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La Land Rover si fermò fuori dalla cabina ufficio al centro del deposito rottami, vicino ai tre container. Zoca e il variago nel sedile del passeggero uscirono per primi ed estrassero le loro armi. Non erano professionisti, ma non erano stupidi. Non sapevano chi fosse Victor, ma sapevano che era pericoloso. I due ai suoi lati sul sedile posteriore uscirono a loro volta ed estrassero anch’essi le loro pistole.
Nessuno gli ordinò di uscire, quindi rimase seduto lì, immobile.
«Cosa stai aspettando?» chiese Zoca.
«Che tu dica per favore, naturalmente.»
Zoca gesticolò con la pistola. «Questa non è la mia macchina, quindi non mi importa imbrattare gli interni.»
Victor non si mosse fin quando Zoca non tirò indietro il cane della pistola, a quel punto si spinse fuori dal veicolo, la sua espressione era neutra, ma era soddisfatto per aver causato un contrasto. Qualsiasi reazione emotiva si ripercuoteva sul pensiero razionale, e in questo modo Victor aveva guadagnato un piccolo vantaggio. Mentre Zoca era infastidito da Victor, avrebbe dimenticato di aver paura di lui.
«Belgrado può anche appartenere a Rados,» disse Zoca «ma questo è il mio regno personale.»
Victor diede un’occhiata in giro guardando le montagne di rottami sporchi e arrugginiti. «Ti si addice.»
«Qui non sei niente» continuò Zoca. «Qui sei in mio potere.»
«Non sei un fan degli eufemismi, vero?»
La mandibola di Zoca si contrasse e fece cenno a uno dei suoi uomini, il quale colpì Victor negli addominali con il calcio del suo fucile. Victor cadde in ginocchio, tossendo. Lo aveva previsto, lo aveva voluto, e si era piegato in due ancora prima dell’impatto. Faceva male, ma non aveva subìto alcun danno serio, e l’uomo che lo aveva colpito, anche se lo avesse notato, non avrebbe detto a Zoca che credeva di non aver fatto un buon lavoro.
«Rados potrà anche apprezzare la tua lingua,» sibilò Zoca «ma io potrei anche strappartela.»
Victor rimase in ginocchio nel fango freddo fino a quando non venne sollevato di peso. Si lasciò andare a peso morto, così l’uomo che lo sollevava dovette metterci un bell’impegno. Victor non era in sovrappeso, ma era pur sempre ottanta chili di muscoli e ossa, e in seguito vide l’uomo, paonazzo in viso, sfregarsi la parte bassa della schiena. Non si lamentò, ovviamente. Non voleva essere visto come un debole.
Ma ora era un po’ indebolito.
Uno degli uomini aprì il lucchetto dell’ufficio e spalancò la porta. Zoca indicò l’apertura con la pistola. Victor non si mosse.
«Entra» ringhiò Zoca.
Victor fece con calma, salì i piccoli gradini e attraversò l’ingresso. Le luci interne erano spente e le tende erano abbassate. Nessuno era entrato prima di lui perché non sapevano con chi avevano a che fare. Erano in fila dietro di lui, spingendosi per farsi spazio perché lui si era fermato vicino alla porta. Si voltò. Zoca chiuse la porta e lo guardò di traverso.
«Siediti o ti rompo subito le gambe.»
Victor raggiunse una delle sedie da ufficio, brandì lo schienale con due mani, e usandola come una mazza colpì la testa del variago più vicino. Non c’era abbastanza spazio per cinque, tantomeno per permettere all’uomo di schivare la sedia avventandosi su di lui.
Era di plastica economica, non in legno o in metallo, ma fece il suo lavoro, colpendo l’uomo in faccia e facendolo barcollare all’indietro contro gli altri prima di cadere sul pavimento, confuso e sanguinante. Proprio come non c’era spazio per schivare, non c’era spazio per mirare con dei lunghi fucili, troppi alleati nel mezzo, troppo rischio di colpire la persona sbagliata.
Uno imitò Victor, usando il suo AK come una mazza. Victor usò la sedia per parare l’attacco, con forza sufficiente a far cadere l’arma dalle mani dell’uomo.
