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Noah, dopo
Processo, nono giorno
Noah aspettò da solo nella cella di custodia, un’area di detenzione protetta con celle simili a una stanza al piano inferiore del tribunale. La giuria stava deliberando da due giorni e quell’attesa lo stava logorando. Thomas aveva pensato che ci sarebbe voluto un giorno al massimo per le deliberazioni e di tanto in tanto era andato a fare compagnia a Noah, il quale gliene era grato, non sapendo ancora per quanto tempo sarebbe rimasto in compagnia di gente civile. Forse non per il resto della sua vita. Se fosse stato condannato, non sarebbe tornato al periodo tranquillo dell’Istituto correttivo della contea di Montgomery. Lo avrebbe sicuramente aspettato un periodo difficile in un carcere di massima sicurezza come Graterford. A meno che non l’avessero condannato a morte.
Noah cercò di non pensarci in quel momento. Doveva mantenere viva la speranza. Non aveva idea di quale decisione avrebbe preso la giuria. Avrebbero potuto dichiararlo innocente. Capitava. Le persone uscivano di prigione tutti i giorni. Non aveva alcun controllo su ciò che faceva la giuria, quindi stava cercando di arrivare a un ‘punto di accettazione’, una delle espressioni preferite del suo impegnatissimo assistente sociale in prigione, che faceva controlli medici e organizzava sessioni di terapia di gruppo. A Noah era stato dato un ‘kit di strumenti di sostegno’ per aiutarlo ad arrivare a un ‘punto di accettazione’. Il problema era che quegli strumenti non funzionavano in quel momento.
All’improvviso si aprì la porta e un cancelliere fece entrare Thomas, che riempì la piccola stanza con la sua corporatura imponente. Era alto due metri e aveva il fisico del linebacker, ruolo che aveva avuto un tempo nella squadra di football della Cheyney University, e la sua presenza e personalità attiravano l’attenzione in qualsiasi aula in cui entrava. Proprio in quel momento i suoi tratti marcati – gli occhi arrotondati, il naso grande e l’enorme sorriso – erano animati e batté le sue grosse mani l’una contro l’altra. «Ottime notizie, amico!»
«E cioè?» Noah si spostò sulla panca di metallo, fissata al muro.
«Linda Bella è molto nervosa. E vuoi sapere perché? Chiedimelo. Perché ho fatto a pezzi la sua arringa.» Thomas fece un grande sorriso, gonfiò il petto e spalancò le braccia mostrando un’apertura che mise a dura prova le cuciture della sua giacca sartoriale nera.
«E quindi?» Noah sentì un fremito di speranza. Linda Bella era il soprannome con cui Thomas chiamava la sostituta procuratrice distrettuale, Linda Swain-Pettit. Thomas aveva un soprannome per tutti in aula, compresi i giurati.
«È preoccupata perché la giuria è riunita da molto tempo. Vuole raggiungere un accordo.»
«Niente accordi. Te l’ho già detto.» Noah non sapeva cosa aspettarsi. La cavalleria?
«No, stavolta stammi a sentire. Sono riuscito ad alzare la posta.» Thomas si sedette vicino a lui. Il suo sorriso svanì e si girò verso Noah, i suoi occhi si strinsero con intensità, come un microscopio che mette a fuoco.
«Niente accordi.»
«Aspetta.» Thomas alzò il palmo della mano. «Sei accusato di omicidio di primo grado. Davanti a te hai l’ergastolo senza condizionale o la pena di morte. Lo devi mettere in conto.»
«Questo lo so.» Noah si era abituato a quel linguaggio. ‘Senza condizionale’ voleva dire senza la possibilità di libertà sulla parola.
«Però, se ti dichiari colpevole di omicidio di terzo grado, Linda è disposta a offrirti vent’anni.»
«No.»
Gli occhi di Thomas brillarono di incredulità. «Noah, sono riuscito a farla scendere dei quarant’anni iniziali, che è il massimo della pena.»
«No.» Noah non aveva bisogno di pensarci neanche per un istante. Sapeva come si sentiva.
«Noah, allora proprio non vuoi ascoltare. Sicuramente ho fatto un’ottima arringa, ma adesso non perdere la testa, cavoli. Il fatto che siano ancora riuniti non significa che ti dichiareranno innocente. Forse qualcuno non vuole tornare al lavoro. Fuori nevica, magari qualcuno non vuole tornare a casa a spalare. Tu non puoi saperlo. Non puoi rischiare. Accetta l’offerta.»
