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Maggie, prima
«Posso entrare?»
chiese Maggie ad Anna, da dietro la porta chiusa.
«Okay» aveva risposto
Anna, con la voce tremante; Maggie entrò in camera e trovò Anna
seduta con le gambe incrociate sul letto e il portatile aperto
davanti a sé, i suoi begli occhi azzurri lucidi.
«Anna, mi dispiace.»
«No, è a me che dispiace.» Anna si asciugò le guance, lasciando dei segni
rosacei. «Sono veramente stupida. Non
avrei mai dovuto comprare quella macchina. Che
idiota.»
«Non sei un’idiota.»
Maggie le si avvicinò, si sedette sul bordo del letto e le
accarezzò una gamba.
«Sì che lo sono invece e l’ho comprata perché faceva
figo. Anche quella è stata una cosa stupida. Tanto scommetto che la
macchina non piacerà neanche alle ragazze del club di Poesia.
Chissà che cosa m’è passato per la testa.»
«Ripeti a te stessa ‘ho imparato la lezione’ e
passaci sopra. Mia madre mi diceva sempre così.» Maggie sistemò un ciuffo di capelli che cadeva sul
viso di Anna.
«Sei arrabbiata con me ora che Noah si è
arrabbiato?»
«No, gli passerà. Mi spiace che si sia comportato
così male. Oggi è morto un suo paziente. Te l’avrei detto, ma tu e
Caleb vi stavate divertendo tanto in macchina.»
«Senti, sicuramente è una cosa triste, ma ho sentito
quello che ha detto. Lui pensa che io sia una mocciosa
viziata.» Negli occhi di Anna
brillarono altre lacrime e Maggie si intenerì.
«No, non è vero.»
«Non mi sono resa conto che quello era il suo posto
macchina. Avrei dovuto dire a quelli della concessionaria di non
parcheggiare nel vialetto.»
«Te lo giuro, non è quello che gli ha dato fastidio.
Vedrai che sistemeremo tutto.»
«Io temo proprio di no.» Anna tirò su con il naso. «Sicuramente non mi porterà a fare le guide ora.
Comunque non ho bisogno di lezioni. Posso imparare a guidare la
macchina da sola.»
«No, lui vuole accompagnarti.»
«Non è una questione solo di
macchina.» Il labbro inferiore di
Anna tremò. «Ho fatto un casino.
Stavo sentendo James per email per sapere quali possibilità ho a
disposizione.»
«Ma di che possibilità parli?» Maggie avvertì una nota di preoccupazione.
«Cioè, insomma, l’emancipazione. Noah non mi vuole
qui.» Gli occhi di Anna luccicavano.
«Tu forse sì, ma lui sicuramente no.
Venire qui è stato un grosso errore.»
«Non dire così, non è vero.» Maggie strinse il braccio di Anna, come se in quel
modo potesse impedirle di andarsene. «Sei precipitosa, tesoro. È solo la prima
settimana.»
«Ma io non voglio incasinarti. Io volevo solo stare
con te e conoscerti. Volevo mia mamma.» Le lacrime solcarono il volto di Anna e Maggie la
abbracciò.
«E io sono qui.»
«Sto facendo un casino nella tua
famiglia.»
«Ma tu sei la mia
famiglia.» Maggie lasciò Anna, poi la
fece alzare tirandola per la mano. «Vieni con me. Adesso.»
«Che vuoi fare?» Anna
spostò il portatile.
«Ti faccio vedere una cosa.»
Maggie prese la mano di Anna,
la accompagnò fuori dalla stanza e la portò nella sua camera da
letto, che era di un colore azzurro tenue che si abbinava al blu
chintz della trapunta, della testiera e delle tende, un tripudio di
raffinatezza personalizzato. Maggie indicò il letto.
«Dài, siediti.»
«Perché?»
«Vedrai.» Maggie andò
verso l’armadio, aprì lo sportello a sinistra e frugò dalla sua
parte, che era vistosamente più disordinata di quella di Noah. Lei
aveva abiti, scarpe, felpe, sciarpe, borse e gonne, mentre lui
compensava con il testosterone. Recuperò l’elegante scatola
celestina di un paio di scarpe Lanvin dal ripiano in alto e la
portò sul letto, togliendo il coperchio.
