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Rados e Victor si avvicinarono insieme agli slovacchi, ma poi Victor si staccò gesticolando verso gli alberi. «Devo fare due gocce.»

«Fai veloce» disse Rados con la perfetta dose di irritazione nella voce.

Lo slovacco non commentò. Non reagì. Se l’era bevuta.

Victor li lasciò e si diresse verso la boscaglia. Andò a destra perché c’erano più veicoli in quella parte di sterrato, e ciò voleva dire più ostacoli a interrompere il campo visivo. Sarebbe stato più difficile per lo slovacco e i suoi uomini osservare il suo percorso tra gli alberi. Potevano pensare lo facesse per privacy, qualora si fossero preoccupati di lui o di cosa stesse facendo.

Camminava in modo affrettato: un uomo che cerca di rispondere velocemente al richiamo della natura. Niente di insolito. Niente di sospetto. Le felci frusciarono. Gli era sempre piaciuto quel suono. Erano bagnate e sfregavano contro i suoi vestiti. Teneva le mani davanti a lui, come se si stesse slacciando la cintura o stesse tirando giù la zip dei pantaloni, ma smise di fingere quando si fu inoltrato quindici metri tra gli alberi. Da quella distanza, nessuno sullo sterrato avrebbe potuto vedere altro all’infuori della sua schiena e della sua testa. Dopo venti metri cambiò direzione e accelerò il passo, sapendo che da quella distanza la foschia lo avrebbe coperto. Se il cecchino fosse stato ai bordi dello sterrato, a trenta o quaranta metri dal luogo dello scambio, Victor avrebbe dovuto attraversare una distanza circolare di settanta metri, prima di riuscire a sorprenderlo alle spalle. Senza vincoli di tempo avrebbe esteso quel cerchio, e si sarebbe avvicinato a lui da una distanza ancora maggiore, ma Victor non sapeva quanto tempo Rados avrebbe potuto dilungarsi nello scambio.

Non era preoccupato che il cecchino sparasse prima che lui si fosse posizionato. Se i fratelli slovacchi avessero avuto successo, l’incarico di Victor sarebbe stato portato a termine senza ulteriori sforzi da parte sua. Davanti a lui si estendeva solo la foresta; avrebbe potuto fuggire in modo sicuro senza difficoltà. Ma quella non era un’opzione.

Non poteva sapere quanto competente fosse il cecchino come tiratore scelto, o quale fosse la qualità della sua arma. Chiunque possieda un fucile può definirsi un cecchino, e anche se il tizio si è fatto un nome durante la guerra, potrebbe aver perso lo smalto da allora. Inoltre, se la manutenzione della sua arma da fuoco era pari a quella dei variaghi, avrebbe potuto fare cilecca nel momento cruciale. Troppe cose potevano andare storte se il primo colpo avesse mancato il bersaglio. Gli uomini di Rados sarebbero saltati sui loro veicoli per precipitarsi sulla scena, trasformandola in un lungo scontro a fuoco: senza sapere chi ne sarebbe uscito vivo. E se Rados fosse sopravvissuto, Victor non sarebbe mai più riuscito ad avvicinarglisi abbastanza per avere un’altra opportunità.

La miglior linea d’azione era quella di fare fuori il cecchino e utilizzare l’arma lui stesso. In quel modo la morte di Rados sarebbe stata garantita. E se Victor voleva continuare a vivere in seguito gli serviva un fucile, nel caso in cui si fosse imbattuto in uno dei variaghi che rispondeva al fuoco.

Mentre cominciava a intravedere lo sterrato davanti a lui, Victor rallentò, e i suoi passi si fecero cauti e leggeri. Era impossibile essere silenziosi in una foresta, ma nemmeno la foresta lo era. Raggiunse il ciglio dello sterrato e guardò a destra: da quel punto di osservazione aveva una chiara visuale delle tre donne, sorvegliate da Zoca, e dell’unico variago presente. Riusciva a vedere sia Rados che lo slovacco, qualche metro più avanti, al centro dello sterrato.

