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Come Banik aveva promesso, trovò il dossier su Rados ad attenderlo, quando si loggò all’account email che usava solo per le comunicazioni con il suo contatto dei SIS. Qualsiasi cosa avesse detto per scherzare, Victor sapeva che l’intelligence britannica era più che in grado di mantenere sicure le loro comunicazioni elettroniche. Diversamente non avrebbe mai rischiato di avere a che fare con loro. Le sue misure di sicurezza erano estese e richiedevano un cambiamento e un aggiornamento costante, il che gli costava molto tempo e denaro. Lo aiutavano a difendersi tanto dai suoi datori di lavoro quanto dai suoi nemici, perché l’uno poteva diventare l’altro.

Aveva una stanza al Covent Garden Hotel, dove studiava la documentazione relativa al suo bersaglio. Era un ampio documento elettronico che sintetizzava ogni cosa che i SIS sapevano su Rados, e conteneva fotografie e video, le liste dei suoi associati, le informazioni sulla famiglia, la storia della guerra, le attività criminali sospette, voci e dicerie. Le informazioni non erano mai troppe, ma tenendo conto che Rados era rimasto nascosto per sei anni, quasi tutto di quel dossier poteva essere considerato obsoleto, e del poco che ne restava, solo una piccola parte erano fatti concreti.

Rados aveva cinquant’anni ed era identificato come un uomo alto un metro e ottanta, del peso di settanta chilogrammi. I suoi occhi erano scuri come i suoi capelli corti e ricci. Ma a parte la sua età (precisata grazie a una copia del suo certificato di nascita), la descrizione non offriva nulla su cui poter fare affidamento. Victor sapeva meglio di chiunque altro come un esperto chirurgo plastico potesse alterare l’aspetto di una persona, perché lui stesso aveva cambiato fisionomia così tante volte, che ormai non aveva più una precisa immagine mentale del suo viso originale. Se chiudeva gli occhi e tentava di ricordare che aspetto avesse, vedeva solo un confuso susseguirsi di lineamenti indistinti e in continuo mutamento. La faccia riflessa nello specchio era una maschera che non poteva mai togliere.

Sei anni prima Rados era forte ma magro. Ora l’età e l’inattività avrebbero potuto aver strappato via quella forza. Avrebbe potuto essere esile e debole come conseguenza allo stress di vivere nascosto e sotto costante minaccia che i suoi crimini passati o recenti potessero raggiungerlo. Oppure avrebbe potuto essere diventato un ammasso gonfio di troppi piaceri e debolezze, avendo vissuto la bella vita per oltre mezzo decennio, come uno dei capi del crimine organizzato di Belgrado. Persino la sua altezza avrebbe potuto essere cambiata. Problemi di salute avrebbero potuto aver fatto ritirare la cartilagine delle sue vertebre o fatto piegare le sue gambe rendendolo più basso, oppure il metro e ottanta poteva essere impreciso a monte. I suoi capelli scuri, corti e ricci, avrebbero potuto essere diventati grigi o sbiaditi, rasati o diradati, o anche lunghi o lisci. I suoi occhi scuri avrebbero potuto essere celati da lenti a contatto.

Era sposato ed era padre di quattro figli quando l’SAS aveva preso d’assalto la sua roccaforte. La famiglia si era nascosta insieme a lui, e per quanto potesse sembrare impossibile, nessuno era più stato visto da allora.

Le presunte attività criminali di Rados erano principalmente narcotici ed estorsione. Non era un boss mafioso sei anni prima, ma secondo i SIS, aveva passato circa la metà dell’ultimo decennio espandendo i suoi affari, per diventare una delle persone di spicco più temute di Belgrado. Il che era un compito arduo per un uomo che presumibilmente viveva nascosto, ma l’impero di Rados era condotto dai suoi bracci destri, liberi di girovagare per le strade al suo posto, e al comando di un ragguardevole gruppo di criminali che avevano un’intensa e incrollabile fedeltà nei confronti del loro capo. Le informazioni su di loro erano abbozzate, essendo considerate dati aggiuntivi, ma dato che rappresentavano dei solidi legami con Rados, Victor voleva saperne di più.

Quando Victor ebbe finito con il dossier si diresse al salotto dell’hotel dalle pareti rivestite di legno, dove erano disposte poltrone antiche e divani a uso degli ospiti. Fece un cenno di saluto a un uomo in completo, sulla sessantina, e alla sua accompagnatrice femminile poco più che ventenne, e si versò un bourbon dall’honesty bar del salotto. Segnò il drink e il suo numero di stanza con una scrittura che non era la sua, e si sedette in un posto che gli permetteva, con la visione periferica, di vedere l’entrata. Scelse un giornale da un tavolino da caffè e lo aprì mentre considerava l’incarico offerto da Banik.

