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Maggie, prima
«Noah, grandi notizie!» Maggie attraversò di corsa il prato chiazzato per
raggiungere Noah, che stava piantando le rose lungo il recinto sul
retro. Passandogli accanto, urtò Caleb, che stava facendo un video
al loro gatto, Ralph Spaccatutto, vicino all’altalena sull’altro
lato del giardino.
«Di che si tratta?»
Noah si voltò, tirandosi indietro i capelli, una chioma folta color
biondo scuro, argentata sulle tempie. Aveva quarantatré anni e
Maggie amava i segni del tempo su di lui, come le rughe a zampe di
gallina agli angoli degli occhi, che erano di un colore azzurro che
trasmetteva un’intelligenza seria, ben distanti fra loro. Aveva un
naso dritto e un sorriso che si apriva più facilmente con le
persone che conosceva bene.
«Indovina?» Maggie lo
raggiunse, emozionata per la notizia. «Ha chiamato Anna! Vado
su da lei venerdì!»
«Davvero ha chiamato Anna?!» Noah si illuminò in volto. Conficcò la pala nella
terra. «Oddio, ma è una notizia
fantastica, tesoro!»
«Vuole vedermi! A quanto pare, ho una
possibilità!»
«È
meraviglioso! Vieni qui!» Noah sollevò Maggie e la fece
volteggiare.
«Incredibile, vero? Finalmente!» Maggie fece un balletto, stringendo le mani di
Noah. «Per me è tutto!»
«Dobbiamo festeggiare! Ti va di andare fuori a cena?
Ordiniamo una bottiglia di champagne!»
«Il giorno di Pasqua?»
Maggie rise di nuovo.
«Ah, giusto, l’avevo scordato!» Noah l’abbracciò stringendosela contro la felpa,
che odorava di torba. «Tesoro, sono
felicissimo per te. Te lo meriti, te lo meriti
davvero.»
«Ci speravo tanto e alla fine è successo! Non mi
sembra vero. È un miracolo, giuro.»
Maggie affondò il viso nel suo petto, cercando di non ricominciare
a piangere. «Ho sempre sperato che si
facesse viva con me.»
«Lo so, amore, sono proprio contento.» Noah la fece dondolare avanti e indietro con
delicatezza, e Maggie si lasciò cullare nel sole, respirando
avvolta dalle sue braccia, dalla sua familiarità, dalla sua
‘essenza di marito’. Adorava che lei e Noah la pensassero sempre
allo stesso modo, specialmente sulle cose importanti. Sul giardino,
avevano idee diverse. Lei si era innamorata delle rose Zephirine
Drouhin, mentre lui avrebbe preferito l’edera.
«Voglio che Anna entri davvero a far parte della mia
vita. Detesto il fatto che finora non sia stato così. E ne detesto
il motivo.» Maggie nascose il viso,
con vergogna. L’unica cosa peggiore di essere una cattiva madre era
essere una madre inadeguata, come lei. Era stata perfino
giudicata inadeguata da un tribunale.
Non aveva detto quasi mai a nessuno che aveva una figlia, per
evitare di dover dare spiegazioni. La sua migliore amica, Kathy, lo
sapeva perché avevano condiviso quei momenti, ma Maggie non l’aveva
detto né agli altri suoi amici né ai suoi colleghi in ufficio.
L’aveva detto a Caleb, ma la situazione era troppo complessa perché
lui la capisse davvero.
«Tesoro, non essere così dura con te
stessa.» Noah la lasciò andare,
guardandola con tenerezza.
«Solo che è orribile. Ora dovrò raccontarle
tutto.»
«Non hai fatto nulla di male. Ti sei ammalata, tutto
qui.»
«Ma lei è cresciuta senza una madre. Di questo ne
devo rispondere.»
«Non devi rispondere di niente.» Noah aggrottò la fronte con un’espressione
comprensiva.
«Sì, invece.» Maggie
si sentiva in colpa, nonostante gli anni di terapia. Dopo la
nascita di Anna, aveva sviluppato la psicosi post partum, una forma
estrema di depressione post partum. Tutto era cominciato con
l’insonnia, l’ansia e un profondo senso di inadeguatezza come
madre, che poi erano progrediti in crisi di pianto, sentiva voci e
pensieri invasivi di farsi del male.