A quaranta metri da loro, e a dieci metri da Victor, si trovava il cecchino.

Era inginocchiato vicino allo sterrato. Sotto le felci il terreno era roccioso, ma si era preparato. Sopra i jeans, indossava il tipo di ginocchiere che gli skater utilizzano come protezione: un’armatura di plastica rigida. Forse era un po’ eccessivo per il suo scopo, ma Victor sapeva meglio di chiunque altro che era meglio essere preparati più del dovuto anziché il contrario.

Non riusciva a distinguere l’arma del cecchino, ma riusciva a vedere i due spessi caricatori che giacevano sul terreno di fianco a lui. Victor li riconobbe. Erano per il Dragunov che aveva chiesto a Georg di procurargli. Le armi sovietiche e russe erano diffuse durante la guerra dei Balcani. Non c’era da stupirsi che il fratello dello slovacco avesse optato per lo stesso modello usato al tempo. Magari era proprio la stessa arma.

Victor non tirò fuori la pistola dalla cintura. Anche se avesse avuto il silenziatore l’avrebbe lasciata al suo posto. Qualsiasi arma da fuoco avrebbe creato caos, con gli uomini armati che potevano schizzare fuori dal furgone degli slovacchi, e i variaghi di Rados che sarebbero saltati sul loro due minuti dopo. Victor non aveva intenzione di sparare alcun colpo fino a quando non si fosse trovato dietro al Dragunov. Il primo colpo sarebbe stato quello che avrebbe ucciso Rados. Poteva lasciare che lo slovacco e i suoi uomini se la vedessero con Zoca e i variaghi, e una volta che tutto fosse finito, i restanti uomini di Rados sarebbero saltati fuori. Victor a quel punto voleva essere ben lontano. Voleva essere fuori dal Paese quando tutti avrebbero cominciato a fare domande sull’accaduto.

Sarebbe stato sufficiente soffocarlo. L’altezza del cecchino inginocchiato era perfetta affinché Victor gli circondasse la gola con un braccio, serrasse le mani e gli premesse il collo così forte che la pressione sanguigna all’interno della testa gli avrebbe fatto pensare che il suo cranio fosse sul punto di esplodere.

Il cecchino non avrebbe avuto più di cinque secondi per salvarsi. Ne avrebbe persi almeno tre a causa dell’effetto sorpresa dell’attacco, del dolore incredibile e del puro terrore di non poter respirare. Due secondi non gli sarebbero mai bastati per tentare di liberarsi dalla presa di Victor, anche nell’impossibile eventualità che fosse riuscito a mantenere l’autocontrollo per tentare di usare il Dragunov per un colpo alla cieca.

Il cecchino non aveva alcuna possibilità. Gli sarebbe stato impossibile contrattaccare dopo cinque secondi; sarebbe svenuto dopo sette; e non si sarebbe più svegliato dopo sessanta.

Dieci metri. Ognuno era più difficile da attraversare rispetto al precedente, ogni passo diventava più rumoroso, e il pericolo di un ramoscello che si spezzasse o di un ramo frusciante cresceva in modo esponenziale. Ma il cecchino non si guardava alle spalle. Non aveva alcun osservatore. Era solo. Tutta la sua attenzione era rivolta al bersaglio, e attendeva il segnale prestabilito per premere il grilletto.

Victor avanzò lentamente verso il suo bersaglio, i suoi passi erano così leggeri da essere sovrastati dal frusciare delle felci nella brezza attorno a lui. Il suo cuore batteva a un ritmo lento, e stabile, il suo sguardo era fisso sul coppino del cecchino, riusciva a immaginarsi il pulsare delle sue arterie.

Più avanti lungo lo sterrato, Victor vide Zoca far avanzare le donne. Il cecchino si irrigidì nella sua prontezza. Non poteva essere più inconsapevole. Non poteva essere più vulnerabile. Victor riusciva quasi a percepire il battito dell’uomo come un tremito nell’aria che li divideva.

Victor aprì le mani, a tre metri di distanza, pronto.

Tutto quello che poteva andare storto, andò storto.