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Un taxi lasciò Victor a circa un chilometro di distanza dalla sua destinazione, perché Victor voleva che il tassista sapesse dove si stava dirigendo tanto quanto voleva arrivarci senza un’adeguata perlustrazione. Faceva freddo e c’era umidità, e il taxi era caldo e comodo, ma alcune regole non potevano mai essere infrante.

Victor non si fidava di nessuno. Si aspettava di essere tradito. Anche quando la logica suggeriva che un tradimento era improbabile, la sua cautela persisteva, alimentata dal protocollo, dalla necessità, e dalla consapevolezza che nessuno era affidabile. Un uomo gentile una volta gli aveva detto di non presumere mai cattiveria laddove era sufficiente la stupidità. Quella filosofia, come molte altre, aveva sicuramente senso nel mondo normale, ma avrebbe fatto uccidere un killer professionista in tempo record.

Georg, come Hector, era una faccendiera della malavita. Ma mentre Hector era una specie di intermediario, la specialità di Georg era il traffico di materiale illecito. Victor aveva avuto a che fare con lei per la prima volta quando un incarico particolare richiedeva degli esplosivi che solo lei poteva procurare. La sua protezione consisteva in un paio di scagnozzi con le pistole, ma se Victor non fosse stato presente nel momento in cui la banda del suo ex partner in affari le aveva teso un’imboscata, ora sarebbe morta. Era convinto che non solo si sarebbe ricordata del suo debito con lui, ma che avrebbe richiamato alla memoria anche il fatto che quella notte lui era stato l’unico a uscirne illeso. Anche se vedeva Victor come una seria minaccia (il che aveva senso, perché lo era), non aveva né le risorse né la stupidità per tentare di neutralizzarlo. Fare ciò che le aveva richiesto era un modo più semplice ed efficace di rimanere in vita.

In ogni caso c’era un assassino tedesco là fuori che lo aveva trovato una volta, e un numero indefinito di altri soggetti che lo cercavano per ottenere la grossa ricompensa, offerta in cambio della sua vita. ‘Il più grande per cui abbia mai gareggiato,’ aveva detto Abigail. Magari qualcuno aveva scoperto la sua connessione con Georg. Le probabilità erano remote, ma la cautela non lo aveva ancora ucciso.

Il quartiere era silenzioso. Era un’area industriale lungo il fiume. Tra una discarica e una palestra di arti marziali, c’era una striscia di terreni abbandonati custoditi da un’alta rete metallica, sormontata da una spirale di filo spinato. Una lunga catena pesante era piegata tra due montanti, creando una specie di cancello. Victor la scavalcò. Container di trasporto abbandonati, vecchie ruote e auto dalla carrozzeria arrugginita, formavano uno scenario irregolare che si stagliava contro il cielo scuro.

Il cemento spaccato sul terreno, faceva pensare a qualche edificio demolito da tempo, ma il territorio era stato lasciato a marcire, utilizzato come discarica e come posto di ritrovo per drogati e senzatetto. Victor stava attento a dove metteva i piedi, evitando bottiglie rotte e sporadiche siringhe. In quel momento, nel gelido inverno e senza un riparo, sembrava non esserci alcuna traccia di esseri umani.

Questo era il motivo per cui lo aveva scelto. Il vento glaciale che soffiava dal fiume avrebbe rovinato qualsiasi dose di un drogato. In ogni caso se la prese comoda. Magari quelli che dormivano all’aperto, o quelli che cercavano la beata via di fuga che solo i narcotici potevano dare, erano assenti, ma il freddo non avrebbe dissuaso Victor dal colpire un obiettivo, quindi non avrebbe dissuaso qualcuno come lui.

Ostacolato dalla mancanza di luce naturale e con un vento ululante, si muoveva lentamente, senza la possibilità di contare né sui suoi occhi né sulle sue orecchie per localizzare un nemico fino a quando non si fosse trovato nelle immediate vicinanze. Girò intorno ai container abbandonati e alle auto smantellate, controllando i punti migliori per un’imboscata. Controllò anche i peggiori, perché non poteva sapere chi ci fosse ad attenderlo, ed essere uccisi per aver sopravvalutato le capacità di un nemico era un oltraggio che non poteva sopportare.

Quando fu convinto di essere solo (era impossibile esserne certo) trovò la ruota liscia e logora che prima, quello stesso giorno, aveva inciso con la lettera G, dopo aver saputo che la spedizione era imminente. Era isolata, ma vicina a un ammasso di altre ruote che erano state abbandonate lì. La ruota giaceva a filo del terreno, un buon osservatore avrebbe potuto notare la G, ma le probabilità che una persona del genere fosse passata di lì nelle ultime ore erano praticamente nulle.

