56
Quando Victor entrò nella sua stanza, lei era sdraiata sul letto, sopra le lenzuola, mezza nuda, coperta solo dalla sottile porzione di vestiti che le era concessa, il suo viso era emaciato e madido di sudore, gli occhi erano serrati. Non lo sentì entrare, ma il suo inconscio avvertì la sua presenza e si svegliò di colpo, scattando in piedi, inizialmente perché aveva paura di tutti quelli che entravano, ma poi quando vide che era lui, non si rimise sul letto sul quale stava dormendo. L’aspettativa le fece mantenere lo slancio.
Aveva dei lividi nuovi. Questi erano sulle gambe. Victor li riconobbe come segni lasciati da dita che stringevano, esercitando una forza decisamente non necessaria.
«Abbiamo poco tempo» le disse. «Avevi ragione sul fatto che Rados mi stesse facendo seguire, ma non dai suoi uomini. Erano poliziotti. Potrebbero non aver ancora assistito a nulla che mi abbia esposto, ma se mi stanno seguendo è inevitabile che investigheranno sui miei falsi alias. È inevitabile che capiscano che non sono chi dovrei essere. Devo agire velocemente, altrimenti potrei non avere un’altra possibilità, quindi spero davvero che tu abbia scoperto dove si trova l’altro bordello.»
«Rados non ha un altro bordello» disse. «Tiene le donne migliori per le feste.»
«Che genere di feste?»
«Sono per i suoi amici» spiegò. «Presso una delle sue case.»
«Credo di essere stato invitato a una, stasera. Rados mi ha detto che tiene degli eventi di tanto in tanto per i suoi soci di prestigio. Le donne devono essere lì come intrattenimento per quelli su cui vuole fare una buona impressione e che vuole ingraziarsi.»
«Buon per te» disse, togliendosi dalla faccia ricci di capelli bagnati. «Devi piacergli.»
Non le disse il perché (che Rados pensava che lui gli avesse salvato la vita), ma disse: «Non mi è utile. Non so dove si trova la sua casa né cosa aspettarmi quando arriverò alla festa. Non posso entrare alla cieca e disarmato con tutti gli uomini di Rados lì per proteggerlo.»
«Zoca non ci sarà» gli disse.
«Perché è conciato male.»
Scosse la testa. «Non viene mai invitato.»
«Davvero?»
«Esatto» confermò. «E se lui non va alle feste allora non ci andranno neanche gli altri gorilla di Rados.»
Lei si avvicinò all’armadio.
Lui pensò a Zoca e ai variaghi: criminali incalliti e paramilitari; i barbari di Rados. Non gli avrebbe permesso di insudiciare il posto e attirare l’attenzione mettendo a disagio i clienti facoltosi.
«Sì» concordò. «Ha senso. Ma in ogni caso non significa che io possa portare un’arma all’interno.»
«Forse tu non puoi,» disse aprendo l’armadio «ma io posso.»
Al suo interno era appeso un vestito nero da sera, fresco di tintoria, ancora avvolto nel cellophane.
«Sarai lì?» le chiese.
«Il vestito è stato portato qui prima. Non avevo capito il perché fino a ora. Per quale altro motivo me lo avrebbero dato? Ovviamente sarò lì per te. Perché pensano che io ti piaccia.»
Pensò alla sua conversazione precedente con Rados.
‘Mi piace la familiarità... lo terrò a mente.’
«Hai una pistola?» gli chiese, e lui annuì. «Non mi perquisiranno. Sono una prigioniera. Non sono nessuno. Non penseranno nemmeno per un istante che io possa avere un’arma.»
Lui esitò.
Continuò: «Lo hai detto tu stesso, abbiamo poco tempo. Questa è la tua migliore occasione per uccidere Rados. Io posso intrufolare la pistola lì dentro, e tu potrai prenderla una volta entrato.»
Era un piano semplice, ma valido. Aveva con sé solo la sua Five-seveN, la tirò fuori.
