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La Bestia era all’altezza del suo nome. Era un mostro, la faccia ricordava quella dell’uomo di Neanderthal. Il suo cranio era una palla da bowling fatta di ossa spesse, con una fronte spiovente e delle sopracciglia notevoli. Le sue mascelle protendevano sotto le labbra gonfie, ed erano ricoperte da una barba corta. Le sue orecchie erano cavolfiori avvizziti, la cartilagine era così deforme a causa delle contusioni che il buco non era visibile. Aveva più peli sulla schiena che in testa. La sua pancia era enorme, ma le sue spalle erano larghe e possenti. Le nocche di entrambe le mani erano una catena montuosa di protuberanze ossee, indurite e inspessite dall’uso ripetuto. La sua faccia era resa rossa dalla pressione sanguigna: nessun cuore umano era progettato per pompare sangue attraverso un corpo di centoquaranta chili. Sebbene sembrasse avere un buon equilibrio, ed essere a proprio agio sui suoi piedi, la sua mole gli avrebbe impedito di muoversi rapidamente.
Victor guardò l’uomo chiamato Bestia oltrepassare l’ingresso dall’altro lato della folla, era una testa più alto di qualsiasi altro uomo di Rados. A giudicare dalla loro reazione, era una specie di celebrità. Gli uomini in giacca e cravatta reagirono con un mix incerto di paura e baldoria.
«Combatte solo con le nuove reclute,» cominciò Rados «perché nessuno vuole mai battersi con lui.»
«Non mi sorprende» disse Victor.
«Non fa esattamente parte della mia organizzazione. È più un intrattenimento per i miei uomini, e per i criminali ben vestiti che governano questa città da sale riunioni e sedie girevoli.»
Victor valutò la Bestia. Non aveva senso aspettare l’inizio del combattimento per iniziare a concepire una strategia. A quel punto sarebbe stato troppo tardi. Doveva sfruttare al meglio ogni secondo di anticipo che aveva. I punti di forza della Bestia erano ovvi, ma Victor era interessato ai suoi punti deboli. Avrebbe avuto scarsa agilità e resistenza. La seconda non avrebbe avuto importanza all’inizio, ma sarebbe diventata evidente con il procedere del combattimento. Sapere che il mostro si sarebbe stancato velocemente non faceva differenza se Victor non fosse riuscito a difendersi dall’attacco violento iniziale. L’agilità della Bestia, o la mancanza di essa, era la debolezza più importante. Nessun uomo così pesante poteva essere veloce, tranne che in una linea retta. Una volta in movimento, la forza incredibile generata da tutta quella massa, e alimentata da tutta quella potenza, sarebbe stata troppo grande da controllare. L’uomo Bestia sarebbe stato un inarrestabile bulldozer che procedeva in avanti, e allo stesso tempo troppo lento e goffo per voltarsi.
«Conoscevo sua madre» continuò Rados. «Non so cosa ci mettesse nel suo pane al mais, ma lui è tanto folle quanto grosso. Se mangia in uno dei miei ristoranti, difficilmente chiudiamo la serata in pareggio.»
Victor sorrise, come se gli importasse.
«Tollero il suo appetito e la sua idiozia per due ragioni. Come ho già detto, i suoi combattimenti intrattengono i miei uomini e i miei amici delle alte sfere, ma sono anche estremamente preziosi per me, perché mi permettono di saperne di più sui miei potenziali collaboratori, come te.
«Chiunque riuscisse a sopravvivere a un suo pestaggio costituirebbe una risorsa per la mia organizzazione. Possono anche passare un mese in ospedale e zoppicare per il resto della loro vita, ma saprò per certo che da quel momento in avanti faranno quello che dico. Se scendono volontariamente in quella fossa, qualsiasi altra cosa chiederò loro di fare sembrerà una vacanza in confronto.»
«A cosa le serve un uomo distrutto?»
Rados si aspettava la domanda. La sua risposta era calma e preparata, come se fosse stata fornita a ogni nuova recluta a cui faceva affrontare la Bestia. «Valuto la forza mentale molto più della prestanza fisica. Quest’ultima è solo temporanea. Si deteriorerà con il tempo, mentre la tua forza mentale potrà solo migliorare.»