Controllò che non fosse stata manomessa, ma non c’era nulla che mancasse. Il corriere l’aveva riposta nel punto corretto, come da istruzioni di Victor. Dietro il vicino cumulo di ruote c’era una trave di legno marcio lunga circa due metri. Si trovava lì perché Victor ce l’aveva messa dopo aver inciso la G. La usò in quel momento come leva per sollevare la ruota e capovolgerla mantenendo le distanze.

Indietreggiò e attese dieci secondi, nel caso in cui fossero stati collocati degli esplosivi a scoppio ritardato sotto la ruota, che si sarebbero innescati con un sensore di pressione. Non esplose nessuna bomba, quindi Victor lasciò cadere la trave e si avvicinò.

Sotto al punto in cui era stata posata la ruota c’era un buco che lui stesso aveva scavato. Il terriccio roccioso era stato depositato lontano per non attirare l’attenzione. Il buco era sufficientemente largo e profondo da poter contenere una valigia di media grandezza, e fu esattamente ciò che trovò.

La valigia era una Rimowa rigida, fatta di una lega di alluminio e magnesio con scanalature, e aveva ancora attaccati il cartellino del prezzo e un set di due chiavi. La sollevò dal buco. Anche vuota, l’involucro da solo pesava tre chili. Victor stimò che il contenuto ne pesasse quasi venti in più.

Usò il manico telescopico per trascinarla fuori dall’ombra dei container, lieto che la Rimowa avesse delle grosse ruote multidirezionali per attraversare il terreno irregolare, così da non doverla sollevare. La distese sul suolo e la esaminò con la vista e con il tatto per escludere qualsiasi segno di manomissione. In seguito, usò la sequenza di quattro numeri che gli era stata fornita per sbloccare le due serrature a combinazione e aprire la valigia. La serratura a leva non era stata innescata. Georg non era riuscita a procurarsi la sua prima scelta, e nemmeno la seconda o la terza, ma aveva fatto in modo di recapitargli un fucile da cecchino. Era un fucile Nornico EM351, la versione cinese del Dragunov russo che aveva richiesto. Pensò che si avvicinava abbastanza. La copia cinese sarebbe stata sufficiente per i suoi scopi. Erano entrambi disegnati per un tiratore scelto da campo di battaglia, non per un cecchino urbano, ma a Victor serviva un fucile che fosse in grado di uccidere fino a un massimo di cinquecento metri di distanza, e quell’arma poteva farlo.

La valigia conteneva anche un microfono parabolico e una valigetta più piccola in policarbonato nero. Al suo interno si trovava una pistola incastonata nella gommapiuma. L’arma era una Five-seveN prodotta dalla belga FN Herstal. Si avvicinava incredibilmente all’arma da fuoco preferita di Victor. Le circostanze solitamente dettavano quale arma utilizzare, ma la Five-seveN sarebbe stata la sua scelta per la maggior parte delle situazioni. Sparava un insolito colpo da 5,7 mm, che era un piccolo calibro comparato a quello delle cartucce delle pistole più comuni, che avevano quasi il doppio del diametro, ma le dimensioni ridotte e la considerevole carica della polvere da sparo, combinate insieme, creavano un proiettile supersonico, di portata, precisione e potere d’arresto eccezionali.

Controllò il caricatore, in qualche modo fu deluso nello scoprire che era da dieci colpi al posto dei venti che una Five-seveN poteva contenere, ma il caricatore più grande era disponibile solo per le forze dell’ordine o per acquisti militari, anche nelle nazioni in cui il possesso di armi era legale. Ma Georg lo aveva omaggiato con un secondo caricatore. Dieci nella pistola e dieci di riserva erano comunque un bel numero di munizioni quando era necessario un solo proiettile per uccidere.

Sparsi nella Rimowa c’erano anche un silenziatore, insieme a scatole di munizioni da 5,7 mm subsoniche e standard.

L’arma e le munizioni avevano un costo proibitivo, e di conseguenza erano rare. Le armi rare erano difficili da ottenere e da trafficare. Victor dubitava che Georg avesse in giro per casa articoli del genere. Doveva essersi data molto da fare per procurarli a Victor. Riconobbe il gesto. Anche se non lo aveva detto al telefono, la Five-seveN lo diceva per lei: ‘Grazie per avermi salvato la vita.’

Sorrise. ‘Prego.’