Victor la sentì sferragliare contro il muro, fuori visuale, e poi colpire il pavimento. Non vide dove. Girarsi per guardare lo avrebbe solo reso vulnerabile.
Lasciò andare la sedia nel momento in cui l’uomo la afferrò, aspettandosi di dover lottare per prenderne il controllo, e Victor sfruttò la sua sorpresa e la sua impossibilità di difendersi per tirare pugni e gomitate, respingendolo, sopraffatto e sanguinante.
Un altro degli uomini di Zoca attaccò, e Victor parò i ganci con gli avambracci e con le spalle, accusando intense fitte a ogni colpo, ma il solo effetto che producevano era dolore, non perdita di sensi.
Dovendo combattere contro più nemici contemporaneamente, non vide la gomitata che lo fece cadere all’indietro, colpendo il muro della cabina e la finestra, facendo sferragliare e appiattire le tende veneziane. Tenne la guardia alzata per proteggersi dai colpi successivi. Nessuno di essi riuscì a oltrepassarla.
Il serbo perse la pazienza e afferrò la giacca di Victor per avvicinarlo, per un corpo a corpo, ma facendolo fornì a Victor un bersaglio fermo: la mano dell’uomo.
La afferrò in una morsa al di sopra delle nocche, ruotando in senso orario per torcere il polso dell’uomo, tenendogli il braccio ben teso per spezzare il gomito ribaltato, e così fece, scagliando il suo avambraccio libero contro l’articolazione.
Il crac fu sovrastato dall’ululato del serbo.
Victor lasciò andare il braccio e colpì la faccia dell’uomo successivo a mano aperta, rompendogli il naso.
L’uomo grugnì, il sangue gli zampillava dalle narici, e cadde in avanti contro la finestra, strappando le tende in uno sferragliare di plastica e alluminio. Il vetro si frantumò e crollò con clangore sul pavimento.
La brillante luce del giorno si riversò all’interno della cabina buia, risplendendo all’interno degli occhi di Zoca mentre tentava di prendere la mira per sparare, il proiettile fece un foro preciso nel muro.
Victor afferrò un frammento di vetro della finestra e lo scagliò in direzione di Zoca. Si infranse contro la sua faccia. Urlò, facendo cadere la pistola per portare le mani sulle ferite.
Quello con il naso rotto afferrò un altro frammento e avanzò per pugnalare Victor, il quale prese il controllo del polso e del colletto dell’uomo e lo fece girare sul posto, facendogli perdere l’equilibrio, e lo spinse all’indietro contro il muro e la finestra rotta. Si frantumò dell’altro vetro.
Il suo avversario era forte e determinato e tenne stretto il frammento nonostante la pressione di Victor sul suo polso, quindi Victor piantò il pugno dell’uomo su un frammento sporgente della finestra.
Gridò mentre la sua mano veniva triturata. Victor la trascinò verso il basso, frantumando altro vetro, tagliando e strappando la mano finché il sangue rese tutto scivoloso e l’uomo non riuscì più a trattenere il frammento.
Victor lo avvicinò, gli diede una testata sul naso già rotto e poi, mentre l’uomo era ancora disorientato, lo afferrò per la testa e spinse con forza il suo collo sul frammento di vetro frastagliato che sporgeva dal telaio della finestra.
Quello con il braccio rotto giaceva sul pavimento, dimenandosi e lamentandosi. Victor gli schiacciò la gola sotto la scarpa per finirlo e affrontare Zoca e il variago rimasto.
La faccia di Zoca era viscida per il sangue nei punti in cui era stato colpito dal vetro, ma riusciva ancora a vedere. Brandiva un coltello da caccia con un’impugnatura da rompighiaccio, la lama sporgeva dall’interno del pugno. Non era il modo preferito da Victor per impugnare un’arma (limitava il raggio e gli attacchi a disposizione), ma alcuni amanti dei coltelli combattevano in quel modo. Tenevano l’arma bassa, all’altezza dei fianchi, per sollevarla compiendo degli archi, alla ricerca delle arterie delle cosce, dell’inguine, del collo e sotto le braccia.
Il variago sulla destra non aveva armi e adottò una posa da combattimento: il piede sinistro in avanti, piegato ad angolo di dieci gradi, le mani in alto all’altezza della testa. Quei pugni non erano serrati per colpire, ma sciolti per afferrare.