«Che cos’è?» Anna si
spostò sul letto, sporgendosi sulla scatola, e Maggie si sedette
accanto a lei, mettendosi la scatola sulle gambe e rovistandovi
dentro.
«Questi sono i miei ricordi di quando sei
nata.» Maggie prese l’oggetto che era
in cima, un braccialetto da neonato di plastica. «Ecco, questo è dell’ospedale.»
«Oddio, davvero?» Anna
la guardò e Maggie lesse a voce alta quello che era scritto su
un’etichetta all’interno.
«‘Figlia di Maggie I. Desroches, 6/3/2000, 20:12,
BKF.’ Questa sei tu.» Maggie ebbe un
tuffo al cuore, al pensiero di quel ricordo. «Sei nata precisamente alle otto di sera. Ma ci
pensi che il tuo polso era così piccolo?»
«Mamma mia» ridacchiò
Anna. «Non immaginavo che l’avessi
conservato.»
«Il tuo braccialetto di quando sei nata? Scommetto
che lo fanno tutte le mamme. È prezioso.»
Anna infilò l’indice nel
braccialetto. «È minuscolo!»
«Pesavi solo due chili e sette quando sei
nata.»
«Vuol dire che ero paffuta o
piccolina?»
«Piccolina. Quella paffuta ero io.» Maggie sorrise.
«Che cosa significa BKF?»
«Sta per Bolton, Kraus, Finer. Sono i nomi delle
ostetriche e del dottore che erano di turno in quel momento. È
stato il dottor Finer a farti nascere. È stato
bravissimo.» Maggie sentì una fitta
di dolore nel ripensarci.
Il dottor Finer era stato un
ginecologo meraviglioso, il medico che aveva confermato la sua
diagnosi di psicosi post partum, ma ora non voleva pensarci.
«Guarda.» Anna fece
passare due dita dentro il braccialetto. «Il mio polso era così.»
«Se ti appoggiavo sul mio braccio, lo riempivi quasi
del tutto dal gomito alla mano.»
Anna sorrise. «Cos’è successo la sera in cui sono nata? Hai
provato dolore?»
«Be’, quel giorno mi sentivo un po’
stanca...»
«Avevi le nausee?»
«Solo nel primo trimestre.» Maggie aveva avuto le nausee per tutta la
gravidanza, ma non importava. «All’epoca avevo letto da qualche parte che un modo
per indurre il travaglio era muoversi molto, quindi sono andata a
fare spesa ed ero nel reparto frutta e verdura quando mi si sono
rotte le acque. In pratica mi sono fatta la pipì addosso davanti ai
peperoni verdi.»
Anna gridò con voce stridula,
coprendosi la bocca. «Che imbarazzo!
Poi che cos’è successo?»
«Non sapevo che cosa fare, sono rimasta immobile,
poi ho capito che dovevo andare in ospedale.»
«Hai chiamato papà?»
«No, lui era fuori città» Maggie continuò a sorridere, anche dopo essersi
ricordata che Florian era a Palo Alto, presumibilmente cercando di
raccogliere capitali di ventura. Solo più tardi avrebbe saputo che
lui l’aveva tradita con una bionda laureanda di Stanford e Kathy
aveva detto scherzando che in realtà Florian era andato a
raccogliere ‘capitali di avventura’.
«Quindi che cos’hai fatto?»
«Sono andata in ospedale in taxi e Kathy mi ha
raggiunta lì. Sei nata esattamente il giorno del
termine.»
«Papà non c’era?»
«È
arrivato più tardi» rispose Maggie, diplomaticamente.
«Ha preso un volo notturno da San
Francisco ed è arrivato giusto in
tempo per vederti nascere.»
«Oh.» Anna sorrise, e
Maggie tornò a rovistare nella scatola. Tirò fuori una busta bianca
stropicciata e sul davanti aveva scritto con una biro sbiadita ‘La
prima ciocca di Anna’.
«Hai conservato i miei capelli?» rise Anna.