«Se avessi avuto un tumore, non ti sentiresti così.
Hai avuto una malattia mentale, sei stata curata e sei
migliorata.»
«Ma Anna è giovane, non capirà. Io alla sua età non
avrei capito.» Maggie aveva sempre
pensato che la depressione post partum fosse semplicemente un altro
modo per indicare la sindrome del terzo giorno e non aveva mai
sentito parlare di psicosi post partum. Non ci avrebbe mai creduto
se non l’avesse vissuta in prima persona, anche se c’erano
moltissime altre donne che non erano state altrettanto fortunate,
madri che si erano tolte la vita o che si erano buttate con l’auto
in un lago, con i propri figli a bordo.
«Sei in grado di gestire la situazione e lei lo sarà
altrettanto.» Noah appoggiò un
braccio sul manico della pala, un uomo magro di un metro e ottanta,
che indossava una maglietta grigia e sbiadita e vecchi jeans. Era
in forma dal momento che non mangiava mai troppo, cosa che per
Maggie era inconcepibile.
«Lo spero.»
«Vedrai che capirà. Quando la vedi, dille
semplicemente la verità.»
«Che sono stata in un ospedale
psichiatrico?» Maggie odiava quelle
parole, poi odiava sé stessa per il fatto di odiarle. ‘Matti’,
‘fuori di testa’, ‘strambi’, ‘svitati’, ‘psicopatici’. Lei e le sue
amiche usavano sempre quelle parole, ma Maggie non avrebbe mai
pensato di ricadere proprio in quella categoria. Cominciò a
sospettare di avere la psicosi post partum dopo avere fatto un test
in una rivista per neogenitori. Desidero
farmi del male. Aveva sbarrato tutte e dodici le caselle.
Era andata dal ginecologo che aveva formulato la diagnosi e l’aveva
curata, ma Maggie non dava segni di miglioramento. In una notte
orribile aveva toccato il fondo e aveva paura a raccontare ad Anna
quella storia.
«Non hai nulla da rimproverarti.» Noah le passò un braccio intorno alle spalle.
«Il tuo ex marito si è approfittato
di te perché eri in ospedale. Vi ha private entrambe del rapporto
che avreste potuto avere.»
«Lo so. È vero.»
Maggie aveva ancora bisogno di sentirselo dire da Noah, come in un
botta e risposta rassicurante. Dopo il suo ricovero in ospedale,
Florian aveva chiesto il divorzio e ottenuto la custodia di Anna,
chiedendo che Maggie fosse dichiarata inadeguata a farle da madre.
Maggie ebbe la forza e le risorse finanziarie per combatterlo solo
un anno più tardi, ma per allora Florian aveva venduto la sua start
up, era diventato milionario e aveva portato Anna dai suoi genitori
a Lione, in Francia, creando un incubo giurisdizionale che spazzò
via la causa legale che Maggie aveva intentato.
Florian aveva lasciato Anna
dai suoi genitori e aveva cominciato a viaggiare per il mondo, ma
quello non importava ai tribunali e fu allora che Maggie imparò che
i soldi potevano comprare qualsiasi cosa, persino i bambini.
«Papà, Mag!» Caleb si
avvicinò con un papavero su un esile gambo verde spezzato, e Ralph
Spaccatutto trotterellava dietro di lui, con la coda
all’insù.
«Che c’è, tesoro?»
disse Maggie, girandosi verso di lui. Caleb la chiamava Mag perché
i bambini disprassici avevano difficoltà a pronunciare le parole
lunghe, al punto che diventava difficile comprenderli. Tuttavia,
Caleb andava molto bene a scuola e stava imparando a parlare sempre
meglio dopo anni di esercizio. Aveva un piano educativo
personalizzato e riceveva alcuni servizi di sostegno a scuola, ma
Maggie lo portava tre volte a settimana da una logopedista, che
assegnava loro delle parole target sulle quali esercitarsi a casa.
Gliene venivano date dieci alla volta da utilizzare nelle normali
conversazioni. Mercoledì, Caleb si era sbucciato un ginocchio nel
cortile della scuola, pertanto le parole target della settimana
riguardavano gli incidenti. Diventava un gioco da fare in
famiglia.
