7
Noah, dopo
Processo, sesto giorno
Noah guardò Linda avvicinarsi a grandi passi al banco della giuria, in tutto il suo metro e sessanta di altezza, una presenza di certo non imponente ma sicuramente vigorosa. Il suo abito blu scuro incorniciava perfettamente il suo fisico scolpito. Probabilmente andava a correre nel tempo libero a giudicare dai polpacci tonici, che Noah conosceva bene dai giorni trascorsi a fare jogging in campagna.
«Signore e signori della giuria, mi chiamo Linda Swain-Pettit e rappresento lo Stato della Pennsylvania. In altre parole, rappresento i cittadini di questo grande Stato, cioè voi. L’arringa finale ha lo scopo di passare in rassegna l’importante deposizione che avete sentito in quest’aula. Il giudice vi dirà che, quando egli accusa un imputato ai sensi della legge, è lo Stato a detenere l’onere della prova della colpevolezza dell’imputato oltre ogni ragionevole dubbio. Ritengo che abbiamo ampiamente soddisfatto tale onere e vi presenterò testimonianze e prove a sostegno della mia affermazione. Vi chiedo solo un momento.»
Linda si avvicinò ai reperti del processo, ne tirò fuori uno e lo posizionò su un cavalletto. Era un selfie stravagante, ingrandito alle dimensioni di un poster, che ritraeva un’Anna sorridente con un cielo terso sullo sfondo. Era una bella ragazza, dai grandi occhi azzurri, ciglia folte, un naso allungato, ma con una bocca piccola dalle labbra carnose. I capelli castano chiaro le cadevano sulle spalle, rivelando un volto giovane e fresco a forma di cuore. Sorrideva in un modo dolce che ne metteva in risalto le fossette, che a Noah ricordavano Maggie. In quel momento, invece, Noah si sentiva a disagio davanti a quella foto. L’immagine si trovava esattamente davanti a lui, come se lo stesse guardando.
«Signore e signori della giuria, questa bella ragazza era Anna Desroches e aveva solo diciassette anni. Frequentava la Lower Merion High School, era al terzo anno. Anna è il motivo per il quale noi siamo tutti qui oggi e voglio ricordarvi che sarebbe potuta essere una delle vostre figlie, sorelle, amiche o vicine di casa. Era un’adolescente come tutte le altre sotto ogni punto di vista.»
Noah restò impassibile. Anna non era un’adolescente come tutte le altre sotto nessun punto di vista. Non avrebbe mai potuto spiegarlo a Maggie, ma era così. E solo lui sapeva quanto fosse vero.
«E la sua giovane vita è stata spezzata, nel modo più atroce che potete immaginare. Anna è stata uccisa...»
Noah cominciò a vagare con la mente, mentre tornava indietro nel tempo, chiedendosi come avesse fatto a tralasciare così tanti indizi, a negare quello che aveva davanti agli occhi. Ricordò la prima volta che, pensando ad Anna, si era detto ‘che strano’. Lui e Maggie erano in cucina dopo cena: lui si stava togliendo la cravatta e Maggie stava caricando la lavastoviglie.
«Noah, devo darti una notizia. Non voglio parlarne davanti a Caleb.» Maggie stava sciacquando un piatto. Avevano mangiato spaghetti a cena e il sugo di pomodoro aveva inondato di rosso il lavandino.
«Bella o brutta?»
«Florian è morto.»
Maggie aveva messo il piatto nella lavastoviglie insieme agli altri. È morto in un incidente aereo, stava pilotando il suo aereo privato. Da qualche parte fuori Lione.
«Dici sul serio?» Noah aveva posato la sua bottiglia di birra. Non avrebbe mai augurato la morte a nessuno, anche se provava rabbia nei confronti di Florian per quello che aveva fatto a Maggie.
«Sì, si era risposato e sua moglie si chiamava Nathalie. Avevano due bambini, Michel e Paul. Di cinque e tre anni.»
«E sono morti tutti nell’incidente? Ma è terribile. Quando è successo?»
«L’8 marzo.» Maggie aveva sciacquato un altro piatto.
«Come l’hai saputo?»
«L’ho visto online. Stavo passeggiando con Kathy e abbiamo cercato informazioni su di lui.»
«E qual è il motivo dell’incidente?»
«Pensano a un errore del pilota.» Maggie aveva messo l’ultimo piatto nella lavastoviglie. Sul fondo del lavandino vi erano macchie di pomodoro rossastre, simili a sangue.
«Aveva già il brevetto quando eravate sposati?»
«Stava prendendo lezioni.» Maggie aveva sciacquato il lavandino con la doccetta.
«Da quant’è che pilotava aerei?»
«Che differenza fa?» Maggie aveva aggrottato la fronte, chiudendo lo sportello della lavastoviglie. «Come faccio a saperlo? Che sono tutte queste domande?»
«Giusto.» Noah si era sorpreso a raccogliere informazioni, come se si trovasse davanti un nuovo paziente prima di cominciare a fare prick test, esami del sangue e patch test. «Mio Dio, è terribile. Come mai non abbiamo saputo niente?»
«E come avremmo potuto?» Maggie l’aveva guardato dritto negli occhi e Noah si era sentito sfidato in modo strano.
«Non lo so. Non pensiamoci più.»
Maggie si era rasserenata appoggiandosi sul ripiano. «In realtà, ho pensato la stessa cosa anch’io, ma come potevamo venire a saperlo? Non ho alcun contatto con lui e la notizia non è stata riportata dai giornali americani. È solo un riccone che è morto su un jet privato. Forse ne avranno parlato le riviste di tecnologia, ma non le leggo più.»
Noah aveva fatto un sorso di birra, osservandola. «Come ti senti? Ti ha turbato?»
«È una cosa terribile.» Maggie aveva scosso la testa. «Nessuno merita di morire, soprattutto in quel modo. E deve essere stato molto difficile per Anna.»
«Eh già.» Noah aveva già fatto il collegamento. «Pensi che sia per questo che ti ha chiamata?»
«Sì, e lo capisco. Insomma, è normale che si faccia viva con me dopo la morte di suo padre.»
«Ma lei non ti ha detto niente della morte di Florian?»
«No.»
«Che strano.»
Maggie aveva aggrottato la fronte. «Non mi sembra strano. È normale, e anche Kathy è d’accordo con me. Anna non sa se io ne sia a conoscenza o meno e probabilmente non ha voluto dirmelo al telefono. Tu non la pensi così, vero?»
Noah non aveva insistito, ma quella era stata la prima volta che aveva pensato che Anna avesse fatto qualcosa di strano. Né sbagliato, né terribile, semplicemente strana. Da allora, quella sensazione era tornata in più occasioni, ogni volta un po’ più forte della precedente e, ripensandoci in quel momento, si era reso conto che quei primi episodi erano come l’anamnesi di un paziente. La prima esposizione a un allergene poteva causare una leggera eruzione cutanea, un piccolo gonfiore, una breve mancanza di fiato. Ma a una seconda esposizione si sarebbe manifestato un altro sintomo, più evidente ma trascurabile da chiunque non ne comprendesse l’importanza. Infine, ci sarebbe stata una terza o una quarta esposizione, con sintomi via via sempre più forti a ogni episodio, ma il corpo umano si sarebbe reso conto di essere vittima di un attacco letale solo quando sarebbe stato ormai troppo tardi.
Noah ebbe una stretta allo stomaco. Aveva sbagliato la diagnosi e prima ancora di rendersene conto Anna aveva distrutto lui e la sua famiglia. Eppure si ritrovava a sotto processo per il suo omicidio.
Avrebbe dovuto invocare la legittima difesa.