Lei indietreggiò, spaventata dalla vista di una pistola nonostante si aspettasse di vederla.
Lui tolse il caricatore e lo fece scivolare in una tasca.
«Che stai facendo?»
«Posso infilare il caricatore da solo» disse.
«Per quale motivo?»
Non rispose.
«Non ti fidi a lasciarmi una pistola carica?» gli chiese.
Lui scosse la testa. «Potresti essere tentata a usarla, e non ti biasimerei. Ma anche gli uomini di Rados hanno delle pistole, e finirebbe solo male.»
«Magari morire non mi interessa più.»
«Esattamente quello intendo.»
«Non vuoi che io rimanga uccisa con la tua pistola in mano, giusto?» gli disse.
«Giusto. Non aiuterebbe nessuno dei due. Io uccido Rados alla festa, e tiro fuori entrambi.»
«Funzionerà?»
Voleva sicurezza. Voleva garanzie. Non poteva fornirle nessuna di esse. Lei lo capì e la sua testa crollò. Qualsiasi speranza le avesse dato era già scemata.
«Penso che stessi facendo un brutto sogno quando sono entrato» le disse per cambiare argomento.
Non reagì subito. Poi divenne imbarazzata, cosciente della sua seminudità e del suo aspetto trasandato. Si portò le ginocchia al petto, con le caviglie che si toccavano, e tentò di sistemarsi i capelli con le dita. Lui si curò di non guardarla. Lei disse: «Non mi importava degli incubi la prima volta che venni qui. Significavano che ero addormentata, non sveglia. Non avevo mai sognato nulla che potesse essere peggio della realtà.» Sollevò la testa e lo guardò. «Non ti ho ringraziato l’altra volta, per non aver chiesto il mio nome.» Non riusciva a sorridere, ma per un istante il suo viso non sembrò così sofferente. «Grazie per avermi dato una sorta di privacy in questo posto. Il mio nome è l’unica cosa che mi è rimasta, l’unica cosa veramente mia.»
«So come ti senti.»
«Non voglio che tu ti dispiaccia per me» disse, fraintendendolo. «Non voglio la tua compassione e non ne ho bisogno.»
Victor non disse nulla, ma annuì per farle capire che era d’accordo. Sembrava un gesto educato.
«Magari se riesci a tirarmi fuori di qui ti dirò il mio nome.»
«È una tua scelta» le disse.
Il silenzio durò per un po’. Lei guardò la pistola, esaminandola come se non ne avesse mai vista una così da vicino. Forse non ne aveva mai vista una.
«Cosa succederebbe se quei poliziotti avessero scoperto qualcosa su di te?» gli chiese. «Cosa succederebbe se lo avessero detto a Rados?»
Era una bella domanda. Considerò la risposta, ma a lei non piacque la pausa.
«Ti ucciderà, vero? E se ci prova e fallisce, allora non torneresti qui per me, giusto?»
Victor rimase in silenzio.
«Allora devi darmi i proiettili» gli disse.
«No.»
«Dammeli.»
«Ci atterremo al piano. Tu farai la tua parte e io farò la mia» disse Victor.
«Non ti credo. Voglio uscire di qui. Ora.»
«Questo è impossibile. Dovrai aspettare fino a stasera.»
«Sono tutte stronzate. Non ti rivedrò più. Non appena uscirai da quella porta sarà finita, vero?»
«Ho un lavoro da finire e lo finirò. Tu mi aiuterai a farlo e sarai libera.»
Scosse la testa. «Non ti credo. Se non mi fai uscire di qui dirò a loro perché sei qui. Urlerò a squarciagola e allora dovrai riprenderti la pistola e portarci fuori di qui, perché se non lo farai dirò a loro quello che mi hai detto. Dirò a loro che hai intenzione di uccidere...»
In un istante era contro il muro e lui aveva la mano sulla sua gola. Era scioccata dalla velocità della sua trasformazione tanto quanto era spaventata dalla trasformazione in sé. Il suo sguardo era fisso su quello di lui.
