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Noah, dopo
Processo, quarto giorno
Noah sedeva al banco degli
avvocati, mentre stava per iniziare la deposizione della testimone
dell’accusa. Riusciva a pensare solo al fatto che l’accusa aveva
prodotto una quantità di prove sufficiente a condannarlo. Thomas
l’aveva avvertito che si sarebbe sentito peggio alla fine del caso
dell’accusa e il fatto che Noah si fosse preparato era una magra
consolazione.
Linda era in piedi di fronte
all’intera aula mentre aspettava il giuramento della sua testimone,
un’esile donna indiana che indossava un elegante abito azzurro e
occhiali con finiture in acciaio con i capelli scuri e lucenti in
un caschetto corto.
«Dica il suo nome e cognome per la messa agli
atti» disse Linda in tono gentile,
mentre la testimone si sedeva.
«Dottoressa Lydia Kapoor.»
«E la prego di dire alla giuria qual è la sua
occupazione.»
«Sono l’assistente del coroner per la contea di
Montgomery.» La dottoressa Kapoor
probabilmente aveva superato i cinquanta ed emanava un’aria di
esperienza e autorità clinica.
«Da quanto tempo ricopre questo
ruolo?»
«Circa sette anni.»
«E in tutto questo tempo, quante autopsie stima di
avere eseguito?»
«Eseguiamo all’incirca duecentoventi autopsie
all’anno.» La dottoressa Kapoor si
premette gli occhiali contro il naso.
«E lei ha eseguito l’autopsia di Anna Desroches, la
vittima in questo caso?»
«Sì.»
Noah vide la giuria spostarsi
sulle sedie, aspettando di ascoltare l’imminente deposizione. Il
pubblico in galleria stava iniziando ad allungare il collo e la sua
attenzione fu attirata da una donna che riconobbe all’istante. Era
Jordan.
Noah guardò davanti a sé,
mascherando la sua sorpresa. Non vedeva Jordan dal convegno
naaai di Miami a maggio di quell’anno.
Non avrebbe mai pensato che sarebbe andata al suo processo, aveva
un aspetto magnifico. Aveva un viso stupendo dai grandi occhi
verdi, un bel naso e un sorriso abbagliante. Dei capelli
bellissimi, piuttosto lunghi. Ovviamente un fisico da paura.
Lavorava per AstraZeneca e Noah ricordava quando si erano
conosciuti al convegno della Accademia nazionale di allergia, asma
e immunologia a Dallas. I suoi colleghi gli avevano consigliato di
fermarsi allo stand di Jordan, dato che era rimasto vedovo.
Nel frattempo, Linda stava
chiedendo: «Dottoressa Kapoor, lei ha
scritto un referto relativo all’autopsia di Anna?»
«Sì.»
Noah si astrasse di nuovo. Si
era ritrovato a camminare nello spazio espositivo, un enorme
griglia di stand dai drappi azzurri pieni di rappresentati di
medici, strumenti, software di codifica e sistemi di fatturazione,
ben riforniti di magliette con i loghi delle aziende, orribili
penne, borse di stoffa e palline antistress nei vari colori
aziendali, oltre a caramelle, cioccolatini e, essendo vicini ad
Halloween, non potevano mancare i candy
corn.
Sullo schermo apparve il
referto dell’autopsia e Linda si voltò di nuovo verso il banco dei
testimoni. «Dottoressa Kapoor, a
quale conclusione è giunta in merito alla morte di
Anna?»
«Strangolamento manuale.»
«Come avviene, in parole povere?»
«Il passaggio dell’aria nella trachea viene bloccato
dalle mani di un’altra persona, causando ipossia, cioè mancanza di
ossigeno, e quindi la morte. L’ostruzione della trachea produce un
suono chiamato ‘stridore’, un sibilo, un suono stridulo specifico
della morte per strangolamento.»
Linda fece una pausa mentre
la giuria reagiva, atterrita, e Noah smise di ascoltare, occupato a
pensare a Jordan. Lei le si era avvicinata nello spazio espositivo,
sfoggiando il suo sorriso da istruttrice di fitness e tendendogli
una mano.
«Mi chiamo Jordan Nowicki. Piacere di
conoscerla.»
«Noah» aveva risposto
lui, come se non avesse un cognome. Più tardi, a letto, Jordan
l’avrebbe preso in giro per quello (Ti giuro che eri impacciato.
Sembrava che non avessi mai parlato con una donna.)
«Qual è la sua specializzazione, dottor
Noah?»
«Noah è il mio nome, di cognome faccio
Alderman.»
«Lo so, lo leggo sul suo cartellino. Lei è così
serio. Penso che la chiamerò No-ha. Allora, qual è la sua
specializzazione, No-ha?»
«Sono un allergologo pediatrico.» Noah farfugliò la risposta, anche se quella era la
prima domanda che gli facevano tutti i rappresentanti,
probabilmente recitando il manuale a memoria. (Prima fateli parlare
di sé, stabilite un rapporto, poi rifilate la vostra
mercanzia.)
«Oh, dev’essere molto divertente lavorare con i
bambini. Io adoro i bambini.»
«Sì, è divertente»
aveva detto Noah, riordinando le idee. Quella era la seconda cosa
che gli dicevano tutti i rappresentanti, specialmente le donne
single (Noah capiva sempre il sottotesto: ‘Sarei una brava madre
per tuo figlio. Chiedimi di uscire.’). Non funzionava mai perché
non riusciva a pensare a un’altra donna che potesse prendere il
posto di Karen. Ma era talmente palese che Jordan non avrebbe mai
potuto sostituirla, essendo così giovane, che Noah aveva pensato
che non ci fosse nulla di male a stare con lei.
