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Victor detestava incontrare persone sconosciute in luoghi a lui non familiari, nella stessa misura in cui amava essere in anticipo. Era un modo perfetto per cadere in un’imboscata, il che capita a tutti prima o poi. Il rischio era inevitabile quando si aveva a che fare con gente come Hector: criminali che cercano sempre di fare più soldi o ottenere favori. L’intimidazione e le minacce non erano utili in questo genere di situazioni. Senza permettere che le persone capissero di lui più di quanto volesse, era difficile fare in modo che gli svariati Hector di questo mondo lo temessero più delle persone che invece capivano.

Il pagamento in denaro era un’arma a doppio taglio. Più elargiva, più mostrava di essere un bersaglio di valore.

Ma esistevano pochi modi per conoscere la malavita di una città senza far uso di un contatto come Hector, il quale aveva ragione quando diceva che alle reti criminali organizzate non piacevano gli estranei. Mettendo da parte i pregiudizi razziali, regionali e nazionali, i forestieri potevano essere poliziotti sotto copertura o rivali.

Victor poteva tentare di integrarsi nella città senza sosta per settimane, parlare, ascoltare e apprendere; sviluppare conoscenze e comprendere meglio come funzionava la sua malavita, ma sarebbe rimasto comunque un estraneo di cui diffidare. Non avrebbe mai potuto acquisire ciò che aveva Hector. Inoltre, restare in una città così a lungo, avrebbe significato decretare la propria condanna a morte. Doveva continuare a muoversi, che stesse lavorando o meno.

Victor stava aspettando Hector già da un’ora, quando lo vide comparire all’ora stabilita. Indossava gli stessi abiti trasandati, ma erano nascosti sotto una specie di elegante giubbotto in pelle. Si stava sforzando a suo modo.

Hector aspirava dalla sua sigaretta elettronica, mentre se ne stava sul marciapiede fuori dal ristorante. Era nervoso e non riusciva a stare fermo. Se fosse stato spaventato da Victor, allora avrebbe potuto significare che aveva preso sul serio la sua minaccia, ma al tempo stesso poteva anche voler dire che lo stava per incastrare. In quel momento non era possibile sapere quale delle due opzioni fosse la più probabile.

Nessuno raggiunse Hector, e Victor lo aveva atteso abbastanza a lungo da sapere che nessuno era stato piazzato sul posto in anticipo, quindi uscì dall’ombra e avanzò lungo la strada che conduceva a lui. Di nuovo Hector non si accorse di Victor finché non gli fu molto vicino. Il successo di Hector come intermediario doveva provenire dai suoi contatti (mettendo insieme le persone giuste; venditori e compratori; servizi e clienti) perché la sua intelligenza da strada era pressoché inesistente. Come si fosse integrato nella malavita per così tanto tempo senza restarne vittima era un mistero.

«Sei in ritardo» disse Hector, riponendo il dispositivo nella tasca interna della sua giacca.

Victor non si difese per il suo evidente ritardo.

«Dove hai parcheggiato?» chiese Hector.

«Prenderemo la tua auto.»

«Perché?»

«Perché lo dico io.»

Hector non discusse. Scrollò le spalle come se non importasse, e fece cenno a Victor di seguirlo. La macchina di Hector era vicina, parcheggiata di traverso contro il marciapiede, in una tranquilla strada laterale. Si trattava di un vecchio catorcio.

Hector la aprì. «Vuoi guidare tu?»

Victor scosse la testa.

«Vuoi che ti faccia da autista?»

Victor non reagì al sarcasmo. Salì sul sedile posteriore.

«Andiamo.»

Hector aveva detto che ci avrebbero impiegato dieci minuti, ed era la verità. Dopo aver superato uno spartitraffico vicino al porto, Hector guidò fino a una strada buia costeggiata da proprietà industriali e commerciali (Victor intravide una ditta di immagazzinamento, una società che noleggiava furgoni e una fabbrica di solventi), rallentò mentre si avvicinavano a un rivenditore di auto usate e al negozio di ricambi che gli stava accanto.

Un cancello basso bloccava l’ingresso, quindi Hector parcheggiò nella strada adiacente. Victor non vide nessuno in giro, ma le luci del negozio di ricambi erano accese, e filtravano attraverso le persiane di una finestra di vetro satinato.