Rados era un bersaglio difficile, perché giustiziare il boss di una estesa rete criminale sarebbe stato pericoloso per molti versi, ed era anche un incarico complesso perché poteva essere verificato ben poco su Rados, incluso dove o come trovarlo. Per essere in grado di orchestrare un omicidio di successo, Victor avrebbe dovuto rintracciarlo, e nel frattempo tentare di scoprire il più possibile su di lui e sui suoi movimenti. Niente a cui Victor non fosse abituato. Chiunque fosse capace di premere un grilletto poteva essere un killer professionista, ma gli incarichi di Victor non erano mai così semplici. Se lo fossero stati non avrebbe potuto farsi pagare cifre esorbitanti per i suoi servizi.

Quelle cifre gli consentivano di alloggiare in alberghi come il Covent Garden, che probabilmente era il suo preferito a Londra. Questo era il suo secondo soggiorno. L’ultimo era stato cinque anni prima, e non avrebbe usato di nuovo quell’hotel per un simile arco di tempo, per essere sicuro che le registrazioni delle TVCC fossero state distrutte da molto e che una volta ritornato, qualsiasi membro dello staff che lavorasse ancora lì, si fosse dimenticato di lui. Altrimenti sarebbe stato difficile spiegare perché aveva un nome e una nazionalità diversi dalla visita precedente. Con altri hotel riteneva che quattro anni tra un soggiorno e l’altro potessero essere un intervallo sufficiente per evitare simili problemi. Ma con il Covent Garden voleva essere ancora più sicuro che nessuno lo riconoscesse. Non voleva dover affrontare quel genere di problema proprio lì. Era troppo affezionato al personale affabile.

Victor era a metà del suo secondo bourbon mentre leggeva della deludente sconfitta del West Ham di 1-0 in casa, quando una donna entrò nel salotto. L’uomo sessantenne la guardò con gli occhi spalancati mentre lei sceglieva un posto dove sedersi, e ricevette una gomitata sul braccio dalla sua accompagnatrice.

La donna aveva i capelli castani. A metà tra il biondo e il nero. Victor non sapeva se quella particolare tonalità avesse un nome, ma sapeva dove si posizionava nello spettro cromatico.

Era importante prendere nota di dettagli come questi. Per quanto riguardava la sua altezza: un metro e sessantacinque. I suoi arti erano magri ma tonici. Stimava che pesasse quarantacinque chilogrammi, slanciata, con un diciassette percento di massa grassa. Accettava di poter sbagliare sovrastimando o sottostimando di un punto percentuale, e di un chilo o due, ma non di più. La sua età era molto più difficile da definire. Il bar aveva le luci soffuse e il trucco, le creme, i trattamenti cosmetici e gli integratori miglioravano costantemente. Sembrava sulla trentina, ma supponeva che fosse un po’ più vecchia di lui. Lui sembrava più giovane di quanto la gente pensasse, anche prima che la sua faccia fosse tagliata, limata, riempita e rimodellata innumerevoli volte dallo stesso chirurgo che permette alle star di Hollywood di rimanere senza età. Il suo lavoro era stato fatto periodicamente durante l’ultimo decennio, non per vanità ma per essere sempre un passo avanti ai suoi nemici e alla sempre maggior presenza delle TVCC e della tecnologia di riconoscimento facciale.

Victor riconobbe le occhiate che lei gli lanciava, e le contraccambiò. Era sola e attraente. Non indossava alcuna fede nuziale, ma era abbronzata e anche attraverso la stanza i suoi occhi scrupolosi potevano scorgere una banda più chiara sulla pelle attorno al dito. Immaginava che fosse la dirigente di qualche azienda dal taglio del suo completo e dalle scarpe, che supponeva costassero più del suo intero abbigliamento.

Portò il suo drink dall’altra parte della stanza e disse: «Posso unirmi a te?»

Si prese il suo tempo per rispondere, fingendo di prendere una decisione. «Perché lo vorresti?»

«Perché preferisco parlare che leggere.»

Non si aspettava una risposta simile. «Non ti piacciono i giornali?»

«Le notizie sono deprimenti.»

«A me non sembri triste.»

«Quello è il bourbon.»

Gli fece un cenno. «Prego, siediti.»

«Grazie.» Si sedette di fronte. «Sono Leonard.»

«Abigail.»

Gli offrì la mano e lui la prese. Le sue unghie erano raffinate, molto curate. La sua pelle era fresca e così morbida che sembrava quasi priva di consistenza.

«Sono così lieta che tu abbia un nome normale, Leonard.»

«Perché?»

«Ho una teoria sulle persone con nomi insoliti o esotici. Nella mia esperienza sono tutti noiosi da morire.»

«Ti prego, spiegati» disse Victor. «Sono una specie di fan dei nomi.»

