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Victor tornò al suo appartamento con la Land Rover di Zoca, e afferrò la sua borsa da viaggio dal piano interrato. Una volta tornato sul veicolo bendò la ferita riaperta sulla coscia con il kit di pronto soccorso, si ripulì il più possibile e cambiò i vestiti. In quindici minuti era abbastanza presentabile per andarsene.

Gli sarebbe piaciuto poter fare delle domande a Krieger e saperne di più su Phoenix e sulla taglia sulla sua testa, ma il tedesco era stato troppo pericoloso per mantenerlo in vita più del necessario. Krieger aveva pagato il prezzo di non aver eliminato la minaccia rappresentata da Victor quando ne aveva avuto la possibilità. A quel punto a Victor rimaneva soltanto una cosa da fare a Belgrado.

Zoca non era al centro massaggi perché giaceva morto al deposito rottami, insieme a molti dei suoi uomini, ma il giovane goffo con l’acne cistica era al piano di sopra, a presidiare il forte da solo. Quando vide Victor scattò in piedi. Non si aspettava di vederlo di nuovo.

«Resta lì,» disse Victor «e non respirare nemmeno finché non sarò tornato.»

Il ragazzino non replicò.

Victor si allontanò da lui e si incamminò attraverso il corridoio dalle pareti rosa. Maneggiò il gancio e aprì la porta, dicendo: «È ora di andare.»

Non c’era.

Quando Victor tornò le labbra del ragazzino erano serrate e la sua faccia era quasi viola. Non aveva letteralmente respirato.

«Dov’è lei?»

Rilasciò una boccata di anidride carbonica, fece dei respiri profondi e farfugliò. Victor si diresse verso di lui con ampie falcate.

«La festa» disse il giovane, incespicando all’indietro man mano che Victor si avvicinava. «Lei è già... andata.»

«Okay» disse Victor annuendo. «Rilassati.»

La faccia del ragazzino era madida di sudore.

«Per chi lavori?» chiese Victor. «Zoca o Rados?»

«Rados, ovviamente.»

«Allora siediti.»

Il giovane non avrebbe potuto accasciarsi sul divano più velocemente.

«Questa festa,» cominciò Victor «dimmi tutto quello che sai al riguardo.»

La casa di Rados era praticamente un castello. Si trovava all’interno di un’enorme tenuta, circondata da boschi, accessibile attraverso una strada privata lunga un chilometro e mezzo. I prati perfettamente curati e i giardini floreali erano colorati da fiori invernali e illuminati da faretti a pavimento che fiancheggiavano il viale d’accesso. Altri faretti a pavimento illuminavano la facciata neoclassica e facevano risplendere la carrozzeria lucida delle limousine e delle macchine sportive parcheggiate sul davanti. Non si vedeva alcuna Range Rover. Non c’era traccia dei variaghi, a parte due scagnozzi in smoking posizionati all’esterno.

Erano giovani ma avevano i lineamenti induriti da ex militari. Sicurezza privata, decorosa e professionale.

Mentre Victor si avvicinava, uno dei due sollevò la mano mostrandogli il palmo. «Nome?»

«L’ungherese» disse Victor. «Bartha.»

Il palmo si abbassò e annuì in segno di riconoscimento. L’altro fece un passo avanti per perquisire Victor. Sollevò le braccia. L’uomo cercava una pistola, quindi non si soffermò lungo gli avambracci di Victor. Non trovò il caricatore per la Five-seveN fasciato sotto al polso sinistro, né il silenziatore fasciato sotto al destro.

«Pulito» disse l’uomo.

L’altro disse: «Passi una buona serata, signore.»

«Sono venuto qui per questo.»

All’interno, la casa di Rados era imponente come appariva dall’esterno. La sala d’ingresso era enorme e superba, con il pavimento e le statue in marmo. Un lampadario grande quanto una piccola auto, luccicava appeso a un soffitto decorato con affreschi sofisticati.

Una musica delicata proveniva da un pianoforte, Victor seguì quel suono e si ritrovò in una sala da ballo, dove delle giovani donne, che si muovevano con la grazia di modelle da sfilata, intrattenevano otto uomini in completi raffinati. Le donne indossavano abiti firmati, ed erano curate fino a raggiungere un livello di sensuale perfezione. Ognuna era tanto bella quanto elegante. La donna armena non era tra loro.

Non riconobbe nessuna delle donne, ma il giovane politico, Dilas, era lì, e gli fece cenno di avvicinarsi.

«Sei vestito in modo piuttosto inappropriato» disse Dilas, esaminandolo.

«È stata una lunga giornata.»

«Be’, questo è il posto perfetto per rilassarsi e staccare la spina.»

Victor annuì. «Dov’è Zoca e il resto dei variaghi?»

Dilas rise. «Dici sul serio? Pensi che Rados porterebbe qui quei barbari? Oh, no. Queste riunioni sono per gli amici. Solo per i più facoltosi e raffinati di Belgrado.»

Quindi c’erano davvero soltanto i due uomini della sicurezza privata. Armati e capaci, ma evitabili. «Dov’è l’uomo in persona?»

Dilas sorseggiò un po’ di champagne. «Rados? Si è allontanato di nascosto per prendere qualche antidolorifico. Cerca di non darlo a vedere, ma sta soffrendo. Non riesco a immaginare come ci si senta quando ti sparano.»

«Non è piacevole» gli assicurò Victor.

«Penso che andrò a fumare una sigaretta» disse Dilas. «Vuoi unirti a me?»

«Dopo» disse Victor. «Chiedo scusa.»

Lo sguardo di Dilas era rivolto a una delle donne. «Figurati.»

Victor lasciò la sala da ballo per cercare Rados.