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Noah, dopo
Processo, primo giorno
Noah sedeva dritto al banco degli avvocati durante l’arringa di apertura di Linda, pronunciando parole chiave come ‘omicidio efferato’, ‘ragazzina innocente’ e ‘abbondanza di prove’ e Thomas aveva risposto con la sua arringa di apertura, replicando con parole chiave come ‘giudizio affrettato’, ‘presunzione d’innocenza’ e ‘ragionevole dubbio’. Quei termini ricordavano a Noah le parole target sulle quali era solito esercitarsi con Caleb, ‘incidente’, ‘cerotto’, ‘emergenza’, ma quei giorni erano ormai un lontano ricordo.
Noah controllava le proprie emozioni, cercando di metabolizzare l’idea che stesse per essere processato per un omicidio che non aveva commesso. La verità era che non era stato lui a uccidere Anna, ma ormai non sembrava più importante. Aveva imparato che l’unica cosa importante nel sistema legale americano era che cosa si riusciva a provare, e l’accusa aveva una miriade di prove che lo inchiodavano, per ironia della sorte, anche se non era stato lui a commettere l’omicidio. Non era stato lui a mandare il messaggio ad Anna quella sera, non l’aveva molestata né in macchina né in bagno, e le sue fibre, i capelli e il dna erano finiti sul suo corpo quando aveva cercato di salvarle la vita.
Linda era in piedi davanti al banco del giudice. «Vostro onore, l’accusa chiama il suo primo testimone. L’agente David Simon.»
«Prego, proceda» annuì il giudice Gardner, e Noah osservò un agente in uniforme alto e allampanato che giurava. Il Veterano guardò il poliziotto con ammirazione, ma un contabile afroamericano in seconda fila alzò un sopracciglio.
Linda andò davanti al banco dei testimoni. «Dica il suo nome e cognome per la messa agli atti.»
«Agente David Simon.»
«Occupazione?»
«Sono un agente di polizia della contea di Montgomery.»
«E lei è stato chiamato sulla scena del delitto la sera in questione, mercoledì, 10 maggio?»
«Sì.»
«E che cosa ha fatto al suo arrivo?»
«Siamo scesi dalla macchina e l’imputato ci è venuto incontro.»
Linda guidò l’agente Simon durante l’esame diretto, chiedendogli che cosa fosse successo quando aveva visto Noah alla dépendance, un resoconto che Noah non aveva alcun bisogno di sentir ripetere. Aveva ripensato più volte a quei momenti in prigione, tornando mentalmente sui suoi passi, chiedendosi che cosa avesse sbagliato o che cosa avrebbe potuto fare diversamente, riavvolgendo il nastro dei ricordi fino alla sera dell’omicidio.
Quella sera, era tornato alla casa che aveva affittato al volo. Era una dépendance che si trovava dietro l’abitazione principale, dove viveva il padrone di casa, e Noah aveva pensato che si trattasse di una buona soluzione per quando Caleb sarebbe andato a trovarlo o a vivere con lui, se si fosse arrivati a tanto. Era arrivato a casa e aveva parcheggiato nel vialetto, sorpreso nel vedere la Range Rover di Anna.
Noah era sceso dall’auto, preparandosi mentalmente a vedere Anna. Voleva affrontarla in merito alle menzogne che lei aveva detto su di lui. Voleva sapere perché era stata così determinata a rovinarlo, mandando in pezzi la sua famiglia, distruggendo la sua vita. Doveva sapere perché. Aveva percorso il viottolo che portava alla veranda, ma era troppo buio e non si vedeva nulla. I suoi occhi si abituarono all’oscurità solo quando stava quasi per calpestare Anna, che giaceva supina sul pavimento della sua veranda, con le braccia spalancate.
