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Banik voleva incontrarlo. Chiedeva un altro faccia a faccia.
Era tutt’altro che ideale interrompere i preparativi durante quella fase, ma Victor stava elaborando un piano e Rados al momento non aveva bisogno di lui. Si stava ancora riprendendo dalla ferita da proiettile. Victor era ancora a riposo.
Non sapeva cosa volesse Banik, ma c’erano solo due argomenti che potevano giustificare un altro incontro. O c’erano stati degli sviluppi sull’incarico di Rados che non potevano essere trasmessi digitalmente, oppure Banik aveva scoperto qualcosa di nuovo relativamente alla taglia sulla testa di Victor. Si figurava qualche nuova informazione raccolta dal telefono o dal portatile di Leonard Fletcher, o magari ricostruendo i suoi movimenti; forse da qualche traccia elettronica che si era lasciato dietro prima che Victor lo convincesse a uccidersi.
Prese un volo dalla Serbia all’Ungheria, e da lì un treno lo portò in Austria, dove si fece trasportare da un taxi in Germania attraversando il confine, prima che un altro treno lo riportasse in Austria, per salire su un volo destinato alla Scozia e successivamente un volo interno attraverso la Gran Bretagna lo portò a Londra. In totale era stato in viaggio per quasi ventiquattro ore, ma quando arrivò all’aeroporto di Stansted era quasi certo che nessuno lo stesse seguendo.
Era stanco per il viaggio, ma gli aeroporti lo mettevano sempre in uno stato di allerta. Riuscì a passare senza alcun intoppo e scelse un hotel in modo casuale prendendo una stanza al secondo piano, dove si addormentò pochi minuti dopo aver bloccato la porta alle sue spalle.
Quando si svegliò, inviò a Banik un messaggio in codice indicandogli un orario e un posto per incontrarsi. Victor aveva scelto sia l’ora che il luogo; non era in vena di tollerare un altro pretesto di Banik per guardare la sua squadra in orario lavorativo.
Un club a nord di Londra ospitava un festival di musica romena. Victor in giornata acquistò un paio di biglietti pagandoli in contanti all’ingresso, ricevendo in cambio due braccialetti di plastica che consentivano l’ingresso e l’uscita.
Nel pomeriggio fece una ricognizione del club e dell’area circostante, pronto per incontrare Banik la sera.
Il club era costituito da una piccola sala con un palco su un lato e un bar sull’altro, ma le persone che si esibivano erano dei veri professionisti. Victor era in anticipo, come da protocollo, e ascoltò l’esibizione di una band grintosa e di talento. Senza guardare, perché con le orecchie piene di musica rock (la band aveva due batteristi) poteva contare solo sui suoi occhi per accorgersi di potenziali minacce. Era qualcosa che non amava fare, ma in virtù del compromesso ne valeva la pena. I frequentatori del club erano quasi tutti romeni e quasi tutti sotto i venticinque anni. Qualsiasi professionista sarebbe spiccato in modo evidente, come Victor, soprattutto un killer tedesco con i capelli brizzolati.
Le band erano tanto popolari quanto talentuose, e la folla, inizialmente controllata, verso la fine dello spettacolo era letteralmente impazzita.
Uno spettacolo che Victor ascoltò per intero, perché Banik non si presentò.
Il traffico a Londra era infernale, e sebbene avesse un’estesa rete di trasporti pubblici, poteva volerci comunque un’eternità per attraversare la città: scioperi della metropolitana, problemi di trasmissione e suicidi potevano aver fatto tardare il contatto di Victor.
Quando fu chiaro che Banik non sarebbe arrivato, Victor attese. Attese perché il protocollo diceva di andarsene immediatamente. Se quella era una trappola, non si sarebbe comportato in modo prevedibile. Anche se non fosse riuscito a riconoscerli da un miglio di distanza come pensava, il club affollato era un pessimo posto per chiunque volesse agire contro di lui. Se si fosse trattato di una squadra, sarebbero stati fuori. Avrebbero agito quando si fosse trovato sulla strada, vuota a quell’ora della notte a eccezione dei ragazzi romeni che fumavano sul marciapiede.
Attese perché aveva adottato la precauzione di procurarsi un’uscita protetta. Attese fino a quando, finito il suo spettacolo, la band ritornò per un bis molto apprezzato. Attese fino a quando il bis fu terminato e i musicisti lasciarono il palco per l’ultima volta. Attese fino a quando la folla cominciò a uscire dal club formando una fila, e lui scivolò via tra loro.
Si distingueva dagli altri, ma nessun cecchino poteva sperare di andare a segno e nessuna squadra di cattura poteva avvicinarglisi. Non vide traccia né dell’uno né dell’altra, ma restò in mezzo alla mole di romeni fino a quando non si trovò alla stazione metropolitana più vicina, dove attese ancora per vedere se qualcuno lo stesse seguendo.
Da quello che poteva vedere non c’era nessuno, ma passò due ore in metropolitana, scambiando treni e tornando nel senso inverso, aspettando sulle piattaforme e perlustrando le stazioni prima di dirigersi vesto Heathrow per prendere il primo volo fuori dal Paese.
Non tornò all’hotel. Non controllò i suoi messaggi. Passò un altro giorno in viaggio (treni, voli e taxi), prima di tornare a Belgrado. Tornare era un rischio, ovviamente, ma le probabilità che ci fosse un messaggio di Banik con una spiegazione innocente erano le stesse di un reale pericolo. Victor non era pronto ad abbandonare i suoi preparativi senza una buona ragione dopo aver fatto così tanti progressi.
Era tardo pomeriggio quando sbarcò dall’aereo e attraversò l’aeroporto. Non vide nessuno che facesse sussultare il suo radar per le minacce, fin quando non raggiunse l’uscita.
A Victor non piacevano le sorprese. Erano poche le cose che detestava di più. Aveva bisogno di avere il controllo per sopravvivere. Una sorpresa dimostrava la sua incapacità di organizzare ogni aspetto della sua esistenza. Sapeva che era impossibile, ovviamente, ma meno riusciva a controllare più il rischio aumentava. Avvistò la donna e lesse il suo cartello dall’altro lato del corridoio, il che gli fornì un po’ di tempo per elaborare una reazione.
La donna risaltava perché la sua pelle aveva una tonalità marrone scuro e i suoi tratti erano subsahariani. Per quanto Victor potesse vedere, era l’unica persona non bianca all’interno del terminal. L’unica popolazione rilevante di immigrati in Serbia proveniva dalla Cina, e persino loro costituivano una percentuale irrisoria della popolazione.
Inoltre, saltava all’occhio perché teneva un cartello davanti allo stomaco.
Era una lavagnetta bianca formato A4 con un nome scritto con uno spesso pennarello nero.
‘Leonard Fletcher.’