12
Maggie, prima
Era calata la notte, e Maggie
e Anna raggiunsero a piedi Parker Hall nell’elegante campus della
Congreve. Ogni edificio era in stile coloniale d’epoca,
perfettamente ristrutturato, e Anna indicò un refettorio, che
sembrava Hogwarts, e la First Meeting House, una cappella di legno
bianca con un pinnacolo immacolato. Gli alberi e gli arbusti erano
curati alla perfezione e le stradine erano illuminate da autentici
lampioni a gas. Le studentesse passavano in gruppi chiassosi, con
le borse di stoffa a tracolla, tenendo in mano bicchieri di caffè
coperti e telefoni.
Anna salutò un gruppo con la
mano e le ragazze la salutarono a loro volta con un cenno della
mano. Un trio di ragazze dai capelli lunghi con indosso una giacca
blu le superò a passo svelto, sfoggiando un sorriso automatico, ma
Anna non le salutò e loro fecero altrettanto.
«Chi erano?» chiese
Maggie, dopo che erano passate.
«Delle ragazze cattive in parata.»
«E la giacca che portavano?»
«È la giacca che indossano
quelle dell’ultimo anno. Non se la tolgono mai. Va bene, abbiamo
capito, ragazze.»
Maggie sorrise e raggiunsero
Parker Hall, un’imponente residenza coloniale con una facciata a
mattoncini, alte colonne bianche e finestre Tudor dai vetri ruvidi
e dallo spesso reticolo.
«Casa dolce casa»
disse Anna, con un sorriso che Maggie capiva che era forzato.
«Vorrei farti entrare, ma qui non ti
conoscono, va bene?»
«Certo, e non voglio far aspettare
Ellen.»
«Okay. Il suo studio si trova all’interno del Graham
Center, alla fine della stradina. Vedrai il cartello. Devi andare
da quella parte.» Anna indicò un
punto in fondo a sinistra, lungo un viottolo che attraversava il
campus.
«Capito.»
«Vuoi che ti accompagni?»
«No, posso andare da sola. Tu vai dentro e prepara
le tue cose.»
«La strada finisce dentro il Graham Center, che è la
sede dei servizi per il sostegno psicologico. Lo chiamano il
‘centro degli esauriti’.»
«Non proprio rassicurante. Ho sempre pensato che i
pazzi siano quelli che non sono mai andati dallo
psicologo.»
«Concordo!» rise Anna.
«Vado.»
«A dopo.» Maggie
salutò Anna con la mano, mentre lei si girava per tornare al
dormitorio percorrendo il viottolo in mattoni.
Un quarto d’ora più tardi,
Maggie era seduta nell’elegantissima sala d’attesa del Graham
Center che era vuota. Sul pavimento c’era un morbido tappeto blu,
poltrone a fantasia intorno a un tavolino da caffè in ciliegio; le
pareti erano ricoperte di fotografie in bianco e nero di Congreve
che risalivano addirittura al 1810.
«Maggie Ippoliti?»
disse una voce alle sue spalle e, quando si girò, Maggie vide una
donna dall’aspetto curato che poteva avere all’incirca
sessantacinque anni e che indossava un paio di occhiali senza
montatura, di plastica bianca, appollaiati su un naso sottile,
capelli argentati dal taglio elegante che le arrivavano al mento e
un tailleur di lana grigio, indossato con una collana di perle
degradanti e un paio di ballerine nere.
«Sì, grazie per avermi ricevuta con così poco
preavviso.»
«Prego, ci mancherebbe.» Ellen sorrise calorosamente, poi la invitò ad
accomodarsi e si sedette incrociando le gambe. «Prego, si accomodi. Possiamo parlare qui, dato che
ci siamo solo noi.»
«Perfetto.» Maggie si
sedette di nuovo. «Innanzitutto
voglio spiegarle una cosa importante. Anna mi ha raccontato che suo
padre le ha detto che io ho abusato di lei ma non è vero. È tutto
falso. Di fatto, ho perso la custodia fisica quando Anna era appena
nata perché ho avuto la psicosi post partum. Ha ricevuto i
documenti che le ho spedito per email? Lì c’è scritto perché ho
perso la custodia fisica.»
«Sì, li ho letti.»
«Non ci sono state accuse di abuso fisico, l’ha
visto anche lei.»
«Sì» annuì Ellen.
«Adesso ho una visione chiara della
situazione. Conosco bene la depressione e la psicosi post partum,
sono più comuni di quanto si pensi.»
«Proprio così. Detesto il fatto che Anna abbia
pensato questo di me in tutti questi anni. E che lo abbia pensato
anche lei.»
«Non si preoccupi.»
Ellen arricciò le sue labbra sottili. «Devo dire che spesso ho avuto il sospetto che ad
Anna non fosse stata detta la verità. E penso che neanche Anna ci
credesse fino in fondo.»
«Grazie a dio» disse
Maggie, con sollievo.