«Ralph ha rotto un papa.» Caleb fece un sorriso che gli illuminò il volto. I
suoi occhi erano di un marrone caldo e aveva un naso grazioso
cosparso di lentiggini, che aveva preso da sua madre, Karen. La
profondità, invece, l’aveva presa sicuramente da Noah, una
caratteristica che lo aiutava ad affrontare le canzonature a
scuola, a causa del suo disturbo. Anche quando si riusciva a capire
quello che diceva, sembrava esitante e robotico, perché doveva
pensare alle parole prima di dirle.
«Davvero?» Maggie
sorrise. «E come ha
fatto?»
Caleb sollevò il papavero
ormai appassito. «Stavamo giocando.
Ci ha messo sopra la zampa. Ce l’ho sul telefono.»
Maggie sorrise.
«Quindi è stato un incidente?»
«Bella domanda»
intervenne Noah, con un occhiolino. «Deve essere stato un incidente, è stato un incidente, Caleb?»
«Sì.» Caleb alzò gli
occhi al cielo, sapendo che cosa stavano facendo. Si fermò a
pensare e Maggie sapeva che stava elaborando la sua strategia,
provando nella sua testa in che modo avrebbe pronunciato i suoni
per la parola ‘incidente’. Le dispiaceva davvero tanto che parlare,
un’azione così spontanea per gli altri bambini, era qualcosa con
cui Caleb doveva fare i conti, tutti i giorni.
«Caleb, non dimenticare la ‘T tutta in
punta’» disse Maggie. Quello era un
trucco che la logopedista aveva insegnato loro per ricordargli di
mettere la punta della lingua dietro i denti superiori per formare
il suono della T.
Caleb annuì. «Sì, un in-ci-den-te.»
«Incidente!
Bravissimo!» Maggie scompigliò i
capelli rossicci di Caleb che aveva una frangia lunga.
«Ottimo lavoro, Caleb! Un incidente.» Noah
sorrise guardando verso di lui. «Dillo di nuovo. È stato un incidente?»
Maggie trattenne il fiato.
Caleb doveva ripetere le parole tre volte, una cosa difficile per i
bambini disprassici. Se non ci fosse riuscito, avrebbero dovuto
lasciar perdere. La logopedista non voleva che ogni scambio si
trasformasse in un’esercitazione. Dovevano incoraggiare Caleb a
parlare, non inibirlo.
Caleb rispose:
«È stato un in-si-en-te.»
Noah sorrise. «Prova ancora, piccolo. Incidente.»
Caleb arricciò le labbra,
pensando ancora. «In-sen-te.»
Noah gli toccò la spalla.
«Va bene così per ora,
piccolo.»
«Bravo» aggiunse
Maggie, ma vedeva che Caleb era deluso. «Caleb, non devi imparare per forza quella parola.
Non è un’emergenza.»
«Ah!» Caleb sorrise
sornione a Maggie, sapendo che era un’altra delle parole target.
«No, basta! Troppo
difficile.»
«Caleb, è un’emergenza!» Noah
afferrò Caleb e lo strinse in un abbraccio. «È un’emergenza! Ho
bisogno di un abbraccio!»
Maggie si mise a ridere.
«Sì, un abbraccio di
emergenza!»
«Papà, no!» Caleb
spinse Noah lontano da sé in modo scherzoso e padre e figlio
cominciarono a ridere e a fare la lotta, cadendo sull’erba mentre
Ralph si allontanava di scatto.
Maggie rimase a guardarli
provando un’altra ondata di felicità, sentendosi fortunata ad avere
entrambi. Caleb era più di quanto avesse mai potuto chiedere e lei
l’aveva trattato come un figlio fin da quando si erano conosciuti.
Si chiedeva se avrebbe mai avuto quel rapporto così stretto anche
con Anna oppure se era troppo tardi per recuperare il tempo
perduto.
Maggie sentiva il tepore del
sole sulle sue spalle. Finalmente era aprile, dopo un lungo inverno
della Pennsylvania. La primavera era un tempo di rinascita, ed era
Pasqua, non si poteva chiedere di più. Forse questo era un nuovo
inizio, per lei e per Anna.
A partire da venerdì.