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Maggie, dopo
Maggie sedeva ricurva all’isola della cucina, con la posta sparsa sul ripiano e il suo portatile aperto sul sito web della banca. Avrebbe dovuto pagare le bollette, ma quel compito sembrava schiacciante. Tutto sembrava schiacciante dopo la morte di Anna, e Maggie sapeva di essere invischiata nella palude della depressione che le era familiare.
Si sentiva andare a fondo, risucchiata, il fango le ostruiva le narici e le riempiva la bocca. Si chiedeva se non meritasse di morire in quel modo, soffocata come Anna.
Lo sguardo di Maggie vagò verso la finestra e guardò le gocce di pioggia picchiettare sul vetro. Non sopportava il pensiero che Anna fosse sotto terra, e le giornate piovose come quella la facevano pentire di averla lasciata là. Era andata spesso sulla tomba di Anna prima del processo, ma poi i giornalisti avevano iniziato a seguirla. Ora, tre giorni dopo il verdetto di colpevolezza contro Noah, la stampa stava finalmente mollando la presa e restava solo un furgone di giornalisti parcheggiato sul suo marciapiede. I suoi vicini probabilmente la odiavano, per quello e per tutto il resto. E stava pensando di trasferirsi, ma Caleb non voleva.
Maggie gli aveva dato la priorità assoluta da quando Noah era stato arrestato, cercando di condurre una vita quanto più normale possibile. Facendolo esercitare sulle sue parole target e portandolo agli appuntamenti sia con la logopedista sia con uno psicologo dell’età evolutiva, per aiutarlo a gestire la situazione. Caleb era voluto andare a trovare Noah in prigione, lo psicologo consigliò che fosse Kathy ad accompagnarlo, e Maggie era d’accordo. Durante il processo, Maggie aveva tenuto Caleb a casa, lasciando Kathy a fare da baby-sitter quando Maggie era andata in tribunale. Sarebbe tornato a scuola la settimana successiva e in quel momento era di sopra a leggere con Ralph Spaccatutto.
A Maggie, Anna mancava terribilmente, sentendo la perdita di tutto ciò che sua figlia avrebbe potuto essere o avere e sarebbe potuta diventare da grande. Si tormentava per il fatto che non solo Anna era morta, ma che fosse stato Noah a ucciderla. Eppure, a volte la sera, da sola nel letto, Maggie ammetteva con sé stessa che c’era una minuscola parte di lei che non riusciva a credere che Noah fosse colpevole. Non le sembrava possibile che suo marito potesse fare una cosa del genere, nonostante la sua condanna e le prove contro di lui. E Noah aveva detto di non essere stato lui, in aula. Maggie l’aveva letto sui giornali. Sapeva che anche Caleb nutriva dei dubbi, sebbene lo psicologo e Kathy pensassero che fosse un problema di non accettazione della realtà.
Maggie non era più sicura di amare Noah. Lei amava il Noah che conosceva un tempo, ma non sapeva se esistesse davvero o fosse frutto della sua immaginazione. Aveva trovato un lavoro part time come ragioniera per uno studio legale e uno degli avvocati l’aveva aiutata a preparare i documenti per il divorzio, che però non aveva ancora presentato.
Improvvisamente le squillò il telefono, lo schermo si illuminò con un prefisso che ricordava bene. Quello di Congreve. Maggie sapeva che non era James perché gli aveva mandato un’email per avvisarlo della morte di Anna. Lui le aveva risposto, dicendo che si sarebbe occupato del fondo e del patrimonio, dal momento che Anna era stata uccisa prima dell’autenticazione del testamento di Florian. Secondo le volontà lasciate da Anna nel suo testamento, i suoi soldi sarebbero andati a una serie di organizzazioni di beneficenza, una distribuzione di fondi che avrebbe richiesto mesi.
Il telefono squillò di nuovo, e Maggie rispose, spinta dalla curiosità. «Pronto?»
