13
Victor non conosceva Belgrado. Non conosceva i suoi quartieri e le sue stravaganze, ma conosceva i criminali.
Erano uguali in tutte le parti del mondo. Tutti volevano fare il massimo dei soldi con il minimo dello sforzo, come chiunque altro. I modi in cui raggiungevano tale obiettivo potevano distinguersi da quelli dei normali cittadini, ma il capitalismo clandestino era universale.
Aveva una certa esperienza nel porre le giuste domande, ma la parte difficile era trovare le giuste persone a cui porle.
Alla fine del primo giorno era passato dal non conoscere nessuno all’avere in testa una mezza dozzina di nomi. Alcuni gli erano costati denaro, altri gli erano stati forniti volontariamente in cambio di una sigaretta o di una storiella. Persone diverse avevano esigenze diverse.
Dopo la seconda giornata passata tra le strade aveva ridotto quella mezza dozzina di nomi a uno solo.
Victor trovò l’uomo in un vicolo sul retro di una tipica kafana, seduto su una cassa di birra ribaltata, che giocava a carte con un ragazzino di circa undici anni.
Mentre Victor si avvicinava, l’uomo con un cenno della mano mandò via il ragazzino, il quale non protestò ma si precipitò verso l’entrata aperta della cucina.
L’uomo non sembrava un faccendiere. Sembrava un nessuno. Indossava degli abiti che non erano della giusta misura e che avevano bisogno di una lavata. I capelli erano diradati e tagliati corti. Anche senza vedergli le unghie sporche, l’olfatto gli suggeriva che il tizio non si faceva la doccia da un bel pezzo. In ogni caso non pensava che la competenza fosse correlata alla pulizia. Alcuni degli uomini più brutali e affidabili che aveva conosciuto non si preoccupavano minimamente del loro aspetto e della loro igiene personale.
«Ho sentito che qualcuno ha chiesto di me» disse il faccendiere.
«Mi è stato detto che tu conosci tutto su Belgrado» rispose Victor. «Mi è stato detto che tu sai come funziona la città.»
Il faccendiere rispose con un sospiro. La sua faccia era pallida (carenza di ferro e scarsa esposizione al sole). Gli occhi erano iniettati di sangue. La pelle delle guance era segnata dall’acne e dai capillari rotti. Le labbra erano sottili e spaccate. Quando aprì la bocca Victor non fu sorpreso nel vedere che i denti dell’uomo erano ripugnanti.
«Se mi aiuti,» disse Victor «ti pagherò molto bene.»
«Cosa ti serve?»
«Molte cose, ma spero che tu mi possa aiutare con un paio.»
Il faccendiere lo guardò dalla testa ai piedi. «No, non posso aiutarti in niente.»
«Non c’è problema» disse Victor. «Porterò i miei soldi altrove.»
Il faccendiere scrollò le spalle come se non gli importasse e guardò Victor andarsene. Quando Victor era arrivato alla fine della strada sentì dietro di sé il rumore di passi affrettati.
Si voltò e vide il faccendiere che correva lungo il vicolo con le sue sudicie scarpe da ginnastica. L’uomo si muoveva con un’andatura goffa, quasi dolorante, era difficile dire se fosse il risultato di una ferita o una completa mancanza di forma fisica. Solo quando gli si avvicinò Victor fu certo che si trattasse della seconda ipotesi. Era una cosa che Victor non concepiva. Nessuno si aspetta che un’auto possa correre senza il giusto carburante e una manutenzione appropriata.
Il faccendiere si fermò ansimando. Sputò un filo di saliva sull’asfalto e si asciugò la fronte con il retro della mano.
«Stai per vomitare?» chiese Victor.
Il faccendiere scosse la testa, ma non riusciva a rispondere. Rovistò in una tasca per prendere una sigaretta che aveva rollato prima.
«Quella aiuterà» disse Victor.
Il faccendiere lo ignorò e raddrizzò la sigaretta artigianale piegata e sgualcita. La accese con un accendino usa e getta.
«Fa’ con calma» disse Victor.
«Posso aiutarti» disse il faccendiere dopo un paio di boccate profonde. Tossì mentre il fumo veniva espulso dalle narici. «Conosco la città. Qualsiasi cosa ti serva, posso procurartela.»
«Perché hai finto il contrario?»
Scrollò le spalle. «Nel caso fossi un poliziotto.»
«Ti sembro un poliziotto?»
Il faccendiere lo studiò come se lo vedesse per la prima volta. Scosse la testa, ma gli ci volle un po’, perché se Victor non era un poliziotto, il faccendiere non aveva idea di chi potesse essere. In ogni caso non lo chiese, il che era promettente.
«Come devo chiamarti?» chiese Victor.
«Hector. Tu?»
«Achilles.»