Jordan gli aveva toccato il
braccio. «Ho un fratellino che ha
l’asma, e mi piace molto il suo allergologo.»
«Di fatto, la maggior parte dei miei pazienti ha
l’asma.»
«Ma è fantastico! Voi medici salvate la vita delle
persone!»
«No, non proprio»
aveva detto Noah. Si vedeva lontano un miglio che Jordan lo stesse
adulando, ma se aveva un fratello con l’asma, non aveva tutti i
torti.
«A mio fratello l’asma è stata diagnosticata
soltanto a nove anni. È quasi collassato durante una gara di
atletica. Ha l’asma nervosa. Mia mamma ringrazia il cielo tutti i
giorni per il suo allergologo.»
«È una
cosa carina da parte sua» aveva risposto Noah, rendendosi
conto di quanto lei fosse giovane, soltanto dal modo in cui aveva
detto ‘mia madre’. Più tardi avrebbe scoperto che Jordan aveva
ventitré anni contro i suoi quaranta, ed era piccola, un metro e
mezzo contro il suo metro e ottantacinque, quindi lei lo guardava
dal basso verso l’alto come se lui fosse un qualche dio delle
allergie. Karen sarebbe morta dalle risate e, normalmente, Noah
avrebbe fatto lo stesso, ma mentre guardava in basso verso Jordan,
non aveva voglia di ridere. Di sorridere sì, però.
«Da dove viene, No-ha?»
«Philadelphia.»
Il bel viso di Jordan si
illuminò. «Ecco perché lei mi piace!
Perché abbiamo entrambi l’accento di Philadelphia!»
«Come, scusi?» aveva
replicato Noah con un finto accento britannico, e Jordan era
scoppiata a ridere, come se lui fosse l’uomo più divertente sulla
faccia della Terra. Noah sapeva che Jordan stava facendo il suo
lavoro, ma dopo la malattia e la morte di Karen, i protocolli della
chemioterapia, le ustioni da radioterapia, la conta dei millimetri
e delle cellule, Jordan sembrava il primo giorno di primavera dopo
un lungo inverno, un nuovo fiore che stava sbocciando. Persino in
quel momento, durante il processo, ricordava che aveva un profumo
buonissimo.
Noah non si sentiva pronto a
chiedere a Jordan di uscire, neanche dopo che lei l’aveva riempito
di magliette e portachiavi, ma aveva continuato a pensare a lei per
tutta la sessione che stava moderando, L’asma
nei bambini: tutta colpa dei batteri. E quella sera stessa,
Noah l’aveva incrociata in ascensore, e lei gli aveva chiesto di
bere qualcosa insieme al bar sul tetto dell’hotel. Lui aveva
accettato e, due scotch dopo, lui l’aveva portata a letto. La
mattina dopo, si era perso la sessione sulla rinosinusite cronica,
ma non era affatto dispiaciuto.
Noah ricordava ogni dettaglio
di lei, a letto. Ci erano rimasti per molto tempo, Jordan aveva
l’entusiasmo turbolento di una ragazza in forma, mentre Noah
cercava di ricordare il piacere, le risate e la leggerezza, nel
tentativo di tornare alla vita. In qualche modo la giovinezza di
Jordan aveva rappresentato tutto questo per lui, e Jordan non era
in cerca di un matrimonio né di figli. O almeno era quello che lei
aveva detto all’inizio.
Noah ricordava che Jordan
voleva conoscere Caleb, ma lui aveva continuato a rimandare. I suoi
colleghi avevano saputo della loro relazione quando lei era passata
in studio con la sua Miata e il paraurti con l’adesivo we are penn state.
Jordan gli aveva riportato il
telefono, che aveva lasciato nell’appartamento di lei, e quando lui
l’aveva presentata in studio, Noah era stato preso in giro più
tardi (‘Magari non sarà adatta a fare la moglie, ma sicuramente è
uno schianto di baby-sitter.’)
Noah ripensò alla fine della
loro relazione, per il quale si sentiva molto in colpa. Non
riusciva a vedere Jordan come una madre per Caleb, dato che lei
aveva un fratello della stessa età, e ormai Noah aveva capito che
la loro storia ruotava solo intorno a lui: i suoi discorsi, i suoi
orari, i suoi programmi. Per un po’ non era andata male, perché, da
quando era iniziata la malattia di Karen, lui era passato in
secondo piano. Non sapeva che cosa si era perso finché non aveva
conosciuto Jordan, e gliene era riconoscente, ma quello non
significava che si sarebbero dovuti, o potuti, sposare.
Poi Noah aveva conosciuto
Maggie in palestra, una donna simpatica, formosa, dai capelli ricci
che scherzava sempre con gli istruttori alla reception e si era
ritrovato sul tapis roulant accanto al suo. Maggie l’aveva
coinvolto in una chiacchierata infinita che l’aveva fatto aprire
per sfinimento. Sapeva che se avessero iniziato a uscire insieme,
sarebbe stata una storia importante, quindi aveva lasciato
Jordan.
Ripensava con rimorso al modo
in cui aveva gestito la situazione. Jordan aveva preso molto male
la loro rottura, quindi Noah era rimasto sorpreso quando lei era
stata così gentile con lui al convegno a Miami, a maggio. E dopo
quanto era successo in quell’occasione, non aveva senso che lei
fosse andata al suo processo. Si chiese da quanto tempo fosse lì.
Come aveva fatto a non vederla? E se fosse arrivata anche
Maggie?
Noah non ebbe tempo di
preoccuparsene perché Linda stava facendo cenno di mostrare un
nuovo reperto e lui sapeva di che cosa si trattava.
Si preparò.