«Certo. Anche mia mamma aveva messo da parte la mia
prima ciocca. Ce l’ho da qualche parte, nel mio portagioie,
credo.» Maggie non aggiunse che sua
madre aveva messo da parte anche i suoi dentini, delle ripugnanti
piccole pepite avvolte in un fazzoletto di carta tenuto chiuso con
un elastico.
«Posso vedere la mia ciocca?» Anna si avvicinò.
«Ma certo. Avevi dei capelli bellissimi, morbidi e
sottili.» Maggie aprì il retro della
busta, ingiallita dal tempo.
«Quand’è stata l’ultima volta
che l’hai aperta?»
«L’ho sempre lasciata chiusa. Avevo promesso a me
stessa che non l’avrei aperta finché tu non fossi tornata nella mia
vita. Non ho mai aperto neanche questa scatola.»
«Oh.» Anna sorrise
dolcemente.
«E ora lo facciamo insieme.» Maggie deglutì a fatica, scollò la linguetta della
busta e guardò dentro. C’era una ciocca marroncina arricciata e
appiattita, e tutti i ricordi si riversarono fuori, come un’ondata
di emozione. «Che
meraviglia!»
«Fammi vedere.»
Maggie si sentì soffocare, ma
non si scompose. «Ricordo che mi
piaceva giocare con quella ciocca mentre ti allattavo. La
arricciavo intorno al dito.»
«Ho preso il tuo latte?»
«Sì, per circa tre mesi.» Maggie scosse la ciocca nel palmo della mano, poi
mise la mano nella luce del sole che si andava affievolendo e che
catturava i riflessi color ruggine fra le ciocche castane.
«Quanti capelli rossi! Adesso non ne ho più così
tanti, non è vero?»
«No, adesso sono più scuri. Anche i miei si sono
scuriti rispetto a quando ero piccola.»
«Papà aveva un sacco di capelli
rossi.»
«Sì, è vero» Maggie
rimise la ciocca nella busta, ripensando alla prima volta che aveva
visto Florian. I suoi capelli erano la cosa più bella che aveva. Le
ci erano voluti dieci anni per capire che l’aspetto fisico non era
importante. Il fatto che Noah fosse bello era solo un contorno. Era
una brava persona e probabilmente stava già male per come si era
comportato, ed era giusto che fosse così.
«Che altro c’è lì dentro?» Anna sbirciò nella scatola, e tirò fuori la
cuffietta di cotone che le avevano dato in ospedale e se la mise in
testa. «Come sto?»
«Benissimo!» Anna
rimise la cuffietta nella scatola e tirarono fuori la scheda rosa
che era stata messa sulla culla di Anna, un certificato di nascita
non ufficiale con l’impronta del suo piede, una copertina bianco
candido e una vecchia foto a colori che ritraeva Maggie, appena
diventata mamma, che sedeva con Anna appena nata felice sul suo
grembo, entrambe rivolte verso la fotocamera.
Maggie sentì un’ondata calda
di amore, nel mostrare la foto ad Anna.
«Eccoci qua.»
«Ma che bella. Chi è che ha scattato la foto?
Papà?»
«No, Kathy.»
«Mi piacerebbe conoscerla.»
«La conoscerai presto»
sorrise Maggie. «È la tua
madrina.»
Anna osservò la foto.
«Assomiglio più a te che a
papà.»
«Sì, è vero» sorrise
Maggie, riportando l’attenzione sulla foto. La somiglianza tra
madre e figlia era inconfondibile, nelle fossette e nel sorriso,
che era felice e buffo al tempo stesso.
«Ne è passato di tempo.»
«Eh già, ed è tutto tempo che abbiamo
perso.» Maggie ripose la foto nella
scatola, mise il coperchio e guardò Anna negli occhi.
«Ed è per questo che per me è molto
importante che tu sia qui. Ho pregato tutta la vita che tornassi e
sei tornata. Quindi non devi preoccuparti per questo litigio con
Noah, okay?»
«Okay.» Anna annuì,
con un sorriso incerto.
Maggie diede dei colpetti con
la mano sulla scatola. «Tutto è
cominciato da qui. Ed è questo il nostro posto.
Insieme.»