Il faccendiere non reagì. Victor non sapeva se Hector fosse il suo vero nome o uno falso, ma pensò che fosse uno scherzo divertente. Certa gente non ha il senso dell’umorismo. Hector gli offrì la mano. Victor non la strinse. La capsula di Petri piena di microorganismi, che senza dubbio erano attaccati al suo palmo, non incoraggiava Victor a rompere il suo protocollo per il vantaggio di migliorare i rapporti sociali.
Hector non sembrò offendersi. «Ti hanno seguito fin qui?»
Persino per un uomo con l’esperienza e le abilità di Victor, era impossibile averne la certezza, se era coinvolto un gruppo di osservatori professionisti, ma la sua riposta fu un semplice «No», perché il faccendiere non avrebbe mai fatto affari con qualcuno che fosse in qualche modo un professionista. La sua unica preoccupazione era evitare la polizia o altri criminali.
«Cosa ti serve?» chiese Hector.
«La stessa cosa di cui tutti hanno bisogno: amore.»
Il faccendiere disse: «Posso trovarti una donna. Nessun problema. Bionda? Tette. Qualsiasi cosa. O un ragazzo se preferisci. O anche entrambi. Io non giudico.»
«Stavo scherzando» disse Victor. «Voglio un’auto.»
Hector sembrava ammutolito.
«Sai cos’è un’auto, vero?»
Hector si scrollò di dosso lo stordimento e annuì. «Certo. Non puoi noleggiarne una?»
«Non voglio le scartoffie.»
Per questo lavoro Victor stava operando sotto la copertura di una storia pulita e voleva mantenerla tale per quanto possibile. Albert Bartha era un trentacinquenne residente a Taksony, una città a sud di Budapest. Era nato con un prolasso del cordone ombelicale che gli aveva causato una grave mancanza di ossigeno, con conseguenti problemi cognitivi a lungo termine. Aveva bisogno di cure giornaliere ventiquattro ore su ventiquattro, e non aveva mai avuto un lavoro, non era mai andato a scuola e non aveva mai posseduto un passaporto, finché Victor non ne aveva richiesto uno a suo nome utilizzando una copia del certificato di nascita di Albert, e dei documenti contraffatti. Victor aveva già usato l’identità di Albert, e lo avrebbe fatto di nuovo se fosse riuscito a completare questo lavoro senza complicazioni. Le identità reali erano difficili da trovare e ancora più difficili da mantenere, quindi preferiva non abbandonarle una volta utilizzate. Se fosse stata compromessa, in ogni caso, l’identità di Bartha sarebbe stata sepolta come era successo a molte altre nel corso degli anni.
Aveva un’identità di scorta, un piano di riserva, che aveva ritirato da un ufficio postale nel centro città, dopo esserselo inviato qualche giorno prima di lasciare Londra. Era il modo più sicuro di viaggiare con identità multiple. Victor aveva alcuni modi di limitare le probabilità di essere perquisito dalla sicurezza aeroportuale, ma non c’erano garanzie, ed essere preso con identità fasulle non era un rischio che valeva la pena di correre, soprattutto quando non aveva un reale documento di identificazione. Quello di scorta al momento si trovava nella sua borsa da viaggio, nel caso ne avesse avuto bisogno.
«Non sai come rubare un’auto?» chiese Hector.
«Vuoi i miei soldi o no?» disse Victor.
Il faccendiere alzò le spalle. «Certo, se vuoi un’auto, ti procurerò un’auto.»
«Sto anche cercando lavoro.»
Se prima Hector aveva pensato che fosse stupido, a quel punto pensò che fosse pazzo. «Pensi che sia in cerca di personale? E per cosa? Per mandare avanti il mio impero?»
«Non ho detto che lo sto cercando da te» precisò Victor. «Ma magari tu conosci della gente. Magari puoi far girare la voce.»
«Di che tipo di gente stai parlando?»
«Sai esattamente di che tipo di gente sto parlando.»
«Non assumono uomini in giacca e cravatta.»
«Quindi è vero che conosci quel tipo di gente.»
Il faccendiere non rispose.
«Trovami un’auto» disse Victor. «Qualcosa che nessuno verrà a cercare. E nel frattempo puoi fare delle ricerche per conto mio, per le quali riceverai una sostanziosa provvigione.»
«Quanto sostanziosa?»
«Abbastanza per farti riparare i denti, come minimo.»
«Che tipo di lavoro sai fare? Mi sembri un avvocato.»
«Sono un uomo dai molti talenti. Se c’è del lavoro, posso farlo. Sai esattamente di cosa sto parlando.»
Il faccendiere deglutì. Poi annuì. «Chiederò in giro. Vedrò che posso fare.»
Victor prese un rotolo di banconote. «Assicurati solo che tutti sappiano che non sono a buon mercato, ma valgo ogni singolo penny.»