«Non stavo parlando di me» disse Victor.
Rados ridacchiò.
Victor si tolse la camicia e la appoggiò insieme alla giacca. Poteva muoversi sufficientemente bene anche vestito (non indossava nulla che fosse limitante), ma non voleva dare al suo avversario la possibilità di afferrarlo facilmente. Se si fossero trovati avvinghiati, sarebbe stata la fine.
«Hai avuto la tua buona dose di scontri» disse Rados, il suo sguardo passava in rassegna la collezione di cicatrici di Victor.
Non commentò. Le cicatrici parlavano da sole. Rados era abbastanza esperto in combattimenti da riconoscere come gli erano state inferte.
Victor osservò che la Bestia non aveva lesioni al viso. Nessun tessuto cicatriziale sopra o sotto agli occhi, e il naso non era mai stato rotto. Victor non credeva che la Bestia possedesse una sorta di pelle di kevlar; era più probabile che non avesse mai ricevuto colpi abbastanza forti o abbastanza di frequente. Considerando la sua evidente lentezza, ciò non derivava dalla sua abilità nello schivare e bloccare i colpi, ma piuttosto dal fatto che i suoi combattimenti terminavano sempre troppo velocemente. Nessuno dei suoi avversari precedenti era durato oltre la raffica iniziale. Non avevano avuto la possibilità di colpire l’uomo Bestia in modo significativo, perché era troppo grosso e troppo forte per riuscire a difendersi. Per la maggior parte erano stati troppo esitanti nello sferrare il primo attacco, anche se la Bestia glielo aveva concesso, e quella passività aveva giocato a loro sfavore, dando il vantaggio al mostro. In seguito, dopo ogni rapida vittoria, l’uomo era diventato sempre più sicuro del suo potere di sopraffare gli avversari e di disfarsene con il minimo sforzo. I suoi colpi non venivano mai ricambiati, quindi non aveva mai dovuto preoccuparsi di difendersi. Non sapeva cosa significasse combattere sulla difensiva. I suoi pugni lenti potevano oltrepassare la difesa dell’avversario, ma sarebbero stati in grado di eseguire una presa repentina per eludere un affondo rapido?
La Bestia si avvicinò e fissò Victor. Non era necessario che gli dicessero che lui era il suo avversario: Victor era l’unico volto nuovo nella stanza e l’unico uomo senza camicia.
«Questo è l’ungherese?» chiese a Rados.
«Sono io» disse Victor.
«Non sei piccolo, ma non sei neanche grosso.»
La voce della Bestia era un ringhio tonante. Un sussurro proveniente da dei polmoni di quella dimensione sarebbe stato un ossimoro.
«Dicono che non conti la dimensione del cane nella lotta, ma la dimensione della lotta nel cane.»
«Mi piacciono le lotte tra cani.»
«Questo non mi stupisce» disse Victor. «Il debole spesso gode nel vedere la sofferenza.»
La Bestia si colpì il largo torace. Il grasso fece increspare i suoi muscoli. «Non sono debole.»
«Allora quando è stata l’ultima volta che ti sei battuto con qualcuno più grosso di te?»
La Bestia non rispose. Le sue narici si spalancarono e la sua mascella si contrasse. Si allontanò e iniziò a eccitare la folla, che riveriva il suo campione. Gli davano pacche sulle braccia o sulla schiena, e aprivano un varco al suo passaggio.
«Un bell’esemplare, vero?» disse Rados.
Victor annuì.
L’uomo Bestia aveva delle mani enormi, come tutto il resto. Ideali per dare pugni e schiaffeggiare, ma non così utili per trovare i punti di pressione e fare piccoli movimenti importanti. Non avrebbe tirato calci; era troppo sbilanciato. La sua altezza derivava dal torso e dalla testa, non dalle gambe. Erano spesse e solide, ed erano in grado di supportarlo adeguatamente, ma su un piede solo? Improbabile. I tipi grossi non tendono a tirare calci; la loro estensione naturale li porta a non aver bisogno di un raggio supplementare, anche quando il loro fisico è meglio proporzionato di quello della Bestia.
Il rumore ambientale, costituito da grida e acclamazioni, si fece più forte. La folla era pronta.
«È ora» disse Rados.
Victor scese nella piscina vuota.