«Per me non era plausibile. Mi sono occupata di
vittime di abusi infantili e Anna non mostra nessuno dei segni
tipici. Inoltre, ho visto cosa succede nelle battaglie per la
custodia da una parte all’altra dell’oceano, quindi so quanto fango
ci si getta addosso. Le famiglie mentono per una serie di motivi e
non credo che spetti a noi speculare sul perché il suo ex marito si
sia comportato in quel modo.»
«Sono d’accordo.»
Maggie si mise a suo agio sulla poltrona. Si sentiva meglio ora che
Ellen la credeva. «La ringrazio per
avermi ricevuta.»
«Lo faccio sempre con il permesso degli
studenti.»
«Da quanto tempo vede Anna?»
«Lavoro con lei da quando è arrivata qui. È da
qualche tempo che Anna è infelice qui alla Congreve e, da quando è
morto suo padre, vuole fortemente un cambiamento. Immagino che
gliel’abbia detto.»
«Sì.»
«È una persona molto
intelligente. Penso che la morte di suo padre, purtroppo, sia stata
la spinta di cui aveva bisogno.»
«Sono felicissima che voglia venire a vivere con me.
Che cosa ne pensa lei di quest’idea?»
«Penso che sia una buona idea, ora che, dal mio
punto di vista, sono cadute le accuse contro di lei. Anna è una
ragazza riservata e, sebbene abbia molti talenti, la sua autostima
qui ne ha risentito. Si è fatta pochissimi amici.»
«Me l’ha detto.»
«Cerchiamo di incoraggiare un senso di comunità e
seguiamo un programma antibullismo. È un’iniziativa che funziona
quando le ragazze sono più piccole, ma quando crescono è difficile
spingerle a includere altre persone»
sospirò Ellen. «Ho visto Anna due
volte a settimana nei periodi difficili. Siamo passate a un solo
incontro settimanale, il lunedì. Penso che avrà bisogno di
abituarsi al trasferimento e posso consigliarle il nome di qualche
ottimo psicologo dell’età evolutiva e dell’adolescenza nella zona
di Philadelphia.»
«Grazie.» Maggie fece
una pausa. «C’è nient’altro che lei
pensa che io debba sapere in merito ad Anna? Dei modi in cui posso
aiutarla?»
«Mi fa molto piacere che lei me l’abbia
chiesto.» Ellen sorrise con
approvazione. «Ormai è da un bel po’
che Anna vive da sola. È remissiva, accondiscendente, forse anche
troppo. È ambiziosa e funziona bene entro le regole, ma tende a
perdersi nelle situazioni caotiche. Sta pensando a una scuola
pubblica per lei?»
«Sì. Anna vuole fare un tentativo.»
«Bene, ha detto la stessa cosa anche a me. Penso che
voglia provare a fare una vita normale, come tutti gli adolescenti.
È più di un anno che non vede suo padre e resta qui durante le
vacanze, quando la maggior parte delle studentesse del convitto
torna a casa.»
«Oh no.» Maggie provò
una fitta di senso di colpa, come un dolore al cuore. Le tornarono
alla mente tutti i Natali e i compleanni in cui aveva pensato ad
Anna, desiderando che fosse a casa, con lei. Le cose sarebbero
potute andare molto diversamente. Quanto tempo era stato
perso.
«Forse si starà chiedendo se c’è una diagnosi per
lei, ma non mi piace incasellare i miei pazienti. Non tutti
rientrano in una categoria specifica nel Manuale diagnostico e
statistico dei disturbi mentali. È più probabile che un paziente
ricada in più categorie. Detto questo, credo che Anna abbia una
tendenza verso una lieve depressione. Si tratta comunque di una
reazione ragionevole nella sua situazione. Non ha una famiglia
sulla quale fare affidamento ed è profondamente
sola.»
«È triste.» Maggie
ebbe una stretta al petto.
«Vero» L’espressione
sul viso di Ellen si ammorbidì. «Può
sembrare uno stereotipo, ma anche le ragazzine ricche possono
essere tristi. E una di queste è Anna.»
Maggie sentì gli occhi
riempirsi di lacrime. Sentirselo dire da una professionista la
faceva sentire ancora peggio.
«Prego, prenda un fazzoletto, sono lì davanti a
lei.» Ellen indicò una scatola di fazzoletti sul tavolino da
caffè.
«Grazie» disse Maggie,
con voce velata. Estrasse un fazzoletto dalla scatola, si asciugò
gli occhi, poi si soffiò il naso prima che fosse troppo
tardi.
«Di nulla.»
«So di poter cambiare le cose per
lei.» Maggie parlava con il cuore in
mano, asciugandosi di nuovo gli occhi. «So di poter fare meglio di quanto non abbia fatto
in passato.»
«Ne sono sicura, ma sia paziente con lei in questo
momento di passaggio.»
«Sicuramente. Farò tutto quello di cui ha
bisogno.» Maggie tirò su col naso
un’ultima volta, tenendo stretto il fazzoletto.
«Se non le dispiace, mi racconti della sua vita
familiare e del suo matrimonio, se vuole.»