«È davvero poco furbo minacciarmi» disse Victor. «Se c’è una cosa che non ti conviene è che io pensi che questa intesa non valga il rischio.»
Lei non disse nulla.
Lui disse: «Abbiamo un accordo e io mi atterrò a esso. Ti porterò fuori di qui. Hai la mia parola. Ma dopo che io avrò portato a termine il mio lavoro, faremo a modo mio e farai meglio ad attenerti alla tua parte dell’accordo. Non fare giochetti con me. Non minacciarmi. Non diventare il tipo di problema di cui non ho bisogno. Sono il peggior nemico che tu possa avere. Peggio di Rados e dei suoi gorilla, quindi fai la scelta intelligente e accetta l’offerta di essere la mia alleata, perché io sono il solo alleato che avrai.»
Di nuovo, rimase in silenzio, ma i suoi occhi dicevano più delle parole: rabbia, paura, odio, impotenza, ma anche comprensione e accettazione.
Le disse: «Tieni nascosta la pistola e non fare niente di stupido, stanotte Rados sarà morto e tu potrai riavere indietro la tua vita. Tutto ciò che devi fare è aspettare. Puoi farlo?»
Annuì. Quando tolse la mano vide che c’erano segni rosso pallido sulla sua gola (quattro dita e il suo pollice, visibili ed evidenti a tal punto da mostrare le pieghe e le linee della sua pelle). Si rese conto che non aveva risposto perché non poteva.
«Non avevo intenzione di stringerti così forte.»
«Sì che volevi» gli disse, la voce era bassa ma il tono era di pura rabbia. «E tu non puoi minacciare me. Di cosa mi stai minacciando? Che intenzione hai, farmi del male? Uccidermi? Te l’ho detto prima: se resto qui sono morta comunque. Mi farai più male di questa gentaglia?»
«Anche io te l’ho detto prima: sei una sopravvissuta. Non mollerai, quindi non cercare di fingere di non aver niente da perdere. Fin quando sei viva, c’è sempre una possibilità. Questo è il motivo per cui sei scappata in precedenza. Questo è il motivo per cui stai rischiando tutto per aiutarmi. Hai il mio stesso istinto di sopravvivenza. Fintanto che respiri continuerai a lottare.»
«Okay,» ammise «non voglio morire. Soprattutto non qui. Non così. Ma anche tu stai bluffando. Non puoi farmi niente. Se lo fai, ucciderai anche tutta la fiducia che hai ottenuto da Rados. Anche se la mia vita per lui non conta nulla, non si fiderà mai di qualcuno così sconsiderato. Siamo nel centro di Belgrado. Ci sono clienti nell’edificio e persone fuori sulla strada. Lui non vuole spari. Non vuole avere a che fare con un cadavere all’interno di una delle sue attività.»
Aveva ragione, ovviamente, ma non lo diede a vedere, anche se negare sarebbe stato inutile. «Ammettiamo che tu abbia ragione, stai tralasciando la cosa più importante.»
Lei non era più esitante perché sapeva di aver guadagnato il vantaggio. «E quale sarebbe?»
Indicò. «Quella è la porta.»
«Sì» disse lei.
«E io posso attraversarla quando voglio e non tornare più.»
Le sue labbra rimasero serrate.
Le disse: «Questo per me è un lavoro, niente di più. Se non uccido Rados, non verrò pagato. Per me significa molto denaro, ma è tutto. Attenderò semplicemente che mi arrivi il prossimo incarico. Andrò a sciare. Leggerò.»
Lei distolse lo sguardo.
«Sono stato abbastanza chiaro?»
«Sì» rispose. «Non preoccuparti.»
«Io non mi preoccupo mai.»
«Capisco benissimo cosa vuoi dirmi. Non ho scelta se non fare come vuoi tu. Sono una prigioniera qui, ma sono anche la tua prigioniera.»
«È un modo di vederla.»
Gli si avvicinò. «Spero che ti faccia piacere. Spero ti faccia sentire potente. È così?»
Victor non rispose.