«Ci siamo» disse Hector.

Victor uscì dall’auto per primo. Non era nella sua natura restare intrappolato all’interno di uno spazio ristretto con un potenziale nemico fuori, per quanto debole fosse. Hector stava uscendo lentamente dal sedile del guidatore, ma solo a causa della fatica inusuale.

Victor tirò fuori dalla cintura la sua Five-seveN. Hector indietreggiò alla vista dell’arma.

«Che ci fai con quella?»

«Chiavi dell’auto» disse Victor.

Hector andò nel panico, aveva il fiato corto, ma gliele consegnò. Victor lasciò cadere la pistola nel vano della portiera del guidatore, e chiuse l’auto.

Vicino al fiume e con solo edifici bassi come protezione, il vento forte e violento. La violenza del vento era sempre ben accetta per Victor, significava che qualsiasi cecchino pronto a ucciderlo avrebbe dovuto sparare un colpo molto più difficile. Lasciò che Hector facesse strada attraverso il parcheggio delle auto usate, verso il punto in cui si trovava il negozio di ricambi, al di là di un divario simbolico composto da bassi paletti di legno dipinti di bianco.

Victor notò i due veicoli parcheggiati in prima fila. Entrambi erano delle Range Rover impeccabili, con i finestrini oscurati.

Dai sei agli otto uomini, disse Victor tra sé e sé.

Uno dei quali, mentre si avvicinavano, apparve da una porta sul retro, avendoli sicuramente visti attraverso una finestra o da una telecamera TVCC. Non sarebbe stato in grado di sentirli arrivare con quel vento.

L’uomo era vestito con dei jeans neri e una camicia in denim blu. Sembrava tenace e competente, e Hector si irrigidì nel vederlo. L’uomo con la camicia in denim riconobbe subito Hector e rimase confuso nel vedere Victor. Non si scambiarono alcuna parola, ma l’uomo fece cenno a Victor di alzare le braccia per essere perquisito. Lo fece con competenza, se non addirittura a un livello professionale.

Victor non sarebbe riuscito a nascondere una pistola alla perquisizione, questo era il motivo per cui era disarmato, nonostante non sapesse a cosa stesse andando incontro. Non voleva che gli venisse confiscata la sua unica pistola, come sarebbe accaduto se l’avesse portata con sé. Meglio averla vicina che perderla completamente.

Il tizio con la camicia in denim aprì la porta con una spinta e fece cenno a Victor e Hector di entrare. Lo assecondarono, ma Victor lasciò che Hector andasse per primo. Si incamminarono lungo un breve corridoio che odorava di benzina e fumi di vernice, e proseguirono fuori per raggiungere il piano del negozio, dove tre uomini erano in attesa. Victor poteva dedurre dalla postura che due di loro fossero dei criminali incalliti. Erano soldati del crimine organizzato: sicari; gorilla. Erano lì come dimostrazione di forza e per fornire protezione all’uomo che Victor doveva incontrare. Sperava di fare qualche progresso nella caccia a Rados, ma era disposto a perdere tempo quella notte, nell’improbabile caso in cui Hector conoscesse la gente giusta. Era un azzardo, ma non un terno al lotto.

Victor si aspettava che l’incontro di quella notte sarebbe avvenuto con un faccendiere con dei contatti migliori, o magari con il secondo, di basso livello, di una banda di medie dimensioni. Se la fortuna fosse stata dalla sua parte, quella persona avrebbe avuto delle connessioni con l’organizzazione di Rados, o perlomeno avrebbe conosciuto qualcuno che le avesse. Hector sembrava conoscere la malavita di Belgrado abbastanza bene per fornirgli un simile anello di congiunzione.

In mezzo ai due gorilla c’era un uomo di spalle rispetto a Victor. La presenza di tre scagnozzi, la testa inclinata e le spalle ricurve di Hector comunicavano sicuramente due cose: rispetto e paura. Quell’uomo non era un faccendiere né tantomeno un secondo di basso livello.

L’uomo si girò mentre si avvicinavano.

«Quindi tu sei quello che vuole essere assunto?» disse Milan Rados.