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Noah, dopo
Processo, sesto giorno
Noah guardò Linda avvicinarsi
a grandi passi al banco della giuria, in tutto il suo metro e
sessanta di altezza, una presenza di certo non imponente ma
sicuramente vigorosa. Il suo abito blu scuro incorniciava
perfettamente il suo fisico scolpito. Probabilmente andava a
correre nel tempo libero a giudicare dai polpacci tonici, che Noah
conosceva bene dai giorni trascorsi a fare jogging in
campagna.
«Signore e signori della giuria, mi chiamo Linda
Swain-Pettit e rappresento lo Stato della Pennsylvania. In altre
parole, rappresento i cittadini di questo grande Stato, cioè voi.
L’arringa finale ha lo scopo di passare in rassegna l’importante
deposizione che avete sentito in quest’aula. Il giudice vi dirà
che, quando egli accusa un imputato ai sensi della legge, è lo
Stato a detenere l’onere della prova della colpevolezza
dell’imputato oltre ogni ragionevole dubbio. Ritengo che abbiamo
ampiamente soddisfatto tale onere e vi presenterò testimonianze e
prove a sostegno della mia affermazione. Vi chiedo solo un
momento.»
Linda si avvicinò ai reperti
del processo, ne tirò fuori uno e lo posizionò su un cavalletto.
Era un selfie stravagante, ingrandito alle dimensioni di un poster,
che ritraeva un’Anna sorridente con un cielo terso sullo sfondo.
Era una bella ragazza, dai grandi occhi azzurri, ciglia folte, un
naso allungato, ma con una bocca piccola dalle labbra carnose. I
capelli castano chiaro le cadevano sulle spalle, rivelando un volto
giovane e fresco a forma di cuore. Sorrideva in un modo dolce che
ne metteva in risalto le fossette, che a Noah ricordavano Maggie.
In quel momento, invece, Noah si sentiva a disagio davanti a quella
foto. L’immagine si trovava esattamente davanti a lui, come se lo
stesse guardando.
«Signore e signori della giuria, questa bella
ragazza era Anna Desroches e aveva solo diciassette anni.
Frequentava la Lower Merion High School, era al terzo anno. Anna è
il motivo per il quale noi siamo tutti qui oggi e voglio ricordarvi
che sarebbe potuta essere una delle vostre figlie, sorelle, amiche
o vicine di casa. Era un’adolescente come tutte le altre sotto ogni
punto di vista.»
Noah restò impassibile. Anna
non era un’adolescente come tutte le altre sotto nessun punto di
vista. Non avrebbe mai potuto spiegarlo a Maggie, ma era così. E
solo lui sapeva quanto fosse
vero.
«E la sua giovane vita è stata spezzata, nel modo
più atroce che potete immaginare. Anna è stata
uccisa...»
Noah cominciò a vagare con la
mente, mentre tornava indietro nel tempo, chiedendosi come avesse
fatto a tralasciare così tanti indizi, a negare quello che aveva
davanti agli occhi. Ricordò la prima volta che, pensando ad Anna,
si era detto ‘che strano’. Lui e Maggie erano in cucina dopo cena:
lui si stava togliendo la cravatta e Maggie stava caricando la
lavastoviglie.
«Noah, devo darti una notizia. Non voglio parlarne
davanti a Caleb.» Maggie stava
sciacquando un piatto. Avevano mangiato spaghetti a cena e il sugo
di pomodoro aveva inondato di rosso il lavandino.
«Bella o brutta?»
«Florian è morto.»
Maggie aveva messo il piatto
nella lavastoviglie insieme agli altri. È
morto in un incidente aereo, stava pilotando il suo aereo privato.
Da qualche parte fuori Lione.
«Dici sul serio?» Noah
aveva posato la sua bottiglia di birra. Non avrebbe mai augurato la
morte a nessuno, anche se provava rabbia nei confronti di Florian
per quello che aveva fatto a Maggie.
«Sì, si era risposato e sua moglie si chiamava
Nathalie. Avevano due bambini, Michel e Paul. Di cinque e tre
anni.»