Noah non aveva capito, il suo cervello si rifiutava di accettare l’evidenza. Aveva pensato che si fosse addormentata. Non sapeva neanche perché si trovasse lì. Né sapeva minimamente come avesse fatto ad avere il suo indirizzo, forse da Maggie. Niente di tutto questo aveva senso.
«Anna, che stai facendo?»
Noah si era inginocchiato, mettendo automaticamente una mano nella tasca sul di dietro dei pantaloni, dove teneva il telefono. Lo tirò fuori, accese la torcia, e la puntò sul viso di Anna. I suoi occhi erano sporgenti, la sclera era iniettata di sangue. Le petecchie punteggiavano le palpebre superiori e inferiori, vivide contro il pallore della sua pelle, nel biancore della morte. Terrorizzato, aveva premuto due dita sotto il mento, che era ancora caldo. Non c’era battito.
Noah era entrato in azione, facendo le compressioni toraciche e armeggiando per chiamare contemporaneamente il 911. Aveva risposto un’operatrice e aveva pensato alle registrazioni del 911 che venivano fatte ascoltare ai telegiornali, e che Maggie detestava sempre. Era stato quello il momento in cui aveva capito che la polizia avrebbe pensato che fosse stato lui a uccidere Anna.
Noah dovette ammettere che stava pensando a sé stesso. Era per quel motivo che ora si sentiva tanto in colpa. Sebbene non fosse stato lui a commettere l’omicidio, non riusciva a sentirsi innocente. Anna era stata il primo pensiero, ma il secondo pensiero era che sarebbe stato arrestato per quell’omicidio. Non avrebbe mai pensato una cosa del genere prima dell’udienza per l’ordine di protezione contro gli abusi. Prima di allora, aveva sempre pensato che la legge portava alla giustizia e che i buoni non finivano mai in prigione. Ma quel giorno aveva imparato l’esatto contrario, perché il giudice aveva intenzione di emettere un ordine contro di lui se non avessero trovato l’accordo. E sarebbe stato dichiarato colpevole di aver molestato Anna, e non era colpevole neanche di quello.
Noah aveva continuato a fare le compressioni, guardandosi intorno per tutto il tempo, in preda alla paranoia, in allerta, chiedendosi chi avesse potuto uccidere Anna, perché, o se l’assassino fosse ancora in zona. Da dove potesse venire, e in che modo. Le luci in casa del suo proprietario e nella casa sul retro erano accese, ma c’erano altri cinquecento metri fino alla recinzione del vicino. Noah non aveva visto nessun altro, e non c’erano altre macchine nel vialetto, quindi l’assassino doveva essere arrivato a piedi oppure era stato accompagnato fin lì in macchina.
Aveva continuato le compressioni e si era sforzato di parlare con l’operatrice, ma l’unica cosa a cui riusciva a pensare era che sarebbe stato arrestato.
Era riuscito a riagganciare in poco tempo con l’operatrice del 911 e aveva chiamato Thomas per dirgli che cosa era successo. Noah non era neanche sicuro che gli credesse. Entrambi sapevano che stava arrivando la polizia e che Noah sarebbe stato interrogato. Thomas gli aveva detto che cosa fare, ma aveva cominciato a pensare a Maggie. Anna era morta e quella notizia le avrebbe dato il colpo di grazia. Tutto quello che Maggie aveva sempre voluto era Anna, e ora Anna era stata assassinata. Strangolata. Sulla sua veranda. Che cosa avrebbe pensato Maggie? Sua moglie avrebbe creduto che non era stato lui?
Era arrivata la polizia, gli agenti Simon e Pettigrew, e Noah aveva detto loro quello che Thomas gli aveva consigliato di dire: «Sono arrivato a casa, l’ho trovata qui, e questo è tutto quello che so.» E poi subito dopo: «Mi avvalgo della facoltà di non rispondere su consiglio del mio avvocato.»
Ma per tutto il tempo, Noah avrebbe voluto dire l’unica cosa che gli importava. Ma non poteva.
«Non sono stato io.»