Non si avventarono su Victor come avevano fatto gli altri. Non avevano intenzione di commettere lo stesso errore.
Zoca era ferito, ma i tagli erano superficiali. Victor aveva visto la sua velocità e la sua ferocia, sapeva che era pericoloso. L’altro uomo sembrava un combattente esperto. Nessuno dei due mostrava i segni di un sovraccarico di adrenalina. Erano cauti, ma non spaventati. Avevano combattuto in passato, ed erano ancora vivi. Ma avevano mai combattuto fianco a fianco? Se non lo avevano mai fatto allora Victor aveva un vantaggio. Nessuno lo avrebbe ostacolato.
La risposta era no, perché Zoca avanzò per primo, muovendosi tra Victor e l’altro uomo. Questo fu il suo primo errore. In quel modo aveva aiutato Victor. Il secondo uomo non poteva affrontarlo contemporaneamente. La sua visuale era bloccata e aveva un ostacolo delle dimensioni di un uomo a intralciarlo.
Saresti dovuto venire da me dall’altro lato, avrebbe voluto dirgli Victor. Avresti dovuto fiancheggiarmi.
Zoca saltò in avanti, il braccio sinistro teso per protezione, mentre con il destro produceva gli archi previsti, puntando al collo di Victor.
Indietreggiò di un passo, spostandosi fuori portata, mentre il coltello fendeva l’aria davanti alla sua faccia. Non tentò di afferrargli il polso. Prima non conosceva l’abilità di Zoca con una lama. Ora Victor sapeva di lui tutto ciò che gli serviva.
Zoca lo attaccò di nuovo, questa volta all’inguine, e quando Victor lo schivò, si spinse in avanti e portò il coltello indietro tentando un fendente di rovescio all’addome di Victor, con l’intenzione di squarciarlo in due con una linea orizzontale attraverso l’ombelico, facendo fuoriuscire un groviglio di budella.
Victor si spostò, e mentre il coltello si ritraeva, pianificò la sua mossa e balzò in avanti nello spazio vuoto con i polsi incrociati, i palmi rivolti all’interno per proteggere le arterie, e fece sbattere le braccia incrociate contro la parte interna del polso di Zoca mentre tentava di contrattaccare.
La potenza delle due braccia di Victor prevalse sull’unico braccio di Zoca, il quale fece una smorfia di dolore (ossa dure che colpivano i tendini protetti solo da un sottile strato di pelle morbida) poi urlò mentre Victor cambiò la posizione delle mani per afferrare il polso e il tricipite, ruotando e tirando il braccio per poi premerlo forte contro il suo petto in una presa arm bar.
Victor lo strattonò verso il basso, tentando di spezzarlo all’altezza del gomito, ma Zoca fu abbastanza veloce da abbassarsi contemporaneamente per allentare la pressione.
Victor lo colpì con una ginocchiata all’addome e strappò il coltello dalla sua presa mentre cadeva.
Il secondo aggressore si stava già facendo avanti, realizzando troppo tardi che Victor aveva il coltello.
Victor lo pugnalò al petto, tra la quarta e la quinta costola nella parte sinistra dello sterno.
L’uomo restò in piedi, ma Victor lasciò andare il coltello e si allontanò da lui perché sarebbe morto nel giro di pochi secondi, non appena il cervello avesse realizzato che diversi centimetri di acciaio gli stavano penetrando nel cuore.
Zoca si era ripreso dalla ginocchiata in pancia e iniziò a sollevarsi per affrontare Victor, ma quando capì che era rimasto solo, tentò la fuga. Inciampò nel groviglio di cadaveri che ricoprivano il pavimento e cadde.
Il tizio con il coltello nel petto crollò sopra Zoca prima che potesse rimettersi in piedi.
Victor si inchinò vicino al punto in cui giaceva Zoca, bloccato e singhiozzante per il terrore. Era coraggioso solo quando aveva il controllo.
«Per favore» piagnucolò. «Farò qualsiasi cosa.»
«Da te voglio solo una cosa» disse Victor mentre si avvicinava alla gola di Zoca.