«E sono morti tutti nell’incidente? Ma è terribile.
Quando è successo?»
«L’8 marzo.» Maggie
aveva sciacquato un altro piatto.
«Come l’hai saputo?»
«L’ho visto online. Stavo passeggiando con Kathy e
abbiamo cercato informazioni su di lui.»
«E qual è il motivo dell’incidente?»
«Pensano a un errore del pilota.» Maggie aveva messo l’ultimo piatto nella
lavastoviglie. Sul fondo del lavandino vi erano macchie di pomodoro
rossastre, simili a sangue.
«Aveva già il brevetto quando eravate
sposati?»
«Stava prendendo lezioni.» Maggie aveva sciacquato il lavandino con la
doccetta.
«Da quant’è che pilotava aerei?»
«Che differenza fa?»
Maggie aveva aggrottato la fronte, chiudendo lo sportello della
lavastoviglie. «Come faccio a
saperlo? Che sono tutte queste domande?»
«Giusto.» Noah si era
sorpreso a raccogliere informazioni, come se si trovasse davanti un
nuovo paziente prima di cominciare a fare prick test, esami del
sangue e patch test. «Mio Dio, è
terribile. Come mai non abbiamo saputo niente?»
«E come avremmo potuto?» Maggie l’aveva guardato dritto negli occhi e Noah
si era sentito sfidato in modo strano.
«Non lo so. Non pensiamoci più.»
Maggie si era rasserenata
appoggiandosi sul ripiano. «In
realtà, ho pensato la stessa cosa anch’io, ma come potevamo venire
a saperlo? Non ho alcun contatto con lui e la notizia non è stata
riportata dai giornali americani. È solo un riccone che è morto su
un jet privato. Forse ne avranno parlato le riviste di tecnologia,
ma non le leggo più.»
Noah aveva fatto un sorso di
birra, osservandola. «Come ti senti?
Ti ha turbato?»
«È una
cosa terribile.» Maggie aveva scosso la testa.
«Nessuno merita di morire,
soprattutto in quel modo. E deve essere stato molto difficile per
Anna.»
«Eh già.» Noah aveva
già fatto il collegamento. «Pensi che
sia per questo che ti ha chiamata?»
«Sì, e lo capisco. Insomma, è normale che si faccia
viva con me dopo la morte di suo padre.»
«Ma lei non ti ha detto niente della morte di
Florian?»
«No.»
«Che strano.»
Maggie aveva aggrottato la
fronte. «Non mi sembra strano. È
normale, e anche Kathy è d’accordo con me. Anna non sa se io ne sia
a conoscenza o meno e probabilmente non ha voluto dirmelo al
telefono. Tu non la pensi così, vero?»
Noah non aveva insistito, ma
quella era stata la prima volta che aveva pensato che Anna avesse
fatto qualcosa di strano. Né sbagliato, né terribile, semplicemente
strana. Da allora, quella sensazione era tornata in più occasioni,
ogni volta un po’ più forte della precedente e, ripensandoci in
quel momento, si era reso conto che quei primi episodi erano come
l’anamnesi di un paziente. La prima esposizione a un allergene
poteva causare una leggera eruzione cutanea, un piccolo gonfiore,
una breve mancanza di fiato. Ma a una seconda esposizione si
sarebbe manifestato un altro sintomo, più evidente ma trascurabile
da chiunque non ne comprendesse l’importanza. Infine, ci sarebbe
stata una terza o una quarta esposizione, con sintomi via via
sempre più forti a ogni episodio, ma il corpo umano si sarebbe reso
conto di essere vittima di un attacco letale solo quando sarebbe
stato ormai troppo tardi.
Noah ebbe una stretta allo
stomaco. Aveva sbagliato la diagnosi e prima ancora di rendersene
conto Anna aveva distrutto lui e la sua famiglia. Eppure si
ritrovava a sotto processo per il suo omicidio.
Avrebbe dovuto invocare la
legittima difesa.