3
Victor guardò Fletcher alzarsi e incamminarsi lungo il vagone. Non disse nient’altro, ma prima di voltarsi aveva assunto l’espressione severa che indica impegno e determinazione.
Aveva paura, ma la nascondeva camminando a testa alta con la schiena eretta. Lasciò la boccetta di antidolorifici sul tavolino. Non ne aveva bisogno.
Victor la raccolse e la fece scivolare nuovamente dentro a una tasca.
La carrozza ristorante si trovava a metà del treno. Fletcher l’avrebbe raggiunta in tre minuti. Calcolando un breve tempo di attesa per essere servito a quell’ora della notte, poi un momento per ordinare, la cottura e la consegna del cibo, Fletcher avrebbe dovuto soffocare fino a morire in non più di quindici minuti. Se entro venti minuti non ci fosse stato alcun annuncio per un dottore a bordo che si recasse alla carrozza ristorante, Victor sarebbe andato a scoprire il perché.
Il treno viaggiava ininterrottamente per tutta la notte, quindi non erano previste fermate per arrestarlo, e nemmeno una sosta di emergenza avrebbe potuto fare la differenza.
L’accettazione di Fletcher della sua sorte aveva lasciato a Victor una curiosa impressione. Era lieto che il lavoro fosse completato come specificato dal suo mandante, ma non capiva come. Sapeva abbastanza di psicologia, accettazione e fatalità, per comprendere che Fletcher si sarebbe ucciso perché credeva di non avere altra scelta, ma Victor non lo capiva. Il suo personale istinto di sopravvivenza era radicato così in profondità e con una tale forza, che non avrebbe potuto essere altrimenti. I civili passavano ogni giorno pensando al lavoro, alle famiglie, al sesso o al loro programma preferito in tv, mentre Victor doveva sopravvivere durante quei medesimi giorni, sapendo che sarebbe bastato un errore, una prospettiva non controllata o una decisione presa facendo prevalere la comodità sulla sicurezza. Sopravvivere era diventata un’abitudine indistruttibile molto tempo prima. Fletcher attraversò la porta più lontana e uscì dal vagone. Dieci minuti più tardi, la porta si riaprì ed entrò un uomo. C’era qualcosa di completamente sbagliato in quell’uomo.
Tutto di lui comunicava guai. Nella lista di Victor dei segnali rivelatori di una minaccia, l’uomo aveva la spunta su ogni singola voce. Aveva l’età giusta per essere efficacemente operativo; in questo caso sui quaranta. Era in forma; forte ma non corpulento. Indossava il tipo di vestiti che Victor avrebbe scelto: calzature con un’adeguata suola per correre e arrampicarsi, e degli abiti eleganti ma che non davano nell’occhio e di misura abbondante per facilitare i movimenti. Indossava pantaloni scuri e una giacca nera in pelle lunga fino all’altezza dei fianchi, sopra un maglione sottile di lana marrone. Victor non indossava guanti perché le sue mani erano rivestite di una soluzione in silicone, ma l’uomo li portava. Erano di color ardesia e sottili, in pelle elastica; forse di vitello. Non c’era alcuna ragione per indossarli su un treno ben riscaldato, che si era mosso dalla fredda banchina da quasi due ore.
L’uomo usò la mano sinistra per aprire la porta della carrozza, ma si poteva chiaramente desumere che non fosse mancino dal fatto che camminava ponendo il piede sinistro in avanti. Victor finse di non averlo notato, allo stesso modo l’uomo finse di non aver riconosciuto Victor. L’uomo non si rese conto di essere stato scoperto perché era in considerevole svantaggio: c’erano una dozzina di occupanti nella carrozza che richiedevano la sua attenzione. Nel momento in cui il suo sguardo trovò il bersaglio designato, Victor aveva già preso nota, valutato e tratto le sue conclusioni, mentre i suoi occhi guardavano altrove.
La prima risposta a qualsiasi minaccia è evitarla. Su un treno la fuga era impraticabile. Non impossibile, perché Victor avrebbe potuto premere l’allarme di emergenza e una volta che il treno si fosse fermato e le porte sbloccate, sarebbe potuto scomparire nella notte. Questo comunque, sarebbe stato impraticabile, perché il completo di Victor non offriva protezione contro l’inverno russo che imperversava fuori.
Inazione o attesa potevano in certi casi essere considerate la successiva opzione migliore. Una minaccia non sempre significava un rischio imminente. Le circostanze potevano cambiare. Una reazione prematura avrebbe potuto far perdere il vantaggio della sorpresa, che poteva essere meglio sfruttato in un momento futuro. L’uomo si avvicinò. I suoi capelli erano corti e brizzolati. Aveva una barba ordinata che era più scura rispetto ai capelli. La pelle nel mezzo era pallida, un altro segno di minaccia in un caucasico, perché significava che non vedeva molto la luce del sole, ossia che molto spesso operava di notte.
Con la distanza e i sedili tra di loro, l’uomo avrebbe dovuto avvicinarsi se aveva intenzione di usare una pistola, e avvicinarsi ancora di più se avesse avuto un coltello o un’arma da mischia da utilizzare. Affrontare un nemico con un’arma da fuoco era sempre complicato, tanto più quando Victor era disarmato, il che era la prassi. Aveva attraversato molti più metal detector a transito, e si era sottoposto a molte più perquisizioni corporali o con metal detector manuali da parte di guardie del corpo o dal personale di sicurezza, rispetto alla frequenza con cui aveva incontrato uomini armati. In quel caso Victor, aveva come via di fuga solo la porta alle sue spalle, e per raggiungerla avrebbe dovuto lasciare la copertura dei sedili e procedere in linea retta lungo il corridoio, per un luogo sicuro che non aveva praticamente alcuna possibilità di raggiungere, perché avrebbe dovuto invece scontrarsi con un assassino che molto difficilmente avrebbe mancato la sua schiena da quella distanza.
Ma Victor capì che l’assassino non avrebbe tentato di adempiere al suo compito lì e in quel momento. L’uomo sapeva come vestirsi quindi non era stupido, e solo un killer stupido colpirebbe nella carrozza affollata di un treno, monitorata dalle telecamere a circuito chiuso. Questa era una ricognizione. Stava localizzando il suo bersaglio.
L’uomo tentò di nasconderlo, ma le sue spalle si raddrizzarono per una frazione di secondo quando individuò Victor. Non cambiò la sua andatura, e continuò a camminare lungo il corridoio, muovendosi con passo quasi strascicato perché lo spazio tra i sedili era troppo stretto per un uomo della sua taglia, per passare senza inclinare i fianchi e le spalle.
Mentre si avvicinava, Victor rimase immobile, la sua testa inclinata e i suoi occhi rivolti al finestrino e al mondo buio al di fuori di esso, ma la sua concentrazione era sulla figura in movimento nella sua visione periferica e riflessa sul vetro del finestrino.
L’uomo lo sorpassò e Victor ascoltò i suoi passi finché non si confusero con i rumori tipici del treno e la porta si aprì con un sibilo all’estremità della carrozza.
Attendere in questo caso non poteva essere considerata una scelta saggia. Mancavano altre sette ore per raggiungere San Pietroburgo. Le circostanze non potevano migliorare durante quel lasso di tempo, ma solo peggiorare mentre il killer aveva un’ampia opportunità di mettere in pratica qualsiasi cosa avesse pianificato.
Victor attese per due minuti e poi si alzò e lo seguì.
Quando la fuga era impraticabile e l’inazione irragionevole, l’attacco era sempre preferibile.