveva
risposto Caleb, e Noah gli aveva girato intorno per metterglisi di
fronte in modo che potessero guardarsi negli occhi.
«Mi dispiace di avere urlato,
piccolo.»
«Fa niente» aveva
detto Caleb, ma era venuto fuori un ‘anete’, incomprensibile a
chiunque altro, e ciò significava che era stressato, non si stava
prendendo il tempo di formulare una strategia e formare le parole
in modo più chiaro.
«Vuoi rientrare? Si sta facendo buio.»
«Va bene, aveva detto Caleb, ma il suono che era
uscito somigliava a ‘aene’.»
«Che ne dici se saltiamo la cena e mangiamo un
gelato? Penso che in freezer ci sia quello al gusto di cioccolato e
menta.»
«No.»
«Ti dispiace se sto qui con te?»
«No.»
«Bene.» Noah aveva
preso un altro sorso di birra, poi si era seduto sull’erba, a gambe
incrociate. Era arrivato Ralph, che aveva annusato la bottiglia di
birra ricoperta di goccioline, e Noah aveva accarezzato la schiena
del gatto. La coda di Ralph si arricciò a formare un punto
interrogativo.
«Lì non gli piace. Accarezzalo sotto il
mento.»
«Okay.» Noah grattò
Ralph sotto il mento e il gatto strizzò gli occhi e arricciò il
naso.
«Vuole sempre tante carezze» aveva detto Caleb, ma era quasi incomprensibile,
la lettera R era difficile per i bambini affetti da disprassia e
altri disturbi del linguaggio. Noah si ricordò che erano rimasti
indietro con le parole target quella settimana e, di quel passo,
non sarebbero mai arrivati a ‘incidente’, ‘cerotto’, ‘antisettico’
o ‘emergenza’.
«Mi dispiace davvero tanto di essermi arrabbiato in
quel modo. Chiederò scusa a Maggie e anche ad Anna» disse Noah.
«Ad Anna no. Ha comprato la macchina. Non l’ha
chiesto.»
«Sì, è vero, ma due torti non fanno una ragione. Io
sono il padre e devo comportarmi come tale.»
«Tu non sei suo padre.»
«No, questo è vero»
disse Noah, sorpreso. «Non sono il
suo padre biologico, ma sono il suo patrigno.»
Caleb era rimasto in silenzio
e guardava il gatto, e Noah si era reso conto che forse stava
trascurando la reazione di Caleb rispetto all’arrivo di Anna.
«Che cosa ne pensi, Caleb?»
Caleb non aveva
risposto.
«La cosa ti rende felice o triste? A me puoi dirlo,
piccolo.»
Ancora nessuna risposta.
Caleb si chiudeva sempre in sé stesso quando era sotto pressione.
Sapeva che la sua capacità di parlare non era all’altezza del
compito.
«Tesoro, non ti preoccupare di come vengono fuori le
parole. Basta che me lo dici. Io riesco a capirti. Pensavo che Anna
ti piacesse.»
«Sono io che non le piaccio.»
«Perché dici così? Io penso che tu le piaccia. So
che è così. Vi siete divertiti un sacco con i
trenini.» Noah aveva toccato il
braccio scoperto di Caleb, gelato nell’aria frizzante. Era stata
una primavera fredda e il giardino odorava di pacciame
bagnato.
«Lei ha detto una parolaccia.»
«Che parolaccia era?»
«Eravamo in macchina. Ha detto ‘Caleb, non toccare i
pulsanti’ e poi la parola con la C, che non si deve dire.
»A Noah era tornata in mente la sera
da Bed Bath & Beyond, quando Anna gli aveva chiesto se voleva
sentire quanto fosse morbida. Forse non era stato lui a sentire
male. Forse Anna stava facendo qualche giochetto. O forse Caleb
stava mentendo per gelosia.
«Papà, non dirlo a Mag. Mag vuole bene ad
Anna.»
«Caleb, Maggie vuole tanto bene anche a te, lo sai.
Lei ti vuole un mondo di bene.»
«Lo so. Me lo dice sempre.»
«Bene.» Noah aveva
abbracciato Caleb e poi erano rientrati. Noah mise di nuovo a fuoco
l’aula, non era più nel giardino di casa sua. Thomas, Linda e il
giudice Gardner stavano ancora confabulando, lasciando la giuria in
animazione sospesa e Noah sul banco dei testimoni, chiedendosi se
le cose sarebbero andate diversamente se avesse raccontato a Maggie
quello che aveva detto Caleb.
Ma quello che era successo
dopo era stato talmente peggiore da essersene dimenticato.