«Che cosa bizzarra di cui essere fan, Leonard. Secondo la mia teoria le persone che hanno nomi interessanti, non sono mai davvero interessanti, perché ogni volta che si presentano a qualcuno di nuovo ci sarà inevitabilmente una conversazione sul loro nome. ‘Oh, hai un nome proprio insolito, devo sapere da dove viene...’»

«Capisco» disse Victor. «Quindi hanno la stessa conversazione ogni volta che conoscono qualcuno, e come risultato non imparano mai l’arte della conversazione spicciola.»

«Il che è assolutamente un’arte secondo me.»

«Sarei in disaccordo, ma solo sulla definizione. La conversazione spicciola è più una scienza, perché può essere appresa e padroneggiata, mentre le arti dipendono solo da un talento innato.»

Esaminò la risposta. «Uhm. Tenendo conto del fatto che ritengo di aver sempre ragione, non amo essere contraddetta, ma in questo caso potresti non avere tutti i torti.»

«E avendo trovato questo compromesso, siamo in grado di continuare la nostra chiacchierata senza divagare in una discussione.»

«Possiamo sempre negoziare» disse Abigail con un sorriso.

«E sì, speravo che notassi quel tacito consenso alla conversazione, soprattutto perché sono completamente autodidatta.» Fece un ampio sorriso, soddisfatta di sé, e lui la assecondò a sua volta con un piccolo sorriso. «Ora non sei felice che i tuoi genitori non ti abbiano dato un nome interessante, Leonard?»

«Devo farti una confessione: Leonard non è il mio vero nome.»

«E il mio non è Abigail. Quindi abbiamo già qualcosa in comune. Oltre a essere entrambi bravi a chiacchierare.»

«Mi chiedo in che altro potremmo essere bravi entrambi.»

Le sue labbra si contrassero per un istante. «Spero che tu non abbia intenzione di diventare indecente, Leonard.»

«Non ancora, almeno.»

Si guardò le unghie. «Com’è stata la tua giornata? La mia è stata fastidiosamente noiosa, quindi spero che non sia stata una sofferenza per entrambi.»

«Ho lavorato fino a tardi.»

«No no, Leonard» disse. «Sai cosa si dice sul troppo lavoro senza divertimento.»

«Lo so, ma sto considerando una nuova offerta di lavoro.»

«Devi essere molto richiesto per avere un lusso simile. Cosa devi considerare? Suppongo che ti stiano offrendo una remunerazione adeguata.»

«Una remunerazione considerevole» disse Victor. «Ma un ex dipendente mi ha avvisato che la società non gioca pulito con i suoi collaboratori.»

Inarcò un sopracciglio. «E tu lo fai con i tuoi datori di lavoro?»

Scosse la testa. «Mai.»

Gli fece l’occhiolino. «Quindi non c’è problema, o sbaglio?»

«La società ipotizza che io accetti il lavoro. Pensano che non possa dire di no.»

Lei disse: «Ah, capisco. Quindi è solo il tuo ego che ti trattiene dal dire sì. È una motivazione sufficiente per rifiutare il lavoro?»

«Non mi piace essere prevedibile.»

«Ah, ma non lo sei in virtù del fatto che non sei sicuro se dire di sì. Ma loro credono comunque che tu sia prevedibile. È esattamente ciò che vuoi far credere loro.»

«Vuoi sapere cosa faccio?»

«Veramente no. Non mi piace conoscere qualcuno tramite il suo CV. Spero che tu sia qualcosa di più della tua professione, Leonard.»

«Credo di non saperlo con certezza nemmeno io.»

Sorrise leggermente, come se avesse teso una trappola in cui lui era finito spontaneamente. «Ti piace assumerti qualche rischio, Leonard?»

«No.»

«Questa sembra una risposta sorprendentemente onesta.»

Victor annuì. «Perché lo è.»

«Insinuerei che la maggior parte degli uomini, se non tutti, direbbe di sì quando questo genere di domanda gli viene posta da una donna sconosciuta che hanno approcciato in un hotel, non credi?»

«Mi è sembrato il momento giusto per essere sincero.»

«Mi piace il tuo modo di usare le parole, Leonard. Mi è capitato raramente di trovare un uomo sotto ai quaranta con un ricco vocabolario. Come mai non ti piace rischiare? No, non dirmelo: ti piace avere il controllo. O forse sarebbe più preciso dire che ti piace essere al comando

«Ora chi è l’indecente?»

«Non ho mai detto di essere una signora. È un problema per te?»

«Proprio il contrario.»

«Ottimo, quindi non avresti problemi se mi invitassi nella tua stanza.»

Valutò il suo sguardo fissandolo cautamente negli occhi.

«Andiamo nella tua stanza invece.»

Guardò i suoi con la stessa attenzione.

«Certo» disse dopo aver considerato la proposta per un momento, e si alzò. «Andiamo.»