«Mi sono risposata due anni fa, molto felicemente, e
ho un figliastro, Caleb, che è adorabile.» Maggie si sentiva più distesa ora che passavano a
un argomento più piacevole. «Mio
marito, Noah, è un allergologo pediatrico, e io lavoro part time
nell’ambulatorio del suo studio, mi occupo delle fatture, così
posso portare Caleb dalla logopedista il pomeriggio. Caleb è
affetto da disprassia verbale.»
«La conosco bene.»
Ellen annuì. «Quindi lei ritiene che
Anna possa inserirsi bene nella sua famiglia?»
«Sicuramente sì. Mio marito è entusiasta tanto
quanto lo sono io. E a Caleb Anna piacerà moltissimo. A volte è
timido con le persone che vede per la prima volta, ma Anna sembra
una persona tranquilla e aperta.»
«È
vero.» Ellen sorrise. «Anna mi
ha detto che la segue su facebook. Potrebbe avere la tendenza a
idealizzare la sua vita familiare, allo stesso modo in cui noi
crediamo alle belle immagini che pubblichiamo per mostrarle agli
altri. I social media hanno reso molto più difficile la terapia con
adolescenti e bambini perché credono ciecamente a quello che
pubblicano gli altri sulla propria vita, sul proprio ragazzo, i
genitori e così via.»
«Oh, ne sono sicura. Ogni volta che mi sento bene
con me stessa, se vado su facebook mi sento subito
inferiore.»
Ellen ridacchiò.
«Sì, è proprio questo che voglio dire
e lei è un’adulta, la sua personalità è completamente formata. Ma
immagini se non fosse ancora così, e questo è doppiamente vero per
le ragazze, alle quali la società fa credere che tutto si basi
sull’aspetto fisico. Ho contribuito alla stesura del regolamento
della scuola in merito alla presenza online e bisogna riconoscere
che è molto severo. La Congreve privilegia le interazioni di
persona rispetto a quelle virtuali.»
«Mi sembra che siamo perfettamente
d’accordo.»
«Ma, per tornare al punto, le ricordo che Anna sta
elaborando il lutto per la perdita di suo padre e dell’immagine
idealizzata che aveva di lui. Quindi è combattuta e arrabbiata
perché la figura del padre non coincide con quella che ha, o aveva,
lei.»
«Capisco.»
«Anna coltivava la speranza che un giorno suo padre
si sarebbe accorto che lei era meravigliosa e sarebbe diventato un
vero padre per lei.» Ellen fece una
pausa. «Non è mai successo. L’ho
contattato diverse volte e non ha mai risposto.»
Maggie provò ancora più
rabbia nei confronti di Florian, se possibile. Se fosse stato
ancora vivo, avrebbe voluto ucciderlo lei con le sue mani.
«Quindi la sua elaborazione del lutto e il suo
dolore sono complicati.»
Maggie ricordò che Anna
gliel’aveva detto a cena. «Teme che
possa tentare il suicidio? Perché questo è un punto che mi
preoccupa.»
«No. Anna non ha mai avuto tendenze
suicide.»
«Questo è un sollievo.»
«Anna ha problemi di abbandono. Si sente abbandonata
da lei, da suo padre e dai suoi nonni.» Ellen aggrottò la fronte. «Ho lavorato con lei per aiutarla a fare in modo che
non si colpevolizzasse. È deleterio per la sua
autostima.»
«Mi dispiace tantissimo per lei. È molto triste.
Come posso aiutarla?»
«Credo che sia importante che lei e suo marito
dimostriate di essere presenti per lei. Lei si aspetta che voi la
abbandoniate, che la deludiate o che non rispettiate le vostre
promesse.»
«Non lo farei mai.»
«Potete conquistare la sua fiducia e il suo amore a
poco a poco, giorno per giorno. Sono ottimista.»
«Anch’io.» Maggie era
sicura di poter ribaltare la situazione. Lo doveva ad Anna. Quella
sarebbe diventata la sua missione.
«Bene.» Ellen guardò
l’orologio, poi si alzò. «Temo di
essere in ritardo. Non esiti a chiamarmi in qualsiasi momento. Ho
detto lo stesso ad Anna.»
«Vuole salutarla?»
Maggie si alzò e prese la borsa. «Possiamo passare al volo domani mattina prima di
tornare a casa.»
«No, ci siamo già salutate.» Gli occhi di Ellen brillavano. «La sua reazione è proprio quella che speravo, ora
che le accuse di abuso sono cadute. A proposito, Anna non ricorda
alcun abuso da parte sua.»
«Che cosa ricorda?»
chiese Maggie, la sua curiosità era alle stelle. «È possibile avere
ricordi della primissima
infanzia?»
«Non succede spesso, ma i suoi ricordi sensoriali
sono felici e ha il ricordo di sentirsi amata e al sicuro con
lei.»
«Fantastico!» Maggie
sentì un’ondata calda di felicità.
«Le dica di restare in contatto con me. Sua figlia è
una ragazza deliziosa.»
‘Sua figlia.’ Maggie non
sentiva quelle parole da una vita. «Quindi lei aveva già in programma tutto
questo?»
«Non in programma, in sogno.»
«Il mio stesso sogno»
disse Maggie, al colmo della felicità.