«No.»
«Linda ti ha distrutto al banco degli imputati. Mi sembrava di vedere un battitore della Major League che usava la tua testa al posto della palla. Non riuscivo nemmeno a credere che fossi riuscito ad alzarti in piedi dopo il suo intervento. Stavo per chiamare un’ambulanza.»
«È sempre no.» Noah aveva sottovalutato quanto sarebbe stato difficile il contro interrogatorio di un procuratore esperto. Aveva pensato di potersi limitare a raccontare la sua versione.
«Sembra che ti faccia piacere l’idea di morire. Hai voglia di essere condannato a morte, Noah?»
«No» rispose Noah, ma la verità era che, invece, sì, lo voleva o almeno così pensava.
«Noah.» Thomas fece un grande sospiro, gonfiando il petto enorme, cercando di calmarsi. «Ti imploro di accettare questa offerta.»
«Non posso.»
«Perché no? Per via della dichiarazione d’innocenza? E chi se ne importa? Te l’ho già detto, non importa che tu sia colpevole o innocente. L’unica cosa che conta è se Linda ha convinto o meno la giuria della tua colpevolezza e ti posso garantire che l’ha fatto.»
«Non se ne parla.» Noah aveva già sentito le prediche di Thomas prima di quel momento. «Thomas, in un plotone di esecuzione, uno dei fucili non viene mai caricato completamente. E sai perché? Perché in quel modo tutti quelli del plotone d’esecuzione possono dormire la notte dicendo a sé stessi ‘esiste la possibilità che non sia stato io.’»
«E con questo che vuoi dire?»
«Se mi dichiaro colpevole, Maggie non riuscirà più a dormire la notte. La sua vita sarà rovinata. Non posso farle questo.»
«Ma ora devi pensare a te stesso. Lei non sta pensando a te. Sei tu che devi farlo»
«Non riuscirei a dormire la notte sapendo quello che le ho fatto.»
«Ma ti metteranno in prigione, lo capisci?»
«Ma almeno lei potrà dire a sé stessa, in qualche modo, che non sono stato io. Lei non mi avrà mai sentito dire che sono stato io. Lo stesso vale per Caleb. Neanche a lui posso fare una cosa del genere. È stato già preso di mira dai bulli.»
«Ma se questo significasse uscire prima? Caleb ha solo... Quanti anni ha adesso?»
«Che cosa ti fa pensare che lui vorrà vedermi dopo che mi sarò dichiarato colpevole di omicidio?»
«Ma forse non ti vorrà vedere comunque!» Thomas alzò le braccia al cielo.
«Questo è poco ma sicuro se mi dichiaro colpevole. Ammesso che lo faccia, be’, te l’ho già detto. Non ho intenzione di farlo e basta.»
«Ma ne va della tua vita.»
«La mia non è l’unica vita di cui tenere conto. Devo pensare a Maggie e a Caleb.»
«Molto nobile da parte tua.»
«Sono un marito e un padre.»
«È esattamente il motivo per cui sono single» sbuffò Thomas. «Noah, stai andando contro il mio espresso parere legale. Che cosa penseresti se lo facesse un tuo paziente?»
«I miei pazienti hanno otto anni. Se una madre o un padre non seguissero il mio consiglio penserei che avrebbero i loro validi motivi.» Noah incoraggiava i genitori dei suoi pazienti a sentire anche altri medici. Lo capiva. Caleb aveva iniziato tardi a parlare e a quasi un anno e mezzo di età aveva mostrato difficoltà a ripetere parole come ‘mamma’ e ‘papà’. Noah aveva sospettato che fosse affetto da disprassia verbale evolutiva, che era difficile da identificare nei bambini in età prescolare. Il pediatra non era d’accordo, ma Noah aveva ragione.
«Se venisse fuori una cosa del genere in appello, sarei considerato negligente.»
«Non lo sei. Non ho intenzione di chiedere alcun appello. Ti ringrazio per averci provato, lo apprezzo molto.»
«Cavoli, che testa dura!» Thomas incrociò le braccia.
«Devi arrivare a un punto di accettazione» disse Noah, senza aggiungere altro.