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Noah, dopo
Noah si accorse di essersi
addormentato solo quando si svegliò sentendo dei rumori in
corridoio. Passi strascicati, sussurri e gemiti. Si alzò a sedere
turbato. Era ancora notte. Riusciva a malapena a vedere
nell’oscurità. I detenuti stavano aprendo la porta della sua
cella.
«Dottore, scendi!»
bisbigliò Peach.
Entrarono due uomini di corsa
come ombre, trascinando un terzo detenuto in fondo alla cella sotto
la finestra. Noah sentì il respiro rapido e capì che l’uomo era in
guai seri.
Afferrò il sacchetto marrone,
scese dal letto e si avvicinò subito agli uomini che erano contro
la parete in fondo. Si accovacciò sul detenuto ferito, che giaceva
sulla schiena, con la testa contro la parete, la bocca
aperta.
Il petto dell’uomo si alzava
rumorosamente a ogni respiro. Era quasi incosciente. Le palpebre si
aprivano e si chiudevano, le pupille roteavano all’indietro. La
maglietta era zuppa di sangue, che si spargeva a macchia
d’olio.
«Dottore, lo devi aiutare!» bisbigliò uno dei detenuti, con gli occhi
sgranati.
«Io me ne vado!» disse
l’altro detenuto, uscendo di corsa dalla cella.
«Che è successo?» Noah
controllò il battito del detenuto ferito tastandogli il collo. Era
debole. La pelle era viscida. Il corpo tremava. L’uomo ansimava,
sotto shock.
«Ha un taglio nel petto! Lo devi
sistemare!»
«Peach, prendi una torcia. Devo
vedere.» Noah si sporse sull’uomo
ferito, dandogli dei colpetti sul volto. «Amico, resta con me.»
«Dottore, lo devi cucire! Ce l’hai la roba,
no?»
«Peach, una torcia. Corri.» Noah si sbrigò ad aprire la maglietta dell’uomo
ferito e fuoriuscì uno zampillo di sangue.
«Dottore, sanguina da pazzi!» trasalì il detenuto. «Lo devi cucire!»
Noah afferrò un asciugamano
dal gancio, lo appallottolò e lo premette sul petto dell’uomo
ferito. Sentiva il sangue caldo che pulsava nell’asciugamano sotto
le sue mani, a intervalli regolari. Molto probabilmente il pugnale
aveva reciso un’arteria.
«Ecco qua!» Peach
puntò un cono di luce tremante sul petto palpitante
dell’uomo.
«Resta con me, amico.»
Noah spostò l’asciugamano per guardare il torace dell’uomo ferito.
Era una vista raccapricciante. Uno squarcio di dieci centimetri
vicino al cuore, che aveva reciso l’aorta. Due tagli perforavano il
lobo sinistro del polmone, dal quale gorgogliava aria e sangue.
Noah cambiò asciugamano e premette per fermare l’emorragia.
«Dottore, che aspetti! Lo devi
cucire!»
«Non posso. Non posso togliere l’asciugamano. Ha
bisogno di un intervento chirurgico.»
«E allora fallo!»
«Ma non funziona così...» aveva cominciato a dire Noah, ma in preda alla
rabbia il detenuto gli aveva dato uno spintone. Noah era caduto
all’indietro, nel tentativo di mantenere l’equilibrio.
L’asciugamano zuppo di sangue cadde dal petto dell’uomo ferito.
Noah fece un balzo in avanti, lo afferrò e lo premette di nuovo
sull’uomo.
«Dottore, lo devi cucire!»
L’uomo ferito smise di
respirare. Gli occhi si alzarono verso il cielo, poi si fermarono,
fissi.
Noah cominciò le compressioni
toraciche sopra l’asciugamano. «Dobbiamo chiamare qualcuno.»
«Lo devi cucire, dài!»
«Ascolta, non basta cucire la pelle. Perderà sangue
internamente. Non c’è abbastanza sangue per consentire al cuore di
continuare a battere. È per questo che il sangue non esce
più.» Noah continuò a comprimere il
torace. Non sentiva più il battito arterioso.
«Dottore, lo devi cucire!» Il detenuto mise l’ago in mano a Noah.
«Non servirà a niente.» Le mani di Noah erano scivolose per il sangue. Non
sarebbe comunque riuscito a inserire il filo interdentale nell’ago.
«Se non chiami la guardia carceraria
è morto. O la chiami tu o la chiamo io.»
«Dottore, se chiami la guardia carceraria, quello
morto sei tu.»
Noah controllò il battito
dell’uomo ferito mentre continuava con le compressioni. Non c’era
più battito. L’uomo era morto. Noah non era riuscito a salvargli la
vita. Non era riuscito a salvare la vita neanche ad Anna. Ma
continuò a fare le compressioni, non sapendo chi è che stesse
cercando di salvare. Sé stesso.
«Guardia!» urlò Noah,
ma era troppo tardi.
Per entrambi.