«Salve, parlo con Maggie Ippoliti?» chiese una donna dalla voce vagamente familiare.
«Sì, con chi parlo?»
«Sono Ellen Salvich del Graham Center presso la Congreve Academy. Ci siamo conosciute lo scorso anno. Ero la psicologa di Anna.»
«Oh, sì.» Maggie si sentì in colpa per non avere contattato Ellen.
L’imbarazzo e la vergogna avevano avuto la meglio su di lei. Non avrebbe saputo come spiegare la situazione. Le avevo promesso che mi sarei presa la massima cura di mia figlia, ma mio marito l’ha uccisa, mi dispiace.
«Ho appena letto sui giornali, online, quello che è successo...»
«Sono mortificata, avrei dovuto chiamarla.»
«Sono rientrata da poco. Ho preso un congedo dalla scuola. Mio padre era in un ospizio a Scottsdale ed è venuto a mancare la scorsa settimana. Sono appena tornata.»
«Condoglianze.» Maggie sentiva una vicinanza immediata con chiunque avesse perso una persona cara.
«La ringrazio. Può parlare in questo momento? È importante, e per lei potrebbe essere una notizia scioccante.»
«Sì, mi dica» disse Maggie, anche se ormai per lei nulla poteva essere scioccante.
«Quando sono tornata a casa, ho letto su un quotidiano online della condanna di suo marito per l’omicidio. La sua foto è accanto a quella di Anna. Il nome di Anna è riportato nella didascalia. La sto guardando in questo momento.»
«Sì.» sospirò Maggie, addolorata. «È stato condannato per l’omicidio. Davvero, avrei dovuto chiamarla, ci ho pensato tantissime volte.»
«No, non è per questo che la sto chiamando. Questa immagine sul giornale, dove nella didascalia c’è scritto Anna Desroches, non è una foto di sua figlia. Questa non è la Anna che io conoscevo e che avevo in cura. Le somiglia molto, ma non è lei.»
«Non capisco cosa voglia dire.»
«Ora le invio sul cellulare la foto sul giornale con il nome di Anna nella didascalia.» Non appena Ellen finì la frase, il cellulare di Maggie segnalò l’arrivo di un messaggio con un bip.
«Aspetti un attimo, okay?» Maggie mise Ellen in vivavoce, poi aprì il messaggio. Sullo schermo c’era una foto di Anna, leggermente sfocata. Maggie stava male solo a guardarla. «Sì, questa è Anna.»
«E invece no. È questo che sto cercando di dirle. La ragazza identificata come Anna Desroches sul giornale non è la ragazza che io conosco come Anna Desroches. O che tutti conosciamo come Anna Desroches qui alla Congreve. Come le ho detto, la somiglianza è notevole, ma quella non è Anna.»
«Non so che cosa voglia dire.» Maggie non riusciva a capire quello che le stava dicendo Ellen.
«Aspetti, ora le mando una foto della mia paziente, di sua figlia Anna Desroches. È una foto che ho fatto di noi due insieme, il giorno del suo compleanno lo scorso marzo.»
«Okay» disse lentamente Maggie, un secondo dopo sentì arrivare un altro messaggio e sullo schermo del cellulare comparve una foto. Mostrava una Ellen sorridente con il braccio intorno a una ragazzina dagli occhi azzurri, un grande sorriso e le fossette. La ragazza assomigliava molto ad Anna, cioè, all’Anna che Maggie aveva conosciuto come sua figlia.
«Maggie, è in linea? Tutto okay? L’avevo avvertita, è scioccante.»
«Non capisco» disse Maggie, ripetendolo a sé stessa. Non riusciva a distogliere lo sguardo dalla foto. «Sta dicendo che la ragazzina nella foto con lei è Anna?»
«Sì, esatto.» La voce di Ellen era categorica, insistente persino. «Questa è sua figlia, Anna Ippoliti Desroches, con me. È un selfie. Come le ho detto, ci siamo fatte questa foto lo scorso marzo, il giorno del suo diciassettesimo compleanno.»
