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Noah, dopo
Processo, quinto giorno
Noah aspettò al banco dei
testimoni mentre Thomas, Linda e il giudice Gardner continuavano a
conferire. Si ritirò nei suoi ricordi, scappando mentalmente
dall’aula. Persino i ricordi negativi erano migliori di un processo
per omicidio, se si era l’imputato.
Noah stava ripensando alla
sera del litigio per la Range Rover, dopo la sua chiacchierata con
Caleb. Noah aveva messo Caleb a dormire mentre Maggie era nella
loro camera da letto con Anna. Era tornato in cucina a riordinare e
quando era tornato di sopra, Maggie era andata a letto ed era
girata di spalle.
Noah si era spogliato e si
era infilato nel suo lato del letto, intrecciando le dita sul petto
come un uomo morto, ed era proprio così che si sentiva in quel
momento. Maggie non dormiva e lo stava aspettando al varco.
«Sei sveglia, tesoro? aveva chiesto Noah con
delicatezza.»
«Secondo te?»
«Mi dispiace. Mi dispiace davvero.» Noah si era girato verso Maggie, che invece non si
era mossa. Indossava una maglietta, sebbene dormisse sempre nuda in
quel periodo dell’anno, come faceva anche lui. Era una cosa che a
Noah era sempre piaciuta di loro come coppia.
È stato terribile, Noah. Ti
sei comportato malissimo.
«Lo so, e mi dispiace. Ho perso il controllo. Mike
c’entra, ma solo fino a un certo punto. Non era solo per
quello.» Noah era ancora convinto di
avere ragione sulla Range Rover, ma non voleva ricominciare tutto
da capo.
«Non importa che cosa penso io del fatto che Anna
abbia comprato la macchina. Non avrei comunque dovuto urlare in
quel modo. Contro di te, Anna o Caleb. Mi dispiace.»
È
stato terribile. Maggie non si era girata. «Anna pensa di non essere la benvenuta qui e non la
biasimo. Di certo non la fai sentire a casa sua.»
«Lo so e mi dispiace.»
«Devi chiederle scusa.»
«Lo farò sicuramente».
«Ho intenzione di fare una cena speciale domani
sera, cucina indiana. Anna mi ha detto che le piace molto. Ed è il
suo primo giorno di scuola. Potrai chiederle scusa quando saremo a
tavola.»
«Volentieri» aveva
detto Noah, pensandolo sul serio. Suo padre era stato uno di quegli
uomini che non chiedeva mai scusa.
«Ma ti rendi conto di come si sente lei? Viene a
vivere qui, ha perso suo padre, non ha alcun senso d’identità,
cambia Stato e va a vivere con una nuova famiglia e il benvenuto
che riceve è te che urli contro di lei?»
«Capisco.»
«Noi non alziamo la voce con i nostri figli. Questi
non sono i nostri valori, come hai detto tu, o no?»
«No, questo lo so.»
Noah aveva sentito che la voce di Maggie era incrinata e si era
reso conto che forse aveva pianto prima che arrivasse lui. Noah le
aveva messo una mano sulla spalla, ma lei non si era mossa.
Normalmente, si sarebbe
girata, si sarebbero abbracciati oppure si sarebbero riconciliati
facendo l’amore. Quella sera non sarebbe successo niente di tutto
quello, quindi Noah non fece nemmeno un tentativo. Tolse la
mano.
«Anna stava piangendo in camera sua.»
«Mi dispiace.» Noah
aveva tenuto in conto che quella era la quarta volta che diceva che
gli dispiaceva.
«E la lezione di guida?»
«L’accompagno io.»
Noah era seccato all’idea di insegnare ad Anna a guidare con quella
macchina, ma faceva lo stesso ormai.
«E se lei adesso non volesse più? La macchina è
evidentemente un punto dolente.»
«La convincerò, le dirò che mi
dispiace». Noah aveva messo un altro
segno di spunta immaginario. E cinque.
«Ho pensato che potrebbe essere un’occasione per
conoscervi. Ho pensato che fosse qualcosa che potevate condividere.
Adesso è tutto rovinato.»
«Non è rovinato» aveva
detto Noah, sebbene la colpa fosse di Anna, non sua.
«E stava anche cercando degli
avvocati.»
«Perché? Ha intenzione di
denunciarmi?»
«Non fa ridere.
«E va bene.» Noah
aveva sentito trapelare l’irritazione dalla voce di Maggie. Stava
cercando di mantenere la calma, ma a tutto c’era un limite. Mike
Wilson era morto quel giorno. Dina era talmente sconvolta da dover
essere sedata. Steve aveva chiesto a Noah se Michael avesse
sofferto prima di morire e lui non se l’era sentita di dirgli la
verità.
«Anna sta pensando se non sia il caso di emanciparsi
in modo da non dover vivere qui. Visto che tu non riesci a farla
sentire a casa e a me sembra di dover riparare ai danni che fai tu.
Persino Caleb si sta sforzando di essere carino con lei. Avresti
dovuto vederli come ridevano in macchina.»
Noah era rimasto in silenzio.
Aveva pensato a quello che gli aveva detto Caleb in giardino.
«Devi sistemare le cose, Noah. Dobbiamo conquistare
la sua fiducia all’inizio. Ci sono alcune cose che ti segnano per
tutta la vita. A volte il danno è semplicemente troppo
grande.»
«Lo so, e mi dispiace»
aveva ripetuto Noah, perdendo il conto delle volte che si era
scusato. Si sentiva esausto, i terribili eventi della giornata
stavano avendo il sopravvento su di lui. Cominciarono a
chiuderglisi gli occhi ed era caduto in un sonno irrequieto.
Noah si guardò intorno quando
notò che il giudice Gardner si stava appoggiando allo schienale
della sua alta poltrona, per poi girarsi verso la giuria.
«Signore e signori della giuria, mi scuso con
voi.» Il giudice fece un gesto
all’assistente giudiziario. «La prego
di accompagnare la giuria nella sua stanza, mentre io e l’avvocato
risolviamo la questione. La seduta è sospesa per venti
minuti.»