18
La parola spedizione deriva da una fonte nautica, e sebbene ai giorni nostri sia utilizzata per le consegne via terra, in quel caso Zoca l’aveva utilizzata in senso letterale. Il porto di Belgrado aveva a che fare con il commercio proveniente da tutto il Mar Nero. Un container pieno di hashish o eroina dell’Afghanistan o del Kazakistan fu la prima possibilità che venne in mente a Victor.
Dagli stralci di conversazione che Victor era riuscito a decifrare, riuscì a capire che Zoca e i suoi uomini erano responsabili del controllo merci. Erano rilassati e non avevano fatto alcun riferimento alla necessità di andare al magazzino del porto, quindi doveva essere consegnata direttamente a loro nel deposito rottami. Il magazzino di per sé era usato come luogo di passaggio, niente di più: un luogo in cui il carico poteva venire smontato senza essere visti e messo su un furgone. Non aveva visto altro laggiù che indicasse uno scopo diverso dalla copertura.
Il nome di Rados non era stato menzionato, ma Victor pensava di aver colto, in alcune occasioni, la parola serba che significava capo. Non prevedeva di portare a termine il suo incarico quella sera, ma c’era sempre una possibilità che Rados si presentasse lì per supervisionare la consegna della spedizione. In tal caso, Victor sarebbe stato più che felice di approfittare della situazione.
C’era un detto nelle forze armate: nessun piano sopravvive al contatto con il nemico. Victor viveva secondo gli stessi princìpi. Era impossibile controllare il mondo che lo circondava. La chiave stava nell’abilità di improvvisare. Affidarsi al completamento di un piano aumentava, nel migliore dei casi, le probabilità di non portare a termine un incarico. Nel peggiore dei casi, lo avrebbe fatto uccidere.
Poco dopo le 2:00 comparve un altro veicolo. Era un autocarro senza rimorchio. Due uomini uscirono dalla cabina mentre un altro rimase dietro al volante con il motore acceso. Si stava preparando per uscire di nuovo. Uno dei ragazzi scesi andò dentro all’ufficio.
All’inizio sembrava che stesse per parlare con Zoca, invece riapparve un momento dopo con un carrello a due ruote, di quelli utilizzati dagli uomini delle consegne, sul quale il secondo uomo aveva accatastato tre confezioni di acqua minerale avvolte nella pellicola, prese dalla cabina del camion. Il primo tizio lo spinse vicino all’ufficio e lo lasciò lì, in seguito entrambi risalirono sulla cabina.
A quel punto Zoca e i suoi uomini uscirono in fila dall’ufficio. I capelli di Zoca di un color bianco osso, tagliati corti e pettinati in avanti. I capelli erano così bianchi e la pelle così pallida che era difficile capire in quale punto si separassero. Le sopracciglia erano due strisce sottili di nero puro. Era magro, con zigomi e mento prominenti, ma in forma. Sembrava vecchio e giovane allo stesso tempo. Irradiava pericolo.
Il rumore del motore rombante dell’autocarro rendeva inutile il microfono parabolico, ma Victor lesse sulle labbra di Zoca le parole ‘solo sette questa volta’. Alcuni dei suoi uomini scrollarono le spalle o si grattarono mentre consideravano il fatto. Tutti cominciarono a fumare mentre guardavano l’autocarro compiere una lunga inversione a tre tempi, e uscire dal deposito rottami.
Ci impiegò così tanto che per quando se ne fu andato le sigarette erano terminate e i fumatori stavano tornando dentro. Uno di loro usò prima il bagno chimico.
Con i tre dell’autocarro, Zoca aveva otto uomini sotto il suo comando. Un numero considerevole, anche per un carico di valore. Eppure, nessuna traccia di Rados, quindi qualsiasi fosse il valore della spedizione non valeva la sua presenza. Forse perché restava fuori da ogni parte concreta della sua attività, o forse perché Zoca era più che competente, oppure, magari, questa particolare spedizione era di routine e non era degna della sua attenzione. Qualsiasi fosse il caso, considerando il numero di scagnozzi presenti, la partita doveva essere di valore. La sua perdita sarebbe stata ingente. In tal caso sarebbe stato necessario coinvolgere Rados. Se il suo braccio destro avesse fallito con tutti quegli uomini, di chi avrebbe potuto fidarsi?
Un rumore fece voltare Victor, e non fu sorpreso di vedere un gatto che si trascinava da sotto uno dei mucchi di spazzatura. Non sapeva molto sui gatti ma sicuramente era un randagio. Si aspettava che corresse via da lui, ma sembrava felice di gironzolare vicino ai suoi piedi. Dopo un momento si accorse che stava tentando di attirare la sua attenzione, così si acquattò e gli offrì il retro della mano per strofinarsi. Fece le fusa.
«Come va la caccia?» sussurrò, sebbene conoscesse la risposta. Un gatto così magro non doveva avere molto successo nel prendere topi o ratti, o forse non gli piaceva il loro sapore. Non aveva cibo da dargli.
Spostò la mano perché, anche se il gatto non aveva il tempo o l’inclinazione per mantenere il suo pelo pulito, non voleva cospargerlo di silicone nel caso in cui fosse tossico per gli animali. Non voleva rendere la sua vita ancora più difficile.
Il gatto inarcò la schiena contro la sua tibia e si allontanò.
L’autocarro tornò alle 3:00, questa volta trainando un rimorchio, sul quale era appoggiato un container. Zoca e gli altri dentro alla baracca uscirono uno dietro l’altro per attenderlo. Victor non poteva esserne certo da ciò che aveva sentito con il microfono parabolico.
Pensò all’elevato numero di uomini e bottiglie d’acqua e si rese conto che il suo piano non avrebbe funzionato, perché a quel punto sapeva quale tipo di merce si trovava dentro al container.
Non era droga.