«Sono confusa. Anna è con lei adesso?» Maggie non capiva. Non c’era nessuna logica.
«No. È scomparsa. Anna è scomparsa. Dev’essere successo durante le vacanze di primavera, lo scorso anno.»
«Aspetti, cosa?» I pensieri si affollavano nella mente di Maggie. «Allora la persona che io pensavo fosse mia figlia non era mia figlia?»
«Sì, l’ultima volta che ho visto Anna è stato prima delle vacanze di primavera, il 3 aprile, al nostro solito appuntamento del lunedì, e abbiamo parlato della sua volontà di contattarla. Abbiamo parlato di tutto quello che le ho raccontato quando ci siamo viste al Graham Center.»
«Allora che cosa le è successo?»
«Non riusciamo a capire che cosa sia successo né come. Ma sappiamo che la persona sul giornale non è Anna. Sebbene la ragazza della foto somigli molto ad Anna e sembra avere la stessa età, non è Anna.»
«Davvero quella non è Anna?» Maggie era sbalordita. Guardò il selfie con gli occhi socchiusi. «Questa è mia figlia? Nella foto con lei? Quindi la ragazza che io ho portato a casa stava solo fingendo di essere mia figlia?»
«Sì, crediamo che sia andata così.»
«Come si chiama?» chiese Maggie, sconcertata. «Chi è? Chi era?»
«Non lo sappiamo. Io stessa l’ho scoperto solo qualche ora fa e sono andata dal preside Morris Whitaker e dal vicepreside Jack Amundsen. Sono con loro adesso. Abbiamo già contattato la polizia di Congreve e la polizia di Stato del Maine.»
«Mio Dio.» Maggie ripensò alla sua visita a Congreve, quella sera. «Ma io l’ho accompagnata al dormitorio. Lei è entrata e ha preparato le sue cose mentre io venivo a parlare con lei. Nessuno si è chiesto chi fosse e perché stesse prendendo le cose di Anna?»
«Ci siamo fatti la stessa domanda e per questo abbiamo contattato le studentesse, che ora sono all’ultimo anno. Una di loro ricordava la ragazza perché somigliava molto ad Anna. La truffatrice, se così possiamo dire, ha detto loro che era un’assistente mandata da James Huntley, un avvocato in città.»
«Lo conosco. Gestiva il fondo fiduciario di Anna.»
«Sì, l’abbiamo contattato. È in vacanza in Florida, ma siamo riusciti a parlarci. Lui non ha inviato nessuna assistente, e non era a conoscenza di questo fatto. Anche lui conferma che la ragazza nella foto non è Anna.» Ellen si schiarì la voce. «Inoltre, la documentazione di cui siamo in possesso mostra che la nostra segreteria ha ricevuto un’email dall’indirizzo di posta elettronica di Anna alle 21:02 di venerdì, 10 aprile, in cui comunicava il suo ritiro dalla Congreve quello stesso giorno. Non sappiamo se l’email sia stata inviata dalla vera Anna o dalla truffatrice. Immagino che nel collegio si sia sparsa la voce ed è questo il motivo per cui nessuno ha chiesto alla truffatrice che cosa stesse facendo mentre prendeva le cose di Anna. Poi ha lasciato il campus quella sera stessa, insieme a lei.»
«Una truffatrice.» A Maggie girava la testa. Le si affollavano tantissime domande, ma solo una importava. «Dov’è la vera Anna? Dov’è mia figlia?»
«Non lo sappiamo. Forse è il caso che venga qui con il primo volo. È prevista una tormenta ma se fa in fretta, potrebbe farcela. Mi mandi un messaggio al suo arrivo. Venga direttamente negli uffici amministrativi.»
«Arrivo subito, arrivederci.» Maggie riagganciò, poi si alzò e mandò un messaggio